CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 novembre 2022, n. 34707

Tributi – IRPEF – Previdenza integrativa aziendale – Prestazione erogata in forma capitale – Trattamento tributario

Rilevato che

1. Il contribuente E.E., ex dirigente dell’E. s.p.a., ha richiesto all’Agenzia delle Entrate il rimborso delle somme che il sostituto d’imposta avrebbe indebitamente trattenuto in eccedenza, come ritenuta IRPEF, sul capitale erogatogli a titolo di previdenza integrativa sulla base dell’accordo tra E. e F.N.D.A.I. del 16 aprile 1986, applicando l’aliquota media prevista per il trattamento di fine rapporto dagli artt. 16 e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Sosteneva infatti il contribuente che l’erogazione in questione andava piuttosto assoggettata all’aliquota del 12,50% sulla differenza tra il capitale erogato ed i premi riscossi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, comma 4, del d.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917 e 6 della legge del 26 settembre 1985, n. 482.

Pertanto, il contribuente riteneva indebitamente trattenuta, per effetto dell’erronea applicazione della maggior aliquota, la somma della quale chiedeva la ripetizione.

2. Avverso il silenzio-rifiuto dell’istanza, il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino, che lo ha accolto.

3. Contro la decisione di primo grado l’Ufficio ha quindi proposto appello innanzi alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, che lo ha rigettato.

4. Avverso tale sentenza d’appello l’Amministrazione ha proposto ricorso principale per cassazione, mentre il contribuente ha proposto ricorso incidentale, e questa Corte, con l’ordinanza n. 30378/2011, depositata il 30 dicembre 2011, ha così deciso: « La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il principale, rigetta l’incidentale, cassa e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Piemonte.».

4.1. Giova trascrivere, per quanto, per quanto qui interessa, la motivazione della stessa ordinanza, relativa al ricorso principale erariale: « […] il ricorso appare manifestamente fondato, in considerazione del principio statuito dalle SU di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, resa in controversia analoga, secondo la quale: “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1 lett. a) e 17 del TUIR, solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art 6 della Legge n. 482 del 1985; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, 1 lett. a) e 17 del TUIR”. […] dovendo ribadirsi che la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art 6 della Legge n. 482 del 1985, va applicata, solo, sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, per tale dovendo intendersi, in base al citato arresto delle SU n. 13642 del 2011, “il rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.».

5. Riassunto dal contribuente il giudizio innanzi la CTR del Piemonte in diversa composizione, quest’ultima, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello erariale e « decidendo in sede di rinvio in parziale riforma della sentenza impugnata» ha disposto il rimborso al contribuente, accogliendo la tesi di quest’ultimo.

6. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza emessa dal giudice del rinvio, proponendo un solo motivo.

7. Il contribuente si è costituito con controricorso ed ha depositato memoria.

Considerato che

1. Preliminarmente, deve darsi atto che nella memoria il controricorrente ha chiesto che venga rimessa la causa alle sezioni Unite di questa Corte.

L’istanza, formulata a questo Collegio e da intendersi quindi quale sollecitazione all’esercizio del potere d’ufficio di cui all’art. 376, terzo comma, cod. proc. civ., rappresenta una mera sollecitazione all’esercizio del relativo potere discrezionale, il quale non solo non è soggetto ad un obbligo di motivazione, ma neppure deve necessariamente manifestarsi in uno specifico esame e rigetto della stessa istanza (Cass. 22/06/2016, n. 12962).

Tanto premesso, deve comunque rilevarsi che, a fronte della già intervenuta pronuncia delle S.U. e dell’orientamento giurisprudenziale consolidatosi di cui infra si dirà, questo Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per la richiesta rimessione e che il ricorso possa essere deciso nell’ adunanza di questa sezione semplice, così come peraltro avvenuto per molte altre fattispecie relative agli stessi aspetti del medesimo contenzioso.

2. Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, del d.lgs. 1992,n. 546 e 384 cod. proc. civ. e degli artt. 2697 ss. cod. civ., assumendo che il giudice a quo non si sarebbe uniformato al principio di diritto enunciato nell’ordinanza di questa Corte con l’ordinanza n. 30378/2011, che ha cassato, con rinvio, la precedente decisione della CTR.

Secondo la ricorrente, il giudice a quo, quale giudice del rinvio, non avrebbe utilizzato i criteri dettati da questa Corte, nel relativo principio di diritto, nel distinguere, all’interno dell’intera somma percepita dal contribuente a titolo di liquidazione in capitale del trattamento di previdenza integrativa aziendale, la parte derivante dal rendimento maturato fino al 31.12.2000, cui applicare l’ aliquota del 12,50%.

Infatti, sostiene la ricorrente, la Corte, richiamando Cass. Sez. Un., 22/06/2011, n. 13642, ha precisato che, nell’ambito della suddetta somma complessiva, l’aliquota del 12,50% poteva applicarsi esclusivamente alla parte derivante dal « “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato», che il giudice del rinvio avrebbe dovuto determinare quantificando il relativo importo in base agli investimenti concretamente effettuati dal Fondo sul mercato finanziario.

Si imponeva, pertanto, l’accertamento, da parte della CTR, dell’esistenza e della quantificazione di un «rendimento» netto, maturato fino al 31.12.2000, derivato dagli investimenti concretamente effettuati dal Fondo sul mercato, alla stregua delle norme contrattuali via via applicabili, e delle plusvalenze con essi realizzati.

Nella sentenza impugnata, invece, il giudice del rinvio, ha dato atto che il capitale era stato «investito» all’interno della stessa azienda E. s.p.a. ed ha identificato il «rendimento», cui applicare l’aliquota del 12,50%, sulla base di una certificazione proveniente da quest’ultima, nella quale la voce «rendimenti conseguiti» è priva di qualsiasi concreto ed analitico riferimento sia agli incrementi dei quali la posizione individuale del contribuente in questione ha effettivamente beneficiato; sia, e soprattutto, circa la provenienza dei relativi importi da specifiche forme di investimento del capitale sul mercato.

Partendo da tale certificazione, il giudice a quo ha quantificato il «rendimento» per mera differenza tra prestazione percepita dal contribuente e contributi a carico del dirigente e dell’azienda, identificandolo come il rendimento derivante dall’impiego del capitale in parola all’interno dell’azienda stessa.

In questo modo, sostiene quindi la ricorrente Agenzia, il giudice del rinvio ha violato i criteri dettati nel principio di diritto che doveva applicare.

2.1. Il motivo è ammissibile, a differenza di quanto eccepito dal controricorrente, in quanto non attinge meramente gli accertamenti in fatto operati dalla CTR, ma censura il criterio normativo (mediato dal principio di diritto espresso da questa Corte con l’ordinanza di cassazione con rinvio), applicabile al caso di specie, in base al quale il relativo giudizio di merito doveva essere condotto.

Il motivo è altresì fondato e va accolto.

Infatti, la tesi sostenuta dal contribuente nel controricorso, secondo cui il principio affermato dalle Sezioni Unite in subiecta materia andrebbe sezionato distinguendo, da un lato, il fondo P.I.A. (il cui rendimento di polizza sarebbe da ritenere comunque sottoposto al regime fiscale di cui all’art. 6 legge n. 482 del 1985, ancorché non ottenuto attraverso la gestione del capitale accantonato sul mercato) e, dall’altro, il fondo denominato FondE. (al quale soltanto andrebbe correlato il riferimento al rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato), costituisce una posizione difensiva da considerarsi, comunque, nel caso di specie preclusa dal principio di diritto affermato nella sentenza di cassazione con rinvio che, pur richiamando il principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13642 del 2011, ne ha fornito una lettura che costituisce ormai irretrattabile regola del caso concreto (nello stesso senso, con riferimento al rapporto, nella medesima materia, tra il principio di diritto esposto da Cass., S.U., n. 13642/2011, richiamato nella precedente ordinanza di rinvio, ed i limiti del giudizio rimesso al giudice del rinvio, cfr. Cass. n. 10285/2017, in motivazione).

7.1. Al riguardo, infatti, l’ordinanza che ha cassato la precedente decisone e rinviato alla CTR ha affermato che il meccanismo impositivo di cui all’art. 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482 (aliquota del 12,50% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo), per gli importi di cui qui trattasi, maturati a favore del ricorrente fino al 31.12.2000, si applica nel caso di specie « solo, sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, per tale dovendo intendersi, in base al citato arresto delle SU n. 13642 del 2011, “il rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”.».

E’ quindi inequivoco, nel principio di diritto da applicarsi al caso di specie, lo specifico riferimento alla necessità, al fine di applicare l’aliquota pretesa dal contribuente, che il « rendimento» sia stato generato dall’effettiva gestione sul mercato delle somme accantonate.

2.2. Peraltro, come questa Corte ha già rilevato (Cass. 15/06/2018, n. 15853, in motivazione; Cass. 30/10/2018, n. 27610, in motivazione), la pretesa distinta considerazione, al fine che qui interessa, tra P.I.A. e F.E.. non può comunque ricavarsi dal ripetuto arresto delle Sezioni Unite, il quale invero descrive il fondo de quo in termini chiari e univoci, e senza alcuna distinzione rispetto alle diverse configurazioni succedutesi nel tempo, quale «fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente» le cui prestazioni sono composte «da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato»; data tale premessa non può dubitarsi – anche per la congiunzione «sicché» che lega i due periodi da nesso logico di conseguenzialità – che il successivo riferimento testuale al «rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A.)» abbia solo un valore descrittivo/esemplificativo della parte dei capitali corrisposti eventualmente tassabile nella misura del 12,5 per cento ai sensi dell’art. 6 legge n. 482 del 1985, fermo restando il requisito poco prima indicato perché un tale rendimento possa effettivamente identificarsi, rappresentato dall’essere lo stesso discendente dalla «gestione sul mercato del capitale accantonato». Resta dunque confermato che il requisito del rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, andrà ricercato – anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a F.E., ai fini dell’ applicazione dell’aliquota del 12,5% , ai sensi dell’art. 6 legge n. 482 del 1985, ai capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi F.E.) prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993 – solo limitatamente a quella parte di essi che, per l’appunto, costituisca rendimento netto nel senso appena precisato.

2.3. Su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale accantonato e che ne costituiscano il rendimento, la successiva giurisprudenza di questa Corte si è già attestata con numerosi arresti (cfr. ex multis Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 7/3/2018, n. 5436; Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 18/10/2017, n. 24525; Cass. 26/4/2017, n. 10285; Cass. n. 720/2017; Cass. n. 10604/2015; Cass. n.8310/2014; Cass. n. 3132/2014; Cass. n. 22950/2013; Cass. n.7724-7728/2013), di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso (tra i quali, con riferimento alla P.I.A., Cass. n. 11830/2017 e Cass. n.11836/2017, superate sul punto dalle già citate Cass. 15/06/2018, n. 15853 e Cass. 30/10/2018, n. 27610, che hanno ribadito puntualmente, in motivazione, la continuità dell’orientamento al quale anche in questa sede si intende aderire).

Ed in questo senso si è pronunciata anche la sentenza di questa Corte che, cassando la precedente decisione della CTR, ha fatto specifico riferimento, nel contesto del principio di diritto, proprio all’investimento sul «mercato».

2.4. Per completezza, è opportuno aggiungere che, nel dare continuità al predetto orientamento, questa Corte ha anche precisato che non v’è ragione di circoscrivere ulteriormente il requisito – necessario anche rispetto ai capitali maturati ed agli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a F.E.- ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario, secondo l’ indicazione fornita dalla Risoluzione n. 102/E del 26 novembre 2012 dell’Agenzia delle entrate ed avallata da diverse sentenze successive alla citata pronuncia delle Sezioni Unite (v. ex aliis Cass. nn. 7724-7728, 12491-12496, 22950 del 2013; Cass. nn. 3136, 6380 e 8310 del 2014; Cass. n. 1977 del 2015), ma non contenuta in quest’ultima, che parla soltanto di «gestione sul mercato», senza alcuna aggettivazione.

Pertanto, il requisito della derivazione del rendimento dalla «gestione sul mercato» del capitale accantonato, che identifica la ragione stessa della più favorevole tassazione del reddito, non presuppone necessariamente che lo stesso rendimento costituisca il risultato di investimenti, effettuati dall’ente di gestione della somma versata, indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), ma comprende anche quelli diretti verso altri tipi di mercato (Cass., n. 10285/2017. Conformi Cass., 15/06/2018, n. 15853; Cass. 30/10/2018, n. 27610).

2.5. A differenza di quanto sostenuto dal contribuente, il «rendimento» derivante dalla «gestione sul mercato» del capitale accantonato non può però identificarsi, al fine di applicare l’aliquota del 12,50%, con quello determinato, pro quota, in corrispondenza alla redditività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’E. s.p.a., poiché la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto che tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’E. s.p.a.) costituisce, comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale (così la citata Cass. n. 10285/2017.Nello stesso senso Cass. n. 5436/2018. Cfr. Cass. n. 4941/18).

2.6. La lettura dell’ordinanza di rinvio – che rimetteva la causa al giudice del merito, affinché facesse concreto accertamento della natura dell’attribuzione patrimoniale su cui va applicata la tassazione – esclude la fondatezza della tesi del controricorrente secondo la quale, nel giudizio di merito, per effetto dell’asserita mancata contestazione da parte dell’Ufficio circa l’applicazione dell’aliquota del 12,50%, sarebbe divenuta incontestabile la sussistenza del «rendimento», inteso nel senso sinora precisato.

Infatti, la verifica dell’esistenza o meno dei presupposti dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, che dalla stessa sentenza impugnata risulta sempre contestata dall’Ufficio nel giudizio di merito, costituiva proprio l’accertamento demandato al giudice del rinvio. Dunque al giudice del rinvio non era rimessa esclusivamente la determinazione del quantum delle somme sulle quali applicare l’aliquota ridotta, ma necessariamente anche l’accertamento, a monte, dell’an di un «”rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato» (Cass. 30712/2011, n. 30378, cit.).

2.7. Premesso quindi che l’Ufficio (come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso controricorso) ha negato in radice l’esistenza dei presupposti dell’ applicabilità dell’aliquota del 12,50% nel caso di specie, e quindi l’esistenza stessa del preteso diritto del contribuente al rimborso, deve escludersi che la produzione, da parte del contribuente, della documentazione, proveniente dall’E. s.p.a., che quantifichi e conteggi il preteso «rendimento netto», possa aver reso incontestabile tale ultimo dato, anche a prescindere da una specifica contestazione della documentazione stessa da parte dell’Ufficio.

Infatti, questa Corte (Cass., n. 29613/11) ha già precisato che «il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull’an debeatur (Cass. SS.UU. 761/02)» e che « il principio di non contestazione opera sul piano della prova, cosicché nel processo tributario (nel quale pure è certamente applicabile, vedi Cass. n. 1540/07) esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (cfr. Cass. 7789/ 06)».

Con specifico riferimento proprio alla medesima materia qui sub iudice, è stato inoltre ritenuto (Cass., 12/05/2016, n. 9732) che «In tema di contenzioso tributario, il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore-contribuente, che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, allorché il convenuto abbia negato l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell'”an debeatur”, poiché il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il “thema decidendum” ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda. (Fattispecie relativa alla non contestazione da parte dell’Ufficio dei dati risultanti dalla documentazione prodotta dal contribuente, in ordine al rendimento di polizza in presenza di contestazione dell’intera domanda introdotta).».

Peraltro – fermo restando che lo stesso controricorrente identifica il «rendimento» con quello determinato in corrispondenza alla redditività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’E. s.p.a., ritenuto da questa Corte comunque inidoneo al fine di applicare l’aliquota del 12,50% (così la citata Cass., n. 10285/2017.Nello stesso senso Cass. n. 5436/2018. Cfr. Cass. n. 4941/18) – questa Corte ha già avuto modo di chiarire anche che documentazione come quella prodotta dal contribuente, proveniente dall’E. s.p.a., riprodotta in parte dal controricorrente e menzionata nella motivazione dal giudice a quo, non è idonea ad assolvere all’onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento del suo diritto al preteso rimborso, poiché, come sostenuto nel ricorso per il quale si procede, non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (confr. Cass., 21.12.2016, n. 720; Cass., 15.3.2017, n. 13278; Cass. 16.3.2017, n. 13281). Né comunque – per le ragioni già esposte in ordine al concetto di «rendimento» che qui rileva- l’accertamento e la quantificazione del «rendimento», inteso come risultato di specifiche forme di investimento del capitale sul mercato, effettuate dal gestore, può derivare dalla mera elaborazione di dati relativi alla differenza tra l’importo della prestazione liquidata da E. , in misura pari al valore attualizzato delle future prestazioni previste dall’accordo del 16 aprile 1986, e quella corrispondente alla somma dei contributi versati e del capitale iniziale di dotazione della PIA.

Quanto poi alla perizia di parte prodotta dal contribuente e menzionata nella motivazione della sentenza impugnata, in essa – così come rilevato dalla CTR nella stessa sentenza (pagg. 7 s.) e dal contribuente nel controricorso (cfr. pagg. 37 s.) – il rendimento dei versamenti accantonati è determinato in corrispondenza alla redditività ottenuta sul mercato dal patrimonio dell’E. s.p.a. (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito). Ma la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto che tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’E.) costituisce, comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale (così la citata Cass., n. 10285/2017.Nello stesso senso Cass. n. 5436/2018. Cfr. Cass. n. 4941/18).

Pertanto ha comunque errato, per le ragioni appena esposte, il giudice a quo nel ritenere che, attraverso la perizia in questione, il contribuente abbia fornito la prova della sussistenza di un «rendimento», nel senso del principio di diritto espresso, anche tramite il richiamo di Cass., S.U., n. 13642/2011, dall’ordinanza di questa Corte che ha cassato con rinvio la precedente decisione della CTR.

2.8. Nel caso concreto sub iudice, l’indimostrata sussistenza, ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, di un «rendimento» netto derivante dall’investimento effettivo delle somme accantonate sul mercato, è risultata del resto palese allo stesso giudice a quo, il quale ha infatti ritenuto dimostrata l’esistenza di una specie di «rendimento» diversa da quella definita nel principio di diritto che doveva applicare, in quanto derivante dall’impiego del capitale in parola all’interno dell’azienda» (pagg. 7 s. della sentenza impugnata), piuttosto che generato dalla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato, come prescritto invece dall’ ordinanza di legittimità che ha cassato con rinvio.

2.9. Tutto ciò premesso, deve quindi concludersi che, così come denunciato dall’Agenzia ricorrente, il giudice a quo, non si è attenuto al principio di diritto laddove ha individuato, al fine dell’applicazione dell’aliquota del 12,50% e, pertanto, dell’accoglimento della domanda di rimborso del contribuente, un «rendimento» derivante non dalla gestione sul mercato del capitale accantonato, ma dall’impiego del capitale in parola all’interno dell’azienda.

La sentenza impugnata va quindi cassata.

Non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, atteso che lo stesso controricorrente identifica, al fine dell’applicazione dell’aliquota del 12,50 %, il «rendimento» con quello determinato – in base a criteri di matematica attuariale, in funzione dei vincoli contrattuali assunti – in corrispondenza alla redditività ottenuta dall’intero patrimonio dell’E. s.p.a. (pagg. 37 s. e passim nel controricorso). Tuttavia, per quanto già detto, il «rendimento» netto derivante dall’impiego del capitale in parola all’interno dell’azienda non integra comunque, al fine che qui interessa, quel rendimento generato dalla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato» prescritto invece dalla sentenza di legittimità che ha già cassato, con rinvio, la precedente decisione di merito.

Va pertanto rigettato il ricorso introduttivo del contribuente.

3. Le spese dei precedenti gradi di merito si compensano e quelle di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente, compensando le spese dei giudizi di merito e condannando il controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.