CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 marzo 2021, n. 8339
Infortunio in itinere – Domanda diretta al riconoscimento dei benefici di cui al Fondo di sostegno per i familiari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro – Prova della sussistenza del rapporto di lavoro
Rilevato che
La Corte di appello di Lecce con sentenza n. 2963/2017, confermando la statuizione del tribunale locale, aveva rigettato l’appello proposto S. S. , in proprio e quale erede della figlia S.A., avverso la decisione con la quale il primo giudice aveva rigettato la domanda diretta al riconoscimento, da parte dell’ Inail, dei benefici di cui al Fondo di sostegno per i familiari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro (art. 1 co.1187 I. n. 296/2006 ; TU n. 1124/1965).
La Corte di appello aveva ritenuto non provata la esistenza del rapporto di lavoro cui riferire l’infortunio in itinere occorso alla S., deceduta in un incidente stradale mentre si recava al bar “F.” in San Pancrazio Salentino e non provato il requisito della vivenza dell’appellante a carico della figlia deceduta.
Avverso detta decisione S. S. aveva proposto ricorso affidato a due motivi cui resisteva con controricorso l’Inail.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Considerato che
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ,degli artt. 2697 e 2700 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo in discussione tra le parti in relazione alla sussistenza del rapporto di lavoro. Con tale motivo parte ricorrente si duole della omessa valutazione circa la veridicità delle dichiarazioni rese dai “terzi” ed in particolare dal titolare del Bar presso cui la vittima lavorava; quest’ultimo avrebbe dovuto essere dichiarato incompatibile a testimoniare per la mancata assunzione della lavoratrice. Tale circostanza era stata oggetto di discussione tra le parti allorché il giudice aveva ammesso la prova testimoniale pur a seguito della opposizione a tal riguardo svolta dalla ricorrente.
Il motivo è inammissibile poiché sotto il profilo della violazione di legge in realtà censura la valutazione del giudice con riguardo al materiale probatorio. Questa Corte ha chiarito che ” è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” ( Cass.n. 8758/017- Cass.n.18721/2018). Nel caso in esame è invero proposta una rivisitazione del materiale probatorio già esaminato in sede di giudizio di merito e non più proponibile in sede di legittimità.
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 85 e 106 d.p.r. n. 1124/1965.
Violazione e falsa applicazione degli artt.115 e 116 c.p.c. degli artt. 2697 , 2700 e 2727 c.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo in discussione tra le parti in relazione alla sussistenza del requisito della “vivenza a carico”. A tal riguardo la parte ricorrente rilevava la omessa valutazione di quanto dichiarato nel verbale ispettivo non soltanto sulla esistenza del rapporto di lavoro in questione, ma anche sulla circostanza che la figlia deceduta mantenesse il proprio nucleo familiare composto dalla madre e dalla sorella disoccupata.
Il motivo risulta assorbito dal rigetto della precedente censura, risultando irrilevante l’accertamento del requisito della “vivenza a carico” ove non sia stato provato il rapporto di lavoro.
Peraltro è altresì inammissibile poiché richiede nuova valutazione rispetto a quella già svolta dalla corte di merito, basata su molte circostanze di fatto e non soltanto sulle dichiarazioni della ricorrente.
Il ricorso è inammissibile.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del controricorrente nella misura di cui al dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 2.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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