CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 luglio 2020, n. 15899

Tributi – Accertamento sintetico – Redditometro – Indici di capacità contributiva – Presunzione legale relativa – Onere di prova contraria

Rilevato che

con la sentenza impugnata è stata confermata la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Torino, con la quale – in relazione all’impugnativa, proposta dal contribuente, avverso due avvisi di accertamento, n. T7G012302003/2010 per l’anno 2005 e n. T7G012301666/2011 per l’anno 2006, con cui erano stati contestati maggiori redditi, rispettivamente, di € 170.306,00 ed € 173.511,48, sulla base di elementi presuntivi, ex art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, integrati dal possesso di una residenza principale, di tre autovetture, e da una differenza tra incrementi patrimoniali effettuati negli anni dal 2005 al 2010 – il ricorso del contribuente medesimo era stato accolto limitatamente al calcolo della superficie della predetta residenza, rideterminata in mq 167,50 (a fronte della quantificazione operata dall’Ufficio in mq 200) e, nel resto, rigettato;

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.R., affidato a cinque motivi;

l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Considerato che

Con il primo motivo, il ricorrente – denunciando nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di gravame, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c. – si duole che il giudice di appello abbia omesso di pronunciarsi sulla specifica deduzione concernente l’illegittimità della ricostruzione del reddito riconducibile al possesso della abitazione principale, in quanto operata moltiplicando l’importo pagato a titolo di mutuo per il coefficiente stabilito dal Direttore dell’Agenzia anziché sommando l’importo in questione a quello ricavato dall’elaborazione dei valori per metri quadrati riferibili alle abitazioni principali;

con il secondo motivo – denunciando omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – lamenta che, benché egli avesse chiesto in entrambi i gradi di merito che fosse riconosciuto l’utilizzo promiscuo degli autoveicoli a gasolio, concessi in comodato alla società di cui era socio e, quindi, strumentali all’attività di impresa, il giudice di appello abbia ritenuto che il rapporto di comodato non risultasse adeguatamente provato in causa e che, comunque, «come ha chiarito la Suprema Corte, rientra tra i beni indicati dal D.M. 10/09/1992 come indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva ai fini dell’applicazione del quarto comma dell’art. 38 D.P.R. 600/1973 anche l’autovettura concessa a terzi a titolo di comodato gratuito»; così omettendo di considerare che erano state prodotte in giudizio le scritture private di concessione delle autovetture in comodato e, al contempo, non assolvendo all’obbligo di rendere adeguata motivazione, non integrata dal richiamo a Cass. n. 12448/2011, “in quanto anche tale sentenza si limita ad una apodittica affermazione”;

con il terzo motivo – denunciando omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – si duole che la CTR non abbia formulato alcuna valutazione critica sul fatto, provato, che nell’anno 2005 esso ricorrente aveva potuto disporre di una entrata di € 26.000,00 a seguito di disinvestimento titoli, idonea a sostenere le spese da cui l’Ufficio aveva desunto l’esistenza di un reddito non dichiarato;

con il quarto motivo – denunciando omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – lamenta che la predetta CTR non si sia pronunziata sulla richiesta di riconoscimento di ulteriori disinvestimenti (i.e.: di € 26.000,00 del 10.4.2007, di € 17.392,12 del 20.4.2007 e di € 61.784,30 del 2.5.2007) che gli avevano consentito di effettuare, in parte, gli investimenti contestati dall’Ufficio, senza inoltre considerare che negli anni 2007 e 2008 egli aveva conseguito redditi per € 40.110,00 ed € 40.780,00, utili a finanziare gli incrementi patrimoniali effettuati in tali annualità;

con il quinto motivo – denunciando nullità della sentenza per violazione degli artt. 61 e 36, comma 1, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 132, n. 4, c.p.c.e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ed all’art. 112 c.p.c. – censura la motivazione solo apparente della decisione – dolendosi della omessa pronuncia in merito alla rilevanza del mutuo riferibile all’abitazione principale, alla percentuale di incidenza nella sfera privata dell’autovettura utilizzata anche a fini imprenditoriali, alla richiesta di riconoscimento del disinvestimento di € 26.000,00 utilizzato per le spese della vita di relazione dell’anno 2005, nonché alla richiesta di riconoscimento dei disinvestimenti a fronte degli incrementi patrimoniali -, poiché consistente in un’affermazione apodittica in alcun modo rappresentativa di un effettivo esame degli elementi peculiari della fattispecie e caratterizzata, pertanto, da assenza dell’iter” decisionale;

il primo motivo è infondato, poiché il giudice del gravame si è pronunciato sulla (sopra illustrata) deduzione formulata dal ricorrente, convalidando (mediante la pur sintetica espressione «L’amministrazione finanziaria … ha legittimamente determinato, con metodo sintetico, i redditi complessivi dell’appellante per gli anni 2005 e 2006 … applicando correttamente i criteri di calcolo stabiliti dalla legge») l’interpretazione – non fatta oggetto di censura ex art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. – dei decreti ministeriali fornita, quanto ai criteri per la rideterminazione del reddito, dall’Ufficio;

il secondo motivo è in primo luogo inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter, quinto comma, c.p.c., il quale esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado, ove il giudizio di appello sia stato introdotto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione successivamente all’11 settembre 2012 (come nel caso, risultando l’atto di appello depositato il 18 ottobre 2012); inoltre, il motivo in questione avrebbe dovuto essere dedotto – essendo stata la sentenza della CTR depositata il 18 aprile 2013 – secondo la nuova versione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che ha introdotto nell’ordinamento (e v., sul punto, Cass. Sez. U. 7/04/2014, n. 8053) il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (cfr., ancora, Cass. Sez. U. n. 8053/2014, cit., secondo cui «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie»); nel caso, peraltro, la sussistenza dei contratti di comodato è priva del carattere della decisività, poiché il giudice del gravame ha fondato la sua decisione anche sull’insegnamento – di cui è espressione Cass. 8/06/2011, n. 12448 – secondo cui «In tema di accertamento delle imposte sul reddito, il D.M. Finanze 10 settembre 1992 individua la disponibilità dei beni in esso indicati come indici e coefficienti presuntivi di capacità contributiva ai fini dell’applicazione dell’art. 38, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (accertamento con metodo sintetico) nella condizione di chi “a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni”, situazione quest’ultima nella quale rientra anche l’intestatario di un’autovettura che concede la medesima a terzi a titolo di comodato gratuito. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che correttamente era stata utilizzata tale tipologia di accertamento del reddito nei confronti di un soggetto che non aveva presentato dichiarazione IRPEF ed era risultato intestatario di un motorino e di tre autovetture, due delle quali concesse in comodato gratuito ad una società)»;

il terzo motivo è del pari inammissibile, per entrambe le ragioni illustrate in relazione al secondo motivo, e, in ogni caso, da disattendere, per avere la CTR, pur sinteticamente, ravvisato la legittimità dell’operato dell’Ufficio e, pertanto, ritenuto non assolto dal ricorrente l’onere di dimostrare l’inesistenza, ovvero l’esistenza in misura inferiore, dei redditi determinati sulla base del c.d. “redditometro”; il quale onere, con riguardo al profilo denunziato, avrebbe dovuto riguardare la durata del possesso del reddito derivante dal disinvestimento (cfr., sul punto, Cass. 13/11/2018, n. 29067: «In tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (La S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che aveva accolto il ricorso del contribuente limitandosi a prendere atto delle disponibilità liquide derivanti dalla cessazione di due imprese riconducibili allo stesso, senza verificare l’effettivo transito di dette disponibilità su conti correnti a lui riferibili negli anni nei quali erano stati individuati gli incrementi patrimoniali posti a fondamento dell’accertamento)»;

il quarto motivo è ancora inammissibile, oltre che per le ragioni già indicate in precedenza, perché formulato senza l’evidenziazione della deduzione del profilo di doglianza in sede di gravame (risultando, invece, dal ricorso, l’avvenuta allegazione della sola documentazione inerente ai disinvestimenti nel fascicolo di primo grado e in quello del presente giudizio);

il quinto motivo è infine da disattendere, perché riproduce, nella sostanza, le censure sopra illustrate, accomunando, per di più, la denunzia dell’omessa motivazione a quella di omessa pronuncia, in difformità dall’indirizzo – su cui v., tra le altre, Cass. 7/05/2018 n. 10862 – secondo cui «(…) nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente (…)»;

al rigetto del ricorso segue il pagamento delle spese di lite, determinate come in dispositivo;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese processuali, liquidate in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.