CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 luglio 2018, n. 19628

Tributi – Condono ex art. 9-bis della Legge n. 289 del 2002 – Ritardato pagamento della terza rata – Mancato perfezionamento del condono – Provvedimento di diniego di condono – Legittimità

Rilevato che

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo contro la S. Viaggi s.r.l. per la cassazione della sentenza n. 102/2/10 della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, depositata in data 18/6/2010 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa del provvedimento di diniego di condono, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, compensando le spese di lite;

con la sentenza impugnata la C.T.R. delle Marche ha ritenuto che l’omesso o il ritardato pagamento della terza rata del condono ex art. 9 bis I. 289/02 non comportasse il mancato perfezionamento del condono stesso;

2. a seguito del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, notificato il 16/9/2011 e ricevuto dalla destinataria il 20/9/2011, la società è rimasta intimata;

3. il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio del 27/6/2018 ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;

Considerato che

1.1. con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 bis I. 289/02, in relazione all’art. 360, comma 1,nn.4 e 3, c.p.c.

1.2. il motivo è fondato e deve essere accolto;

1.3. invero, “in tema di condono fiscale, la definizione agevolata ai sensi dell’art. 9 bis della l. n. 289 del 2002, comportante la non applicazione delle sanzioni relative al mancato versamento delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 dicembre 2002, e per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data, si perfeziona solo se si provvede all’integrale pagamento del dovuto nei termini e nei modi previsti dalla medesima disposizione, attesa l’assenza di previsioni quali quelle contenute negli artt. 8, 9, 15 e 16 della medesima legge, che considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche senza adempimento integrale, e che sono insuscettibili di applicazione analogica, in quanto, come tutte le disposizioni di condono, di carattere eccezionale” (Cass. ord. n. 31133/2017; vedi anche n.26683/2016; n. 21364/2012);

secondo l’orientamento ormai costante di questa Corte, “le disposizioni in materia di condoni fiscali sono derogatorie di quelle generali dell’ordinamento tributario ed integrano sistemi compiuti di natura eccezionale. Ne consegue che anche ciascuna delle diverse ipotesi di definizione agevolata previste dalla legge 27 dicembre 2002, n. 289, costituisce una propria specifica disciplina, di stretta interpretazione, non suscettibile di essere integrata in via ermeneutica né dalle norme generali dell’ordinamento tríbutario, né da quelle dettate per altre forme di definizione, persino se contemplate dalla medesima legge, dovendosi, quindi, escludere l’applicabilità dei principi elaborati con riguardo all’ipotesi di condono fiscale regolati dall’art. 62 bis della legge 30 dicembre 1991, n. 413, alla previsione di cui all’art. 9 bis della legge n. 289 del 2002, in quanto solo con riguardo a quest’ultima ipotesi (di condono cosiddetto clemenziale) è necessaria, non venendo in discussione la sussistenza dei debiti tributari emergenti dalle dichiarazioni dello stesso contribuente, l’integrità e la tempestività di tutti i versamenti in sanatoria” (Cass. ord. n. 25238/2013);

alla luce delle numerose pronunce citate, che costituiscono un orientamento ormai consolidato, dal quale il Collegio non ritiene vi siano motivi per discostarsi, il ricorso risulta fondato e deve essere accolto, poiché la sentenza impugnata non è conforme ai principi citati;

la Corte, quindi, cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (essendo pacifico il mancato pagamento nei termini della terza rata di condono da parte della società contribuente), decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo;

sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei gradi merito, atteso il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale citato solo dopo la proposizione del ricorso introduttivo, la società contribuente, invece, deve essere condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo;

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa tra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito; condanna la società contribuente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.100,00 oltre spese prenotate a debito.