CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 giugno 2021, n. 18262
Tributi – Accertamento – Indizi di reato – Raddoppio dei termini di accertamento
Rilevato che:
1. Nei confronti di D.P.G., quale amministratore di fatto della società E. s.r.l. (di seguito, il contribuente), furono emessi un avviso di accertamento per Ires, Iva, Irap ed un atto di contestazione di sanzioni pecuniarie, entrambi relativi all’anno di imposta 2004.
2. Con sentenza n. 224/12/12, la Commissione tributaria provinciale di Milano (CTP) accolse il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento; l’agenzia impugnò la sentenza.
3. Con sentenza n. 220/21/13 altra sezione della CTP respinse il ricorso del contribuente contro l’atto di contestazione; il contribuente impugnò la sentenza.
4. La Commissione tributaria regionale della Lombardia (CTR), riuniti i procedimenti, ha accolto l’appello del contribuente e respinto quello dell’ufficio, con condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese.
5. La CTR ha così motivato: “In via generale ed assorbente la Commissione rileva la nullità dell’avviso di accertamento per carenza dei presupposti impositivi.
Essa Commissione esamina la documentazione, ancora pervenuta oltre il termine di 30 gg. assegnato con ordinanza di cui sopra, depositata dall’agenzia in data 30/12/2014 dalla quale estrae quanto segue: “Lo Scrivente ufficio legale richiedeva tempestivamente la suddetta documentazione alla GdF, nucleo di polizia tributaria di Roma, che la trasmetteva in data 23/12/2014”.
Appare quindi di tutta evidenza che l’agenzia non era materialmente in possesso di quanto asserito nei verbali degli avvisi di accertamento, in particolare circa l’avvenuta prova che il D.P. fosse l’amministratore (ancorché di fatto) della società.
Fermo restando che l’agenzia ha anche asserito (ma non documentato) di aver presentato denuncia alla procura della Repubblica (senza neppure indicare la data in cui la stessa fosse stata presentata), data che invece è stata indicata dal contribuente nella data del 9/11/2010, in cui la denuncia, da parte dell’ufficio alla procura della Repubblica, (e non contestata dall’agenzia, che quindi deve essere considerata corretta) non legittima il raddoppio dei termini, atteso che la stessa è stata proposta oltre il termine ordinario di prescrizione.
L’appello del contribuente merita quindi accoglimento della sentenza impugnata deve essere riformata.
Di contro, l’appello dell’ufficio deve essere rigettato e la sentenza confermata.”.
6. L’agenzia ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza per due motivi, cui il contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato sulla base di tre motivi. Il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
1. Preliminarmente, rileva la Corte che l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso formulata dal contribuente, sotto il profilo dell’assenza dei requisiti dell’autosufficienza e dell’esposizione sommaria dei fatti di causa è infondata, ravvisandosi nelle doglianze dedotte una critica afferente l’esatta portata della norma censurata, idonea a delineare tutte le questioni su cui il Collegio è chiamato a pronunciare.
2. Con il primo motivo di ricorso, l’agenzia denuncia «Nullità della sentenza per mancanza del requisito motivazionale previsto dal combinato disposto degli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4 del D. Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, e violazione dell’art. 132 c.p.c., e art. 111 Cost. e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma n. 4 »; si contesta che la CTR abbia accolto l’appello del contribuente “affermando apoditticamente l’assenza di prova in merito al fatto decisivo (il ruolo di amministratore di fatto svolto dalla ricorrente) senza prendere alcuna posizione sulle evenienze documentali agli atti, puntualmente evidenziate dall’agenzia sia in sede di costituzione di primo grado, sia in sede di costituzione in appello”. In particolare, l’agenzia contesta che la CTR, pur avendo affermato di aver esaminato la documentazione pervenuta, non avrebbe indicato da quali elementi, in contrasto con la diversa valutazione resa dal CTP, aveva tratto il convincimento della mancanza dei presupposti impositivi; né poteva portare a questa conclusione la richiamata circostanza secondo cui l’ufficio aveva emesso il provvedimento di accertamento sulla base delle risultanze del PVC, senza riesaminare la documentazione a sostegno del medesimo.
In questo senso, ritiene la motivazione apparente.
2.1. La censura è inammissibile. Secondo l’insegnamento di questa Corte, «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento); mentre tale vizio resta escluso con riguardo alla valutazione delle circostanze in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. Sez. U, 21 dicembre 2009, n. 26825).
2.2. La sentenza impugnata non merita affatto cassazione per il dedotto vizio motivazionale, posto che, sia pure con argomentazioni non intellegibili (non è chiaro il motivo per cui la indisponibilità da parte dell’ufficio dei documenti allegati al PVC della Guardia di Finanza tolga valore agli accertamenti compiuti, in esso riportati, circa il ruolo attribuito al contribuente di amministratore di fatto: è evidente che, quando aderisce alle ricostruzioni, impostazioni, argomentazioni della GdF, l’ufficio non deve esporre anche i motivi per i quali si siano condivise le dette valutazioni, posto che, delle due l’una, o i documenti esaminati suffragano le valutazioni esposte nel PVC, ed allora il loro esame autonomo non è necessario essendo sufficiente che i dati siano in esso riportati, o i documenti non sostengono le valutazioni finali dell’organo verificatore, ed allora è lo stesso PVC che diviene inattendibile), comunque espone la ragione essenziale per la quale ha accolto il gravame del contribuente, individuandola nella inapplicabilità della normativa sul raddoppio dei termini. Si può dunque affermare che la motivazione della sentenza medesima superi la soglia del c.d. “minimo costituzionale”. Trattandosi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione, eventuali profili di «insufficienza o erroneità» della motivazione non determinano nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.
3. Con il secondo motivo, l’agenzia deduce “la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, d.P.R. 600/73, dell’art. 3 D. Lgs 74/2000 e dell’articolo 331 cpp, in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma n. 3”, lamentando che la CTR aveva erroneamente escluso l’applicabilità al caso di specie del raddoppio dei termini di decadenza, in contrasto con l’interpretazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/73 resa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 247/2011.
3.1. Il motivo è fondato.
Invero, la statuizione d’appello, che erroneamente definisce come “termine ordinario di prescrizione” ciò che, tecnicamente, è un termine di decadenza, si pone in insanabile contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della L. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016);
3.2. Nelle citate pronunce, questa Corte ha avuto cura di precisare che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice.
3.3. Tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.).
3.4. Su tale assetto nessun effetto spiegava la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati nel 2011 – si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, il contribuente denuncia: “Omessa pronuncia, in relazione all’articolo 360, comma 1, nr. 4 c.p.c., sull’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’ufficio, per tardività dell’appello, formulata dal contribuente con le contro deduzioni nell’ambito del giudizio recante Rga 6161/13 riguardante l’avviso di accertamento”, sul rilievo che essendo stata la sentenza notificata il 18/9/2013, con scadenza del termine al 18/11/2013, l’appello era stato consegnato all’ufficio postale in data 30/11/2013.
Il motivo è infondato. Pur essendo stato sollevato un vizio riconducibile nell’ambito dell’error in procedendo” che abilita la Corte di Cassazione a procedere all’esame e all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti, osserva il Collegio che nella fattispecie detto esame è stato già compiuto dalla CTR che, a pag. 4 della sentenza, ha attestato di aver verificato la tempestività del ricorso e accettato che lo stesso era stato spedito a mezzo R.R. in data 18/11/2013, cioè entro il termine ultimo indicato dallo stesso contribuente; a fronte di tale accertamento, compiuto in fatto tramite la verifica diretta degli atti processuali da parte della CTR, recessivo e non influente è la circostanza che “dall’interrogazione del sito delle poste (cfr, doc. 12) relativo alla raccomandata ar 14234022059-0 (cfr. ultima pagina dell’appello) l’appello risulta consegnato all’ufficio postale solo il 20 novembre “, atteso che la prova documentale, che va ritenuta essenziale per asseverare la data della spedizione del gravame ai fini della verifica della tempestività dello stesso, è quella che risulta .dall’attestazione contenuta nel ricorso, avente natura fidefacente, come tale superabile solo con la proposizione della querela di falso.
5. Con il secondo motivo, denuncia “Omessa pronuncia, in relazione all’articolo 360, comma 1, nr. 4 c.p.c., sull’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’ufficio, per tardività dell’appello, formulata dal contribuente con le contro deduzioni nell’ambito del giudizio recante Rga 6161/13 riguardante l’avviso di accertamento”, sul rilievo che nelle proprie controdeduzioni il contribuente aveva eccepito la mancanza di motivi specifici di impugnazione.
La censura è inammissibile, dal momento che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (v. in particolare, Cass. n. 5351 del 2007, che ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame), ed inoltre che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. Sez. 1 – , Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 (Rv. 645538 – 01); Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011 (Rv. 619134 – 01).
6. Con il terzo motivo, denuncia “Violazione e falsa applicazione, in relazione all’articolo 360, comma 1, nr. 3 c.p.c., dell’art. 7 D. Lgs. 546/92”, per aver la CTR esercitato la facoltà di ordinare l’esibizione di documenti nonostante l’intervenuta abrogazione della norma sin dal 2005.
La censura è infondata. Questa Corte ha di recente affermato che “Nel processo tributario avente natura dispositiva, la produzione ex art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992, stante l’abrogazione del comma 3 (che consentiva un vero e proprio potere offícioso in “supplenza”), non allarga- l’oggetto del giudizio, ma resta sempre nel perimetro delimitato dalle parti sicché il potere del giudice di disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova non può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti, e sempre che la parte su cui ricade l’onus probandi” non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita. (In applicazione del principio la S. C. ha cassato la sentenza della CTR che aveva escluso la possibilità per il giudice tributario di ordinare all’Amministrazione la produzione in giudizio del processo verbale – non allegato all’avviso di accertamento impugnato – pur disponendo di elementi indiziali dei fatti che il documento doveva provare)”. Cass. sez. 5, n. 16476 del 31/7/2020. Come si legge nella motivazione di quella decisione “Il principio che emerge dalla giurisprudenza sull’interpretazione dell’art. 7 comma 1 d. lgs 546 del 1992 è quello per cui il potere di indagine autonoma del giudice tributario è esercitabile, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, quando gli elementi di giudizio già in atti od acquisiti non siano sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata. Questo potere sopravvive alla riconosciuta natura dispositiva del processo tributario, sancita anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 109 del 2007, che ha così delineato i limiti dei poteri di cui all’art. 7 comma 1, anche a seguito dell’abrogazione legislativa del comma 3 dell’art.7 del d. lgs 546 del 1992 che affermava che “è sempre data alle Commissioni tributarie la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”, e che, quindi, consentiva un vero e proprio potere d’ufficio in “supplenza” della parte probatoriamente inerte. Questa Corte, poi, (Sez. V n. 4161 del 2014) ha ritenuto legittimo l’ordine da parte della CTR all’ufficio di produrre il processo verbale, affermando che “Nel processo tributario, invero, è attribuito alle commissioni tributarie, dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, un potere di indagine che esse possono esercitare qualora dagli atti non risultino sufficienti elementi di giudizio, e sempre che esse non ritengano di averne acquisiti in misura sufficiente; il tutto, come avvenuto nel caso in esame, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti“.
7- In conclusione, il secondo motivo di ricorso dell’agenzia ricorrente va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che, in diversa composizione, riesaminerà la vicenda processuale, compresi i motivi ritenuti implicitamente assorbiti, alla stregua dei suesposti principi, e regolamenterà le spese del presente giudizio di legittimità. Il ricorso incidentale del contribuente è respinto.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo; rigetta il ricorso condizionale incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla CTR della Lombardia in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione, sentenza n. 24199 depositata l' 8 agosto 2023 - Ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 22 marzo 2022, n. 9198 - Ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 22 marzo 2019, n. 8199 - Irregolarità delle fatture con partita IVA di altre ditte in attività - Il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza, quale lacuna dell'apparato argomentativo omogenea al dedotto "difetto…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 21540 depositata il 7 luglio 2022 - Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito -ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 18108 depositata il 6 giugno 2022 - Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 gennaio 2022, n. 1451 - Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- La scelta del CCNL da applicare rientra nella scel
Il Tribunale amministrativo Regionale della Lombardia, sezione IV, con la senten…
- Il creditore con sentenza non definitiva ha diritt
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27163 depositata il 22 settembre…
- Impugnazione del verbale di disposizione emesso ai
Il Tribunale amministrativo Regionale della Lombardia, sezione IV, con la senten…
- Valido l’accertamento fondato su valori OMI
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17189 depositata il 15 giugno 2023, in…
- Possono essere sequestrate somme anche su c/c inte
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 34551 depositata l…