CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 luglio 2018, n. 19601
Tributi – IRAP – Professionista – Valutazione del requisito di autonoma organizzazione – Congrua motivazione del giudice di merito – Necessità
Fatti di causa
D.F.M., odontoiatra, ricorre, con due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, e di Equitalia Sud Spa, rimasta intimata, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc: CTR) in epigrafe che, in controversia concernente l’impugnazione di due cartelle di pagamento relative all’IRAP dovuta per gli anni d’imposta 2004 e 2005, ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato il ricorso del contribuente.
Il giudice d’appello ha ravvisato la sussistenza dell’autonoma organizzazione dell’attività odontoiatrica del professionista che, pur esercitando la propria attività presso strutture di proprietà di terzi, aveva remunerato collaboratori, effettuato ammortamenti e sostenuto spese documentate e deducibili, in misura superiore al minimo richiesto per l’esonero dall’IRAP.
Il contribuente ha depositato una memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Motivi di ricorso: «art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 1, 2, 3, 4 e 8, e s.m.i.».
Si denuncia il vizio motivazionale della decisione della CTR che ha affermato l’esistenza di un’autonoma organizzazione, quale presupposto per l’applicazione al professionista dell’IRAP, senza dare conto delle ragioni del proprio convincimento, ferma l’allegazione del contribuente di avere svolto la propria attività a supporto di altri professionisti, presso le strutture organizzative di questi ultimi, senza avere clienti propri e senza sostenere spese, per beni ammortizzabili, diverse (e di maggiore importo) rispetto a quelle strettamente necessarie per l’esercizio della professione.
Si fa valere, altresì, la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR nel ravvisare l’esistenza del requisito “dell’autonoma organizzazione” nel caso di utilizzo, anche solo pro quota, di fattori organizzativi altrui.
1.1. I due rilievi critici, da esaminare congiuntamente perché strettamente connessi, sono fondati.
Occorre dare continuità all’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte che, di recente, pronunciandosi sul requisito dell’autonoma organizzazione”, quale presupposto dell’IRAP, hanno espresso il seguente principio di diritto: «In tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell'”autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive. (In applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che aveva escluso l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi).» (Cass. sez. un. 10/05/2016, n. 9451).
In altri termini, perché ricorra l’autonomia organizzativa è necessario:
a) che il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative altrui; b) che impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione; c) oppure che si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui.
Occorre, in sintesi, che l’attività del professionista sia supportata da un apparato produttivo, vale a dire da una combinazione di fattori produttivi non trascurabili, capaci di conferire un valore aggiunto, un quid pluris, alla sua potenzialità lavorativa.
Nella specie, la CTR non ha fatto corretta applicazione di questo principio di diritto e, conseguentemente, è incorsa in un vizio motivazionale, laddove, con espressioni assertive e senza dare conto delle ragioni del proprio convincimento, è giunta a una simile, perentoria, conclusione: «D’altronde parte appellante, nei propri modelli dichiarativi, risulta avere effettuato compensi a terzi ed ammortamenti, sostenendo altresì spese documentate e deducibili, in misura ben superiore al minimo richiesto per l’esonero dall’IRAP, ai fini cioè della dimostrazione dell’inesistenza di un’attività autonomamente organizzata.» (cfr. pagg. 2, 3 della sentenza impugnata).
La sentenza impugnata, nel conformarsi alla regola di diritto sopra enunciata, avrebbe dovuto esaminare, in modo approfondito, la linea difensiva del professionista, per poi prendere motivatamente posizione sulle deduzioni del contribuente: di avere svolto una mera attività di collaborazione a favore di altri professionisti, presso strutture organizzative altrui; di avere acquistato beni strumentali in misura trascurabile, senza superare il minimo indispensabile per l’esercizio della propria attività; di non essersi avvalso del lavoro altrui in misura eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive.
2. Le considerazioni che precedono comportano l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla CTR, in diversa composizione, per il nuovo esame della vicenda, nel rispetto del principio di diritto sopra richiamato e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata;
rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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