CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 luglio 2018, n. 19564
Accertamento – Riscossione – Professionisti – Dichiarazione dei redditi – Indagini bancarie
Rilevato che
– C.L. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 4 marzo 2011, che ha accolto solo parzialmente l’appello della contribuente avverso la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso proposto per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2005, era stato rideterminato il reddito e recuperate a tassazione le imposte non versate;
– dalla sentenza impugnata si evince che la rettifica della dichiarazione del contribuente, esercente attività di medico, era fondata sulle risultanze di movimentazioni bancarie;
– il giudice di appello ha ritenuto giustificati alcuni dei prelievi imputati dall’Ufficio a ricavi, accogliendo, in tal modo, uno dei motivi di gravame formulato, confermando, per il resto la sentenza impugnata, ivi inclusa la imputazione dei prelievi residui quali ricavi dell’attività;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
Considerato che
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 32, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per aver la sentenza impugnata escluso l’illegittimità derivata dell’atto impositivo per difetto di motivazione dell’autorizzazione rilasciata dal direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate delle Marche alla richiesta di acquisizione di documentazione finanziaria inerente l’attività della contribuente, le cui risultanze erano state poste dall’Ufficio a fondamento dell’avviso di accertamento;
– evidenzia, in particolare, che i presupposti fattuali posti alla base della richiesta di accesso alle informazioni finanziarie erano insussistenti, per cui, in ragione di tale circostanza, la relativa autorizzazione risulterebbe viziata;
– il motivo è infondato in quanto muove dall’assunto che il provvedimento di autorizzazione alla presentazione della richiesta di accesso a informazioni e documentazione finanziaria debba essere motivato e, quindi, che l’assenza della motivazione o l’insussistenza dei presupposti fattuali posti a fondamento della stessa possano essere sindacati;
– tale assunto è erroneo in quanto in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie, prevista dall’art. 32, primo comma, n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perché la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, l’art. 3, primo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e l’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, prevedono l’obbligo di motivazione (così, Cass. 3 agosto 2012, n. 14026);
– con il secondo motivo la ricorrente deduce l’insufficiente motivazione in ordine ad un punto controverso, individuato nella riconducibilità alla medesima dei conti correnti intestati esclusivamente al marito;
– sottolinea che il giudice di appello non avrebbe considerato che l’importo movimentato dal coniuge poteva essere, con maggiore probabilità, frutto dell’attività libero-professionale dallo stesso esercitata e che i due coniugi erano, all’epoca dei fatti, separati di fatto, formalizzando tale situazione a breve distanza di tempo;
– il motivo è infondato;
– infatti, la sentenza impugnata motiva la riferibilità all’attività della contribuente delle operazioni di versamento su conti correnti intestati esclusivamente al coniuge di questa «con il reddito decisamente modesti ed oggettivamente inconciliabile (euro 3.486,00) dichiarato dall’intestatario per quella stessa annualità» e con il «rilevante lasso temporale (tre anni) decorso fra i versamenti sul conto e la vendita di un immobile (in Egitto) per il prezzo di euro 100.00,00, tale da escludere ragionevolmente una diretta relazione» tra i due elementi;
– il riferimento a tali circostanze di fatto offre adeguata motivazione, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, della decisione assunta, consentendo l’agevole ricostruzione del percorso argomentativo seguito;
– non assume rilevanza, in senso contrario, la mancata valutazione della circostanza allegate dalla ricorrente in ordine allo stato di separazione di fatto all’epoca in essere, risolvendosi in un fatto nuovo, atteso che non vi è evidenza della sua allegazione nel corso dei precedenti gradi di giudizio;
– con l’ultimo motivo, la ricorrente si duole della insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto della controversia e della violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973;
– evidenzia che il giudice di appello avrebbe, dapprima, affermato che la mera indicazione del beneficiario delle somme prelevate è sufficiente a superare la presunzione di imputabilità degli stessi a ricavi prevista dalla norma oggetto di censura, quindi, pur a seguito della indicazione dei nominativi dei beneficiari da parte della contribuente, avrebbe ritenuto operante la presunzione con riferimento ad uno dei nominativi, per aver giudicato non plausibili le giustificazioni offerte;
– il motivo è fondato;
– l’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione vigente al momento della decisione di secondo grado, stabilisce che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie, «sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni»;
– con sentenza del 24 settembre 2014, n. 228, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione in esame «limitatamente alle parole “o compensi”», ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi fosse «lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito»;
– è, dunque, venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività, non essendo più proponibile l’equiparazione logica tra attività d’impresa e attività professionale operata, ai fini della presunzione posta dall’art. 32, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità anteriori (Cass. 9 agosto 2016, n. 16697; Cass. 11 novembre 2015, n. 23041);
– grava, dunque, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi, non potendosi avvalere della presunzione invocata;
– il ricorso va in conseguenza accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso e respinge i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Marche in diversa composizione.
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