CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 marzo 2022, n. 9646
Libero professionista – Adozione di un minore – Indennità di maternità – Spettanza – Diritto alla parità di trattamento
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 29.5.2015, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’avv. F.G. volta alla corresponsione da parte della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense dell’indennità di maternità, richiesta a seguito dell’affido preadottivo di due minori germani;
che avverso tale pronuncia l’avv. F.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, successivamente illustrati con memoria; che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha resistito con controricorso, anch’esso successivamente illustrato con memoria;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 70 e 72, d.lgs. n. 151/2001, nel testo risultante dalla sentenza n. 385 del 2005 della Corte costituzionale, per non avere i giudici merito ritenuto che, nel caso di adozione di un minore da parte di un libero professionista, la spettanza del congedo e della relativa indennità doveva essere verificata in analogia con la disciplina dettata dall’art. 31, d.lgs. n. 151/2001 per i genitori adottivi lavoratori dipendenti, e non con riguardo a quella prevista dagli artt. 28 e 29, d.lgs. cit., per i genitori biologici, ossia avendo esclusivo riguardo alla mancata fruizione dell’indennità da parte della madre, ciò che nella specie risultava dall’autodichiarazione allegata al n. 6 della produzione compiuta unitamente al ricorso introduttivo del giudizio;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 136 Cost. per avere i giudici territoriali ritenuto che la sentenza n. 385 del 2005 della Corte costituzionale, essendo additiva di principio, non fosse autoapplicativa; che, con riguardo al primo motivo, va premesso che la Corte di merito, prima di procedere all’interpretazione della normativa rilevante ai fini del decidere, ha espressamente affermato che l’odierno ricorrente non aveva allegato la circostanza che la madre non avesse goduto dell’indennità o vi avesse comunque rinunciato (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);
che, nell’illustrazione del motivo di censura, parte ricorrente ha a sua volta rilevato come la di lui moglie avesse reso autodichiarazione con cui aveva attestato di non aver fruito di alcuna indennità di maternità in relazione all’adozione dei due minori, che era stata tempestivamente allegata al n. 6 della produzione depositata unitamente al ricorso introduttivo del giudizio (cfr. pagg. 7-8 del ricorso per cassazione);
che, indipendentemente dalla circostanza evidenziata dalla Cassa controricorrente, secondo cui il documento affollato al n. 6 della produzione allegata al ricorso introduttivo sarebbe stato in realtà un altro (e precisamente la copia della comunicazione di rigetto del reclamo da parte del Consiglio di amministrazione della Cassa Forense: cfr. pag. 7 del controricorso), costituisce orientamento consolidato di questa Corte il principio secondo cui, qualora si denunci in sede di legittimità l’omessa valutazione di prove documentali, il ricorrente ha l’onere non solo di trascrivere in ricorso il testo integrale o quanto meno la parte significativa del documento in questione, ma altresì di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate con riguardo ad esso nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione documentale, che – non equivalendo di per sé ad allegazione del fatto di cui il documento è supporto narrativo – non comporta per il giudice alcun onere di esame e ancora meno di considerazione ai fini della decisione (così da ult. Cass. n. 13625 del 2019, sulla scorta di Cass. nn. 18506 del 2006, 19138 del 2004);
che del pari è consolidato il principio secondo cui tali adempimenti sono necessari anche qualora – come nella specie – si deduca un vizio di violazione di legge, costituendo evidente applicazione del principio di specificità e autosufficienza del ricorso di cui all’art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c., correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto (così Cass. nn. 9777 del 2001, 11731 del 2011, 14279 del 2017);
che, nella specie, l’odierno ricorrente ha bensì trascritto il contenuto del documento recante l’autodichiarazione della di lui coniuge, ma non ha specificato se l’allegazione del fatto di cui esso è supporto narrativo (ossia la circostanza che ella non avesse fruito di alcuna indennità di maternità in relazione all’adozione dei due minori) sia stata effettivamente compiuta nel ricorso introduttivo del giudizio; che, conseguentemente, il motivo risulta affatto inammissibile, non potendo il giudizio di legittimità svolgersi se non in relazione a fatti che siano stati tempestivamente allegati e provati nel giudizio di merito;
che l’inammissibilità del primo motivo determina logicamente l’assorbimento del secondo, restando irrilevante, in mancanza di tempestiva allegazione che la coniuge dell’odierno ricorrente non abbia fruito di alcuna indennità di maternità in relazione all’adozione dei due minori, il principio di diritto medio tempore affermato da questa Corte, secondo cui la sentenza n. 385 del 2005 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72, d.lgs. n. 151/2001, laddove non prevedono il principio che al padre adottivo libero professionista spetti, in alternativa alla madre, l’indennità genitoriale, pur avendo natura di pronuncia additiva di principio, è autoapplicativa e non meramente dichiarativa, di talché consente ex art. 136 Cost. l’immediato riconoscimento di tale indennità in ragione del diritto alla parità di trattamento che ha determinato la decisione (così Cass. n. 10282 del 2018);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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