CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 marzo 2022, n. 9639

Licenziamento per giustificato motivo – Impugnazione – Forma – Adeguatezza della espressione della volontà del lavoratore

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 29 marzo 2019, la Corte d’appello di Bari ha respinto il reclamo avverso la decisione del locale Tribunale che, confermando quanto statuito nella fase sommaria, aveva disatteso le domande proposte da G. L. nei confronti della società M. PT S.p.A. (già G. S.p.A.) volte ad ottenere la declaratoria di illegittimità, in particolare per la sussistenza del “motivo illecito determinante ritorsivo e discriminatorio” dei licenziamenti subiti in data 6 novembre 2014 per giustificato motivo ed impossibilità sopravvenuta ed in data 13 novembre 2014, per superamento del periodo di comporto;

1.1. il giudice di secondo grado, condividendo l’iter argomentativo del primo giudice, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo comminato e, segnatamente, decaduto l’istante dall’impugnativa del licenziamento intimatogli dalla società in data 12.12.2014, recesso cui, secondo la Corte, doveva riconoscersi efficacia retroattiva a far data dal 6 novembre 2015, ai sensi dell’art. 7 1. n. 604 del 1966.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria, G.L., affidandolo a due motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, M. PT S.p.A. (già G. spa)

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ., 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. con conseguente falsa applicazione dell’art. 6 L. n. 604 del 1966 allegandosi l’erronea interpretazione del contenuto della missiva del 6 novembre 2014 (ricevuta 1’8 novembre successivo), in quanto da considerarsi vera e propria risoluzione del rapporto secondo quanto derivante dalla stessa volontà espressa testualmente dalla società;

2. Con il secondo motivo si censura la decisione impugnata ancora per falsa applicazione dell’art. 6 L. n. 604 per violazione degli artt. 1362, 1366 e 1367 cod. civ..

3. Entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico — sistematiche, sono fondati.

Va premesso, in punto di fatto, che, con comunicazione del 6 novembre 2011, la società ebbe ad inviare alla Direzione Territoriale del Lavoro missiva contenente l’indicazione della propria intenzione di licenziare il dipendente per giustificato motivo oggettivo, con contestuale indicazione dei motivi.

Tale comunicazione era stata tempestivamente impugnata dal lavoratore con raccomandata con avviso di ricevimento del 9 dicembre 2014: avendo, poi, dato esito negativo il tentativo di conciliazione, la società ha “comunicato” al L. in data 12 dicembre il licenziamento, che, secondo la Corte d’appello, sarebbe stato irrogato con efficacia retroattiva a decorrere dal 6 novembre (data della missiva) in ossequio al disposto dell’art. 7 L. n. 604/66 a mente del quale il licenziamento produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il licenziamento medesimo è stato avviato.

Giova, tuttavia, evidenziare, in considerazione del carattere negoziale della comunicazione in oggetto e della necessità di interpretarne il contenuto in ossequio ai canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 e segg. cod. proc. civ., che correttamente il lavoratore ha impugnato il primo provvedimento reputandolo già di per sé idoneo ad intimare il licenziamento irrogato.

La società, invero, con la comunicazione del 12 dicembre, ha inteso ribadire la propria volontà interruttiva del rapporto affermando testualmente: “Con la presente, essendosi conclusa in data 10 dicembre 2014, con il mancato accordo, la procedura ex art. 7, L 606/1966 come novellata dall’art. 1, co. 40 l. 92/2012, avviata con nota del 6/11 / 2014, le confermiamo il licenziamento irrogatole con la medesima nota, che qui si intende integralmente riportata anche per quel che riguarda le <giustificazioni del recesso, con decorrenza dalla data di invio della nota del 5/11/2014, imputando il periodo intercorso a preavviso”.

Orbene, la piana lettura del contenuto della missiva induce a reputare perfettamente idonea la prima impugnativa soprattutto ove si consideri che l’avvio della procedura non contrasta con l’intenzione che ben poteva essere espressa già ab initio di procedere al licenziamento (ben potendo la comunicazione implicare entrambi i contenuti) ed è suffragata dalla comunicazione successiva, del 13 novembre del 2014 nella quale, procedendosi all’intimazione di un nuovo licenziamento, la società testualmente affermava: “si evidenzia che il presente liceniamento non sostituisce quello precedentemente irrogatole con nota del 6/11/2014 ed innanzi richiamato, che pertanto conserva pienamente la sua validità ed efficacia, trattandosi presente di un provvedimento espulsivo fondato su circostanze diverse e sopravvenute”.

Non v’è dubbio che, usualmente e correttamente l’avvio della procedura di licenziamento con la comunicazione alla DTL rivesta un ruolo prodromico rispetto alla  successiva irrogazione della sanzione all’esito dell’infruttuoso espletamento della procedura conciliativa (cfr., sul punto, Cass. n. 2267 del 2015): nondimeno, la complessiva valutazione dell’atteggiamento delle parti ed in particolare la stessa interpretazione letterale del contenuto della comunicazione possono indurre a conclusioni diverse sino a far ipotizzare la sussistenza di una intenzione risolutiva espressa ab origine e con un effetto illico et immediate.

Nel caso di specie, la piana lettura del contenuto della prima comunicazione e della successiva inducono a riconoscere un effetto risolutivo già alla prima comunicazione ed a reputare, quindi, corretta l’impugnativa operatane da parte del ricorrente al punto che, in via del tutto ipotetica, avrebbe potuto considerarsi tardiva una successiva impugnativa, proprio alla luce della volontà così chiaramente espressa sin dall’inizio.

Al contempo, l’esame del tenore della nota del 5 gennaio 2015, di impugnativa stragiudiziale del licenziamento per superamento del periodo di comporto, induce a riconoscere con tranquillante certezza una volontà di impugnativa del primo licenziamento proprio per il riferimento ad esso operato al primo licenziamento e la cui comunicazione era stata “… già formalmente impugnata…”: ne deriva, in misura palese, la volontà di impugnare che, a questo punto, sarebbe comunque tempestivamente espressa.

Ebbene, l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità ma può e deve essere valutata in sede di cassazione qualora emerga una violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale (sul punto, ex plurimi Cass. n. 11254 del 10/05/2018).

Nella specie, l’interpretazione del regolamento contrattuale da parte della Corte si è palesata manchevole sul piano della mera interpretazione letterale, primo canone ermeneutico legalmente vincolante non essendo evincibile, nell’ambito della motivazione, alcun riferimento al dato letterale delle missive dianzi riportato ma essendo l’argomentare giuridico ancorato a dati ulteriori sicuramente corretti in linea generale ma non consoni alla doverosa interpretazione letterale del contenuto delle dichiarazioni negoziali considerate.

In una ampia ed argomentata motivazione, infatti, difetta del tutto qualsivoglia indagine sul contenuto letterale delle dichiarazioni considerate.

D’altro canto, non può reputarsi irrilevante, a fini confermativi dell’assunto, la circostanza della comunicazione, in data 1/12/2014, da parte del Direttore del Personale con la quale si diffidava il L. “dall’inviare ulteriori comunicazioni e certificati di malattia essendo il suo rapporto di lavoro cessato per licenziamento”: non v’è dubbio che tale comunicazione non potesse vincolare tout court la società non provenendo dal legale rappresentante della stessa; nondimeno, essa giustifica senza dubbio il legittimo affidamento in capo al ricorrente.

Deve, infine, rammentarsi che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 10833 del 2021) per impugnare il licenziamento non si richiedono formule particolari, essendo sufficiente, come testualmente specificato dall’art.  6 della l. n. 604 del 1966, qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento. Nessuna contestazione è stata avanzata, nella specie, circa la adeguatezza della espressione della volontà da parte del ricorrente nell’impugnativa stragiudiziale della originaria nota.

La Corte, al riguardo, non ha effettuato alcuna valutazione atteso che si è limitata a ritenere decaduto il ricorrente per essersi limitato ad impugnare l’originaria comunicazione, assumendo che, di fatto, la nota in questione presentava tutti i requisiti e rappresentava già l’atto espulsivo di recesso.

Invero, non si rinviene nella pronunzia impugnata alcuna disamina concernente il contenuto della nota in questione onde verificarne comunque, nella sostanza, l’idoneità ad impugnare il recesso e, quindi, anche il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 125 cod. proc. civ. proprio trattandosi, in consonanza con gli approdi della giurisprudenza di legittimità, di “atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento”.

Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere accolto e la causa rimessa ad altro giudice, che si individua nella Corte d’Appello di Lecce, che procederà a nuovo esame della vicenda alla luce dei principi dianzi enunciati.

P.Q.M.

accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.