CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 marzo 2022, n. 9683
Licenziamento collettivo – Violazione dei criteri di scelta – Codatorialità – Individuazione dei lavoratori in esubero in relazione alle esigenze tecniche, organizzative e produttive
Rilevato che
1. con sentenza 9 febbraio 2021, la Corte d’appello di Cagliari sez. dist. Sassari, in parziale accoglimento del reclamo di A.I. (già M.F.) s.p.a. e A.I.F.M.C. s.p.a., nel resto rigettato come l’incidentale di D.P.Z. avverso la sentenza di primo grado (che, in accoglimento dell’opposizione del lavoratore, con mansioni di assistente di volo alle dipendenze della prima società, avverso l’ordinanza dello stesso Tribunale che ne aveva respinto le domande, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimatogli, in esito alla procedura di licenziamento collettivo aperta dalla prima società l’8 aprile 2016, condannato le società alla reintegrazione del predetto nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore, di un’indennità risarcitoria in misura delle retribuzioni maturate dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, commisurata alla retribuzione globale di fatto pari a € 3.629,42, comunque non superiore a dodici mensilità, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali maturati nello stesso periodo), condannava le società al pagamento di un’indennità risarcitoria, in favore del lavoratore, in misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, da liquidare in separato giudizio;
2. essa confermava l’illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta, ai sensi dell’art. 5 l. 223/1991, per non avere le due società, partecipanti ad un gruppo di imprese e tra loro configuranti un unico centro di imputazione dell’attività con indifferenziata utilizzazione del personale l’una dell’altra, così dovendo operare la comparazione dei lavoratori in eccedenza nell’ambito dell’intero complesso organizzativo e non invece limitatamente a quelli occupati in azienda nel 2011 (sul presupposto di una situazione nel 2016 diversa da quella di allora, conseguente ad una richiesta di CIGS per riorganizzazione aziendale, mentre la più recente per crisi aziendale) e ribadiva l’esclusione della natura discriminatoria per età o anzianità lavorativa e per appartenenza sindacale, oggetto del reclamo incidentale del lavoratore;
3. sotto il profilo della tutela, reintegratoria con indennità risarcitoria attenuata, ai sensi dell’art. 18, quarto comma l. 300/1970, la Corte territoriale riteneva erronea la determinazione dal primo giudice dell’indennità nella misura suindicata, avendo il lavoratore esplicitamente formulato una domanda di condanna generica, riservandone la determinazione a un separato giudizio;
4. infine, essa negava la detraibilità dell’aliunde perceptum e percipiendum, computabile per l’intero periodo di estromissione del lavoratore, dall’indennità liquidabile nella misura massima di dodici mensilità, qualora di entità superiore;
5. con atto notificato il 31 marzo 2021 le società ricorrevano con quattro motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso;
6. entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.
Considerato che
1. le società ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 1bis l. 291/2004, come mod. dall’art. 2 d.l. 134/2008 conv. da l. 166/2008, per avere la Corte d’appello erroneamente escluso la limitazione della messa in mobilità dei dipendenti di M.F., già concordata in applicazione della detta norma con gli accordi del 2011, ai suoi dipendenti, nell’irrilevanza dei successivi sviluppi all’interno del gruppo (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. la sentenza d’appello ha ricostruito in fatto la progressiva integrazione realizzata tra le due società, M.F. e A.I., subito dopo il primo ricorso alla cassa integrazione straordinaria (2011), ed ha ritenuto configurabile un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro degli assistenti di volo (v. sul punto Cass. n. 29212 del 2021);
3.1. ha di conseguenza individuato la platea del personale in esubero come comprensiva di tutti i dipendenti (assistenti di volo) formalmente in forza presso le due società;
3.2. le censure mosse dall’attuale ricorrente, in quanto formulate sul presupposto secondo cui l’esubero coinvolgeva unicamente il personale alle dipendenze di M.F. nel 2011, in assenza di incrementi di organico negli anni successivi, ignorano l’accertamento fattuale compiuto dai giudici di merito proprio sulla imputazione dei rapporti di lavoro degli assistenti di volo di entrambe le società ad un unico soggetto giuridico, e si rivelano come tali inammissibili; la denuncia di violazione di legge è infatti formulata sulla base di una ricostruzione in fatto diversa da quella fatta propria dalla sentenza impugnata (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del 2018; n. 24155 del 2017; n. 195 del 2016);
3.3. peraltro, la Corte di merito, nell’estendere la platea dei lavoratori in esubero al personale (assistenti di volo) formalmente in forza presso le due società, si è attenuta ai principi di diritto già affermati da questa S.C., secondo cui la procedura per la dichiarazione di mobilità di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, necessariamente propedeutica all’adozione dei licenziamenti collettivi, è intesa a consentire una seria verifica dell’effettiva necessità di porre fine ad una serie di rapporti di lavoro in situazioni di sofferenza dell’impresa, e, proprio in vista di tale risultato, il comma terzo del citato art. 4 individua con estrema ampiezza i contenuti della comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a fornire alle organizzazioni sindacali, emergendo, in particolare, che l’ambito della verifica che congiuntamente dovranno operare il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali abbraccia l’impresa nel suo complesso e può estendersi anche a posizioni lavorative che, al momento, non risultano comprese nel trattamento di integrazione salariale, con la conseguenza che la prospettiva di mobilità, rimettendo in discussione gli equilibri complessivi dell’azienda, coinvolge tutte le posizioni lavorative, senza che sia configurabile, quindi, una necessaria coincidenza tra collocandi in mobilità e lavoratori sospesi in cassa integrazione guadagni straordinaria, ciò in specie ove si verifichino sopravvenienze rispetto alle situazioni che determinarono l’esubero del personale sospeso (v. Cass. n. 14800 del 2019; n. 10591 del 2005);
4. le società ricorrenti deducono poi violazione e falsa applicazione degli artt. 5 l. 223/1991, 2359, 2497, 2094 c.c., 115 c.p.c., per avere la Corte sarda, senza indagare sull’effettiva utilizzazione comune e promiscua delle prestazioni dei lavoratori di A.I. e M.F., apoditticamente ritenuto l’esistenza di una codatorialità per la sola esistenza di strutture di gruppo sovraordinate ad A.I. e di rapporti di service tra le due società; senza inoltre tenere conto, anche ad una considerazione unitaria delle due imprese, della necessaria individuazione dei lavoratori in esubero in relazione alle esigenze tecniche, organizzative e produttive di M.F., per l’esistenza di due distinti complessi produttivi (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 776, 779 c.n., del capo C), OPS 1.185, Appendice 2 dell’OPS 1.175 p.ti a), b) Reg. europeo 859/2008, degli artt. 2 (nn. 1, 8, 25), 3 (n. 2), 4 p.to c) Reg. europeo 1008/2008, dell’allegato 3, capo CC, sez. 1 ORO.CC.125 Reg. europeo 965/2012, per non avere la Corte d’appello considerato l’impossibilità nel settore aeronautico, per le pregnanti e minuziose disposizioni normative che, anche nei suddetti regolamenti, lo regolano, dello svolgimento del servizio di trasporto aereo da due società attraverso una struttura aziendale unitaria con utilizzazione promiscua di lavoratori naviganti e responsabili delle varie attività: essendo necessario, per ottenere e mantenere le certificazioni obbligatorie indispensabili all’esercizio del servizio (possedute, infatti, sia da M.F. che da A.I.), dimostrare di avere distinte ed autonome strutture aziendali e propri esclusivi responsabili, che devono restare tali anche nel corso del tempo per poter superare i continuativi controlli dell’ENAC (terzo motivo);
5. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono pure infondati;
6. devono essere, infatti, ribadite le ragioni già espresse da questa Corte nella sentenza n. 29212 del 2021 (e nelle successive conformi nn. 36233, 35877, 35586, 35585, 35183, 34563, 34562, 34561, 34560, 33800, 33799, 33798, 32561, 32476, 32475, 32474 del 2021), che si richiama, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., e ai cui principi il Collegio ritiene di dare continuità, non risultando prospettati nel ricorso argomenti che possano indurre a disattenderli;
6.1. la sentenza impugnata, con accertamento di fatto riservato al giudice di merito insindacabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto che gli elementi di collegamento fra le società avessero travalicato, per caratteristiche e finalità, le connotazioni di una mera sinergia fra consociate per sconfinare in una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva ai fini per cui è causa;
6.2. la Corte di merito, sulla base di plurimi dati probatori (l’assegnazione di quasi tutta la operatività di volo da M.F. ad A.I., che l’aveva gestita mediante anomali contratti cd. di wet lease su tratte e bande orarie della prima sostenendo direttamente i costi necessari; l’utilizzo da parte di A.I. di slot facenti capo a Meridiana; la stipula di un contratto tra M.F. e A.I. con il quale la prima si impegnava a prestare a A.I. i servizi di gestione amministrativa e finanziaria inclusi gli adempimenti civilistici e fiscali, il controllo di gestione compresa la pianificazione economica, finanziaria e patrimoniale, l’analisi preventiva e consuntiva per gli investimenti, la gestione del personale e delle relazioni industriali; l’utilizzazione da parte di A.I. di personale proveniente da M.F., attraverso l’istituto del distacco e mediante job posting, cioè l’assunzione ex novo previa risoluzione del contratto con M.F.; l’utilizzo da parte di A.I. di equipaggi misti; la dichiarata finalizzazione di tutta l’operazione alla riduzione del costo del lavoro), è pervenuta, in applicazione dei principi affermati in materia da questa S.C. (v. Cass. n. 1507 del 2021; n. 267 del 2019; n. 7704 del 2018; n. 19023 del 2017; n. 13809 del 2017; n. 26346 del 2016; n. 3482 del 2013; n. 6707 del 2004), alla qualificazione della sostanziale unicità della struttura aziendale, valorizzando la mera apparenza della pluralità di soggetti giuridici a fronte di un’unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale (v. Cass. n. 7704 del 2018 cit.; n. 25270 del 2011; n. 5496 del 2006; n. 11275 del 2000; v. anche Cass. n. 4274 del 2003 in cui, in una fattispecie di più imprese formalmente distinte, ma con un’unica organizzazione imprenditoriale, intesa anche come unico centro decisionale – le tre società convenute gestivano un’unica azienda costituita da un unico complesso aziendale, avevano in comune gli organi direttivi e una serie di servizi, si scambiavano i dipendenti, utilizzati indifferentemente per i vari servizi e spostati di anno in anno da una società all’altra- ha ritenuto che i requisiti dimensionali e quantitativi prescritti dall’art. 24 della legge n. 223 del 1991 ai fini dell’applicabilità della disciplina dei licenziamenti collettivi dovessero essere riferiti all’unico complesso aziendale costituito dalle predette imprese), nonché l’utilizzo diretto del personale di entrambe le compagnie da parte di M.F. s.p.a. (v. Cass. n. 267 del 2019);
6.3. l’accertamento fattuale che sorregge la decisione impugnata, in merito alla compenetrazione tra le strutture aziendali formalmente facenti capo a distinte società, implica la riferibilità della prestazione di lavoro ad un soggetto sostanzialmente unitario; questo accertamento consente di superare il dato formale rappresentato dal titolo giuridico in base al quale i dipendenti di M.F. venivano utilizzati da A.I., vale a dire il distacco ed il ricorso al job posting, come peraltro imposto dal principio di effettività, che permea il diritto del lavoro e che trova espressione in numerose disposizioni normative (v., ad esempio, gli artt. 27, 29 e 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 e succ. modif.; l’art. 8 della legge n. 223 del 1991), a cominciare dall’art. 2094 cod. civ. (Cass. n. 4274 del 2003 cit.); l’accertamento della sostanziale unitarietà della struttura imprenditoriale costituita da M.F. – A.I. esclude inoltre che possa assumere rilevanza decisiva la verifica circa la concreta, effettiva, utilizzazione da parte di entrambe le società delle prestazioni rese dal singolo lavoratore, la cui attività deve comunque ritenersi prestata nell’interesse – indifferenziato – delle due società solo formalmente distinte; l’applicazione nella decisione impugnata di principi già pacifici nella giurisprudenza di legittimità porta ad escludere la sussistenza dei presupposti per la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, come sollecitato nella memoria depositata dalle società ricorrenti;
6.4. conseguenza ineludibile della configurabilità in concreto di un unico soggetto datoriale è la necessità che la procedura collettiva attivata da M.F. coinvolgesse i lavoratori in organico non solo alla detta società ma anche alla società A.I.: ossia tutti i lavoratori dell’unico complesso aziendale risultante dalla integrazione delle due società, non essendo ritualmente dedotti e comprovati i presupposti per la delimitazione della platea dei lavoratori da licenziare al solo organico di M.F., con conseguente assorbimento dell’ulteriore profilo, sottolineato dalla Corte distrettuale e non validamente censurato con il ricorso per cassazione, rappresentato dalla mancata esplicitazione, nella comunicazione ex art. 4, comma 3 l n. 223/1991, delle ragioni che avrebbero giustificato la restrizione del perimetro dei licenziandi ai soli dipendenti formalmente in forza a M.F.;
6.5. la Corte di merito ha valutato l’applicazione dei criteri di scelta rispetto all’intero e unitario complesso aziendale, in aderenza al consolidato orientamento di legittimità (v. tra le altre, Cass. 01/08/2017, n. 19105; Cass. 16/09/2016, n. 18190; Cass. 12/01/2015 n. 203; Cass.03/05/2011 n. 9711; Cass. 23/06/2006, n. 14612);
6.6. la ricostruzione fattuale alla base del decisum di secondo grado e le conseguenze giuridiche che ne sono state tratte, in termini di necessità di estensione della platea dei lavoratori anche ai lavoratori formalmente dipendenti da A.I., non sono incrinate dalle deduzioni oggetto del terzo motivo di ricorso, intese a denunciare la violazione di normativa specifica di fonte europea e del codice della navigazione, le cui disposizioni operano sul piano, affatto diverso, inerente ai presupposti di sicurezza della navigazione aerea;
7. le società ricorrenti deducono, infine, violazione e falsa applicazione dell’art. 18, quarto comma l. 300/1970, per avere la Corte sarda erroneamente posto a carico datoriale l’onere della prova della percezione dal dipendente dell’aliunde perceptum e percipiendum, siccome elemento costitutivo, e non più eccezione, secondo la nuova formulazione della norma, nella modalità di calcolo del danno normativamente stabilita, anche nel solco del principio di “vicinanza della prova”; e parimenti errato nel ritenere che compensi percepiti oltre il termine dei dodici mesi successivi al licenziamento non possano intaccare il limite risarcitorio massimo delle dodici mensilità (quarto motivo);
8. anch’esso è infondato;
9. in merito al primo profilo di censura, questa Corte ha già precisato che il semplice dato della esplicitazione, nell’art. 18, comma 4, l. n.300 del 1970, come riformulato dalla l. n. 92 del 2012, della detraibilità dell’aliunde perceptum e percipiendum, non altera la natura dei compensi percepiti nello svolgimento di altre attività lavorative, quali fatti impeditivi della domanda risarcitoria del lavoratore, (v. Cass. n. 1636 del 2020; n. 30330 del 2019), da veicolare nel processo sotto forma di eccezioni, sia pure in senso lato (v. Cass. n. 21919 del 2010; n. 10155 del 2005; n. 5610 del 2005);
9.1. deve quindi ribadirsi l’onere del datore di lavoro, che contesti la pretesa risarcitoria del lavoratore illegittimamente licenziato, di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l’aliunde perceptum o percipiendi, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito (Cass. n. 22679 del 2018; n. 9616 del 2015; n. 23226 del 2010);
9.2. quanto al secondo profilo, questa Corte ha con recentissimi arresti affermato: “l’art. 18, comma 4, prevede che il giudice “annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto … deve precisarsi che nessuna rilevanza può attribuirsi alla collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel periodo di estromissione, trattandosi di elemento in nessun modo desumibile dalla disposizione in esame e non coerente con il principio della compensatio lucri cum damno, di cui l’aliunde perceptum e percipiendi costituiscono applicazione, che presuppone una valutazione complessiva sia del danno e sia dell’incremento patrimoniale, causalmente ricollegabili al medesimo fatto illecito (v. Cass. n. 16702 del 2020; Cass., S.U., ud. 22.5.2018 nn. 12564, 12565, 12566, 12567; con specifico riferimento all’aliunde perceptum, v. Cass. n. 7453 del 2005; n. 2529 del 2003) … l’aliunde perceptum e percipiendum comportano la riduzione corrispondente (nell’art. 18, comma 4 cit., senza il limite minimo delle cinque mensilità di retribuzione globale di fatto) del risarcimento del danno, subito dal lavoratore per il licenziamento, che va commisurata alle retribuzioni percepite o percepibili nel periodo intercorrente tra il licenziamento e l’effettiva reintegra … nel sistema delineato dall’art. 18, comma 4 cit., il computo dell’indennità risarcitoria deve essere eseguito in relazione all’importo delle retribuzioni perse e di quelle aliunde percepite o percepibili, e non in base al dato temporale riferito ai periodi di inoccupazione oppure di occupazione lavorativa;
somme aliunde percepite o percepibili dal lavoratore nel periodo di estromissione vanno quindi sottratte, con un semplice calcolo aritmetico, dall’ammontare complessivo del danno subito per effetto del recesso e pari, secondo il disposto normativo, alle retribuzioni spettanti per l’intero periodo dal licenziamento alla reintegra; se il risultato di questo calcolo è superiore o uguale all’importo corrispondente a dodici mensilità di retribuzione, l’indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo … in altri termini, la previsione normativa del tetto massimo delle dodici mensilità non incide sul sistema di calcolo del danno effettivamente subito dal lavoratore per effetto del licenziamento (pari alle retribuzioni perse nel periodo di estromissione, depurate di quanto aliunde percepito o percepibile) e rileva solo all’esito del conteggio eseguito, in termini di limite massimo entro cui l’indennità risarcitoria può essere riconosciuta” (Cass. 7 febbraio 2022, n. 3824 e n. 3825, entrambe in motivazione sub p.ti 7.5., 7.7., 7.8. e da 7.11. a 7.13);
9.3. nel caso in esame, sebbene la sentenza d’appello non si sia puntualmente attenuta al principio di diritto sopra richiamato, tuttavia l’errore non inficia la sostanza della decisione, con la conseguenza che il ricorso delle società non può trovare accoglimento e si deve procedere unicamente a correggere la motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c.;
9.4. il ricorso in esame, infatti, non offre alcun elemento sulla cui base possa affermarsi che l’esatta applicazione della regola iuris alla fattispecie per cui è causa avrebbe condotto ad un risultato diverso da quello oggetto della sentenza impugnata ed anzi i dati emergenti dalla sentenza d’appello, in nessun modo contestati, inducono a ritenere che verosimilmente il danno subito dal lavoratore, pari alle retribuzioni perse nell’intero periodo di estromissione, detratto l’aliunde perceptum e percipiendi, sarebbe risultato comunque superiore alle dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
10. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione al difensore antistatario, secondo la sua richiesta, nonché raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.