CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 ottobre 2018, n. 26948
Tributi – Agevolazioni fiscali – Soggetti colpiti da calamità naturali – Sisma Sicilia 1990-1992 – Rimborso delle imposte sui redditi versate
Rilevato che
1. Con la sentenza impugnata la CTR della Sicilia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da R. M. avverso il diniego tacito opposto dall’amministrazione finanziaria al rimborso della quota pari al 90 per cento delle imposte sui redditi versate per gli anni 1990, 1991 e 1992, richiesto dal predetto contribuente, residente in una delle province colpite degli eventi sismici del dicembre 1990, ai sensi della legge n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, e dal giudice di appello ritenuto al medesimo spettante sulla scorta dello jus sifperveniens (costituito dalla legge n. 190 del 2014, art. 1, comma 665) dei principi giurisprudenziali in materia e della tempestività dell’istanza.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre con tre motivi l’Agenzia delle entrate, cui replica l’intimato con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, 11 e 14 delle preleggi, 3, comma 1, della legge n. 212 del 2000, 3, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997 e 2033 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo di non condividere l’orientamento di questa Corte in ordine all’applicabilità dell’agevolazione prevista dalla legge n. 289 del 2000, art. 9, comma 17, anche ai contribuenti che all’entrata in vigore di tale disposizione di favore avevano integralmente versato le imposte relative agli anni 1990, 1991 e 1992. Osserva che la norma é chiara nel disporre la riduzione del carico fiscale esclusivamente per le imposte non versate; che ciò è confermato dalla sopravvenuta disposizione di cui all’art. 3 quater, comma 2, della legge n. 17 del 2007, di conversione del d.l. n. 300 del 2006, che, nel differire i termini per la definizione della posizione di quei contribuenti ai sensi dell’art. 9, comma 17, della legge 289 del 2002, prevede che la definizione si perfeziona con il versamento dell’intero ammontare dovuto per ciascun tributo; che trattasi di norma agevolativa e, come tale, di stretta interpretazione (art. 14 preleggi); che l’esigenza di evitare una disparità di trattamento in danno del contribuente più diligente, ravvisata da questa Corte nella sentenza n. 20641 del 2007, era stata esclusa anche dalla Corte costituzionale che più volte si era pronunciata affermando la compatibilità con il principio di uguaglianza di discipline di sanatoria differenziate in ragione dell’intervenuto pagamento o meno di contributi (ord. 303/1997; 143/1999, sent. 178/2000) o di imposte (sent. 32/1976; n. 33/1981 e ord. 539/1987; sent. 416/2000); che nella sentenza n. 416 del 2000 la Corte costituzionale aveva poi affermato la coessenzialità dell’incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati alla tecnica del condono (previdenziale o fiscale).
1.1. Il motivo di ricorso non supera lo scrutinio di ammissibilità di cui all’art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione (Cass., Sez. U., n. 7155 del 2017), atteso che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nella citata disposizione processuale, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, là dove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (cfr. Cass. n. 3142 del 2011 e n. 19190 del 2017).
1.2. Come ripetutamente affermato da questa Corte in analoghi ricorsi (cfr., ex aliis, Cass. n. 9780, n. 9785 e n. 14320 del 2018) le tesi sostenute dalla difesa erariale nel motivo in esame sono del tutto identiche a quelle esaminate e confutate da questa Corte nella sentenza n. 20641 del 2007 e poi ancora nelle sentenze n. 11247 del 2010 e n. 3832 del 2012, così come analoga confutazione hanno avuto le argomentazioni svolte dalla difesa erariale con riferimento ai principi espressi dalla Corte costituzionale nelle pronunce dalla medesima citate nel ricorso (sul punto, v. Cass. n. 18205 del 2016).
2. Il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce la violazione degli artt. 9, comma 17, della legge 289 del 2002, 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, 12 e 14 delle preleggi, nonché 112 cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere spettante al contribuente il rimborso delle ritenute operate dal datore di lavoro del medesimo, è infondato e va rigettato.
3.1. Premesso che nella specie è certo che il contribuente sia un lavoratore dipendente, in quanto circostanza espressamente accertata dalla CTR (che ha affermato che “Non si può dubitare che il soggetto richiedente il rimborso non esercita attività d’impresa, essendo un lavoratore dipendente, come si rileva dalla documentazione prodotta in primo grado”) e non contestata, ma anzi ribadita, dalla ricorrente (si legge nel ricorso che “L’odierna controversia trae origine dal silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso delle imposte dirette versate negli anni 1990/1991/1992, riguardante persona fisica che ha dichiarato, nel periodo di riferimento, redditi da lavoro dipendente”).
3.2. Ciò posto deve osservarsi che è orientamento di questa Corte, ormai definitivamente consolidatosi (cfr. Cass. n. 14406 del 2016, n. 17472 e n. 17473 del 2017, cui hanno fatto seguito numerosissime pronunce di questa Sottosezione, tra cui n. 27858, n. 29384, n. 29382 del 2017, da n. 29899 a n. 29906 del 2017, n. 31223 del 2017, da n. 227 a 232 del 2018 nonché nn. 318, 414, 422, 425, 429 e 430 del 2018), quello secondo cui, in tema di agevolazioni tributarie, il rimborso d’imposta di cui all’art. 1, comma 665, della L. n. 190 del 2014, a favore dei soggetti colpiti dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, che non svolgono attività di impresa, può essere richiesto sia dal soggetto che ha effettuato il versamento (cd. sostituto d’imposta) sia dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”), nella sua qualità di lavoratore dipendente e beneficiario diretto del provvedimento agevolativo in questione.
3.3. Il citato principio ha recentemente trovato l’avallo del Legislatore che, modificando l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, con l’art. 16-octies, comma 1, lett. b), della legge n. 123 del 2017, di conversione, con modifiche, del d.l. n. 91 del 2017, ha ricompreso espressamente tra i beneficiari dell’agevolazione “i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonché i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite”‘, e nella medesima direzione si è espressa anche l’Agenzia delle entrate nel provvedimento direttoriale, prot. n. 195405/2017 del 26/09/2017, in netta controtendenza rispetto ai precedenti documenti di prassi (peraltro non vincolanti) di cui si fa menzione nel ricorso.
3.4. Al riguardo non può omettersi di rilevare che i limiti quantitativi al rimborso delle maggiori imposte pagate, fino a concorrenza dell’apposito stanziamento con riduzione del 50% in ipotesi di eccedenza delle richieste, introdotti dalla norma sopravvenuta, attuata con il sopra citato provvedimento direttoriale, non incide sul titolo della ripetizione, ma unicamente sull’esecuzione dello stesso, delineandosi come un posterius rispetto all’odierno giudizio; peraltro, costituisce jus receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incida sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (es. tra le tante Cassazione civile, sez. trib., 24/04/2015, n. 8373, in tema di IVA), che rende complessivamente tuttora operanti e pienamente attuali i consolidati principi di diritto enunciati in materia da questa Corte.
3.5. Ritiene, quindi, il Collegio che il delineato ius superveniens, attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale, per nulla incide sulla questione della quale è investita la corte con il ricorso in esame, ovvero del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, qual è il controricorrente, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza.
4. Palesemente infondato è anche il terzo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce la violazione degli artt. 9, comma 17, legge 289 del 2002, 21, comma 2, secondo periodo, d.lgs. n. 546 del 1992, 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, 12 e 14 delle preleggi nonché 112 cod. proc. civ. per avere la CTR errato nel ritenere tempestiva l’istanza di rimborso, avanzata in data 26/02/2009, cioè a distanza di oltre cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 289 del 2002.
4.1. Al riguardo questa Corte già nella citata sentenza n. 18205 del 2016 ha affermato che lo ius superveniens costituito dall’art. 1, comma 665, ultima parte, della legge n. 190 del 2014, ha espressamente previsto che “Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248″ e cioè dal 10 marzo 2008, cosicché l’istanza presentata dal contribuente in data 26/02/2009 (pagg. 2 e 5 della sentenza e pagg. 2 e 10 del ricorso) è, all’evidenza, tempestiva.
5. Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile e gli altri vanno rigettati.
6. La ricorrente va condanna al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo, mentre, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso e rigetta gli altri. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.
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