CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2021, n. 36492
Indennità di accompagnamento – Requisito sanitario – Domanda – Mancata valutazione medico legale della gravità delle patologie
Rilevato che
A. S. è deceduta nelle more del termine tra il giudizio per accertamento tecnico preventivo e il giudizio di merito rivolto a ottenere la verifica del requisito sanitario utile a beneficiare dell’indennità di accompagnamento, avendo avviato la pratica con domanda amministrativa dell’8.11.2011; la commissione medica per l’accertamento, aveva decretato che A. S., pur essendo invalida in misura grave (compresa fra il 67% e il 99%), non possedeva il requisito sanitario per beneficiare dell’indennità di accompagnamento (impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o necessità di assistenza continua per inidoneità al compimento degli atti della quotidianità), di tal che gli aventi causa S. e G.A., figli dell’istante nel frattempo deceduta, contestando la mancata valutazione medico legale della gravità delle patologie della madre, hanno proposto ricorso davanti al Tribunale di Caltagirone, per sentir dichiarare il diritto a percepire i ratei d’indennità spettanti alla loro dante causa;
il Tribunale di Caltagirone, in sede di accertamento tecnico preventivo, ha accertato non sussistente in capo ad A. S. il requisito sanitario utile a godere del beneficio, aggiungendo che i dati documentali erano limitati e che, in assenza di documentazione clinica agli atti, una anamnesi che si fosse basata esclusivamente sulle affermazioni dei figli circa lo stato di salute della madre sarebbe risultata inammissibile;
lo stesso giudice ha inoltre dichiarato non sussistenti motivi di compensazione delle spese, ponendole in capo agli eredi solidalmente; quanto alle dichiarazioni sostitutive di esenzione per motivi di reddito, ne ha statuito la non utilizzabilità nel processo a causa della loro incompletezza;
la cassazione della sentenza è domandata dagli eredi S. e G.A. sulla base di quattro motivi di ricorso;
l’Inps ha depositato controricorso.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, coi, n. 3 cod. proc. civ., i ricorrenti deducono “Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 co.2 c.p.c.”; sostengono che le spese avrebbero dovuto essere compensate stante, per un verso, il riconoscimento dell’invalidità in capo alla loro madre, per altro il mancato riconoscimento del requisito sanitario per ottenere l’indennità di accompagnamento;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., lamentano “Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 co.2 c.p.c. – Compensazione per gravi ed eccezionali ragioni nella sua formulazione ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta dall’art. 13, 1° co., d.l. 12.09.2014, n.132, conv. in I. 10.11.2014, n.162”; sostengono che le gravi ragioni rilevanti, ai fini della compensazione delle spese di lite, sarebbero riscontrabili nella circostanza che il mancato riconoscimento del requisito per ottenere l’indennità di accompagnamento era dipeso non già da una colpa della richiedente, ma dal decesso della stessa antecedente alle operazioni peritali;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., deducono “Violazione o falsa applicazione di legge in relazione alle dichiarazioni di responsabilità – Omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’incompletezza delle suddette dichiarazioni”; lamentano la mancata specificazione del motivo d’incompletezza riscontrato nelle dichiarazioni sostitutive di esenzione per motivi di reddito;
col quarto e ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., contestano ” Violazione o falsa applicazione di legge – Violazione dell’art. 152 bis disp.att.c.p.c. – quando la p.a. è assistita dai propri dipendenti le spese devono essere decurtate del 20 per cento”, chiedendo, in via subordinata, la corrispondente riduzione della condanna alle spese di lite da Euro 1.775,00 ad Euro 1.424,00; i primi due motivi, esaminati congiuntamente per evidente connessione, vanno dichiarati inammissibili;
per un verso, i motivi invocano solo apparentemente la violazione delle norme di legge, mentre, in realtà chiedono una rivalutazione del merito, inibita in questa sede (ex multis, cfr. Cass. n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
per altro verso, la reciproca soccombenza prospettata non si ravvisa nel caso in esame, posto che la richiedente non ha conseguito il bene della vita per cui aveva fatto istanza e per il quale l’accertamento medico preventivo ha disconosciuto l’esistenza del requisito richiesto dalla legge per poterne usufruire; perciò, nel caso in esame, non risulta violato il principio della soccombenza, che rappresenta il solo limite alla facoltà discrezionale del giudice del merito di compensare le spese di lite, potere insindacabile in sede di legittimità;
questa Corte ha costantemente affermato che «In tema di spese processuali, la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 cod. proc. civ., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea, mentre in ogni altro caso e in particolare ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, abbia compensato le spese o al contrario le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendone l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione, la statuizione è insindacabile in sede di legittimità, stante l’assenza di un dovere del giudice di motivare il provvedimento adottato, senza che al riguardo siano configurabili dubbi di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 111 Cost.» ( Così Cass. n. 17692 del 2003; cfr. anche Cass. n.2730 del 2012);
il terzo motivo è inammissibile;
parte ricorrente non contesta la seconda ratio decidendi espressa da Tribunale e da sola idonea a sorreggere la decisione; la Corte d’appello, dopo aver rilevato l’incompletezza delle dichiarazioni di esenzione, ha altresì affermato che, comunque, il contributo unificato era stato già pagato;
va applicato pertanto, nel caso di specie, il principio pacificamente affermato da questa Corte in base al quale, quando una decisione di merito si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali da sola sufficiente a sorreggerla, il ricorrente in sede di legittimità ha l’onere, a pena d’inammissibilità del ricorso, di impugnarle (fondatamente) tutte, non potendo altrimenti pervenirsi alla cassazione della sentenza (Cass. n. 10815 del 2019 e Cass. n. 17182 del 2020);
quanto alla doglianza concernente il vizio di motivazione circa l’incompletezza delle dichiarazioni sostitutive per l’esenzione dal pagamento del contributo unificato, questa non è specificamente prospettata, mancando dell’allegazione o, quanto meno della localizzazione delle predette dichiarazioni; le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Sez. Un. n. 8053/2014);
la formulazione della doglianza da parte del ricorrente finisce per denunciare non già l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale;
per tali ragioni, rimane insuperata tanto l’affermazione del Tribunale circa l’incompletezza delle dichiarazioni sostitutive, quanto quella sull’avvenuto pagamento del contributo unificato;
il quarto e ultimo motivo è parimenti inammissibile per carenza di specificità;
in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione, in ragione dei principi di specificità e di allegazione, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n.11603 del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.800,00 a titolo di compensi professionali, oltre interessi nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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