CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 ottobre 2018, n. 26950
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Movimentazioni bancarie – Raddoppio dei termini – Verifica della sussistenza dei presupposti
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori redditi ai fini IRPEF, per l’anno di imposta 2008, risultanti da movimentazioni bancarie e plusvalenze su titoli azionari, con la sentenza in epigrafe la CTR della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e confermava l’annullamento del predetto atto impositivo sostenendo la non applicabilità alla fattispecie del raddoppio dei termini di accertamento per mancata allegazione della denuncia penale, che aveva impedito la verifica della sussistenza dei presupposti per l’obbligo di denuncia penale;
— per la cassazione della sentenza di appello ricorre con unico motivo l’Agenzia delle entrate, cui replica l’intimato con controricorso;
— sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il controricorrente ha depositato memoria;
Considerato che
– con il motivo di ricorso la difesa erariale, deducendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto) non applicabile alla fattispecie il raddoppio dei termini di accertamento per essere stata omessa la produzione in giudizio della denuncia penale ed impedita, in tal modo, la verifica della sussistenza dei relativi presupposti;
– va preliminarmente precisato che è infondata la tesi sostenuta dal controricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis, secondo comma, ultimi parte, c.p.c., secondo cui nella sentenza impugnata sarebbe ravvisabile una ratio decidendi, ravvisabile nell’accertata insussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale, ulteriore rispetto a quella dedotta nel superiore motivo e non censurata dalla ricorrente; invero, la CTR è pervenuta alla conclusione dell’insussistenza sub specie dei presupposti di applicabilità del raddoppio dei termini non perché effettivamente insussistenti ma perché la mancata produzione in giudizio del documento ne aveva impedito la verifica; emblematica in tal senso l’affermazione dei giudici di appello secondo cui «Questa Commissione, per compiere una valutazione (…) deve necessariamente esaminare la denuncia presentata all’Autorità giudiziaria al fine di riscontrare la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale»;
va altresì rilevato che le argomentazioni svolte nel mezzo di cassazione, in cui viene reiteratamente affermata la sussistenza dell’obbligo di denuncia, con onere di verifica incombente sul giudice «(senza bisogno di un esame cartolare della querela eventualmente presentata)» (v. ricorso, pag 5), sono tali da investire l’intero decisum di merito;
– passando, quindi, all’esame del motivo di ricorso, osserva il Collegio che secondo il consolidato orientamento di questa Corte «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016);
– nelle citate pronunce la Corte ha avuto cura di precisare:
a) che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che e un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice;
b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 – c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.);
c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché dlgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento) relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati — come nel caso in esame, in cui l’atto impositivo risulta notificato in data 08/01/2014 — si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non e stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto;
– pertanto, riferimento ad avviso di accertamento emesso e notificato nell’anno 2013, come nel caso in esame, ciò che assume rilevanza ai fini dell’operatività del raddoppio dei termini di accertamento, è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti e, quindi, sia astrattamente configurabile un’ipotesi di reato finanziario (cfr. Cass. n. 9322 del 2017), restando del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato e persino l’omissione della comunicazione, di talché «la mancata allegazione della denuncia penale», addotta dalla CTR a fondamento della statuizione impugnata, è circostanza del tutto irrilevante, spettando ad essa accertare la sussistenza di seri indizi di reità (e non la «certezza degli elementi del reato da denunciare», come affermato dalla CTR), in particolare quello di infedele dichiarazione ex art. 4 della legge n. 74 del 2000 vigente ratione temporis;
– il ricorso va, in definitiva, accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR per il riesame della vicenda processuale alla stregua dei suesposti principi e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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