CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 ottobre 2019, n. 27271
Tributi – Definizione agevolata di lite tributaria pendente – Art. 39, co. 12, D.L. n. 98 del 2011 – Cartella di pagamento – Sanzioni ed interessi per carenti, omessi e tardivi versamenti d’imposta Iva, Irpef, Irap – Applicabilità
Fatti di causa
in data 4.10.2012 veniva notificato all’odierna ricorrente, A.L., il decreto di diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sua istanza di definizione agevolata di lite tributaria pendente, trasmessa dalla contribuente in via telematica il 27.3.20012 e proposta in relazione alla cartella di pagamento n. 097 2004 0274257382.
Il diniego veniva opposto dall’Ufficio sul presupposto che alla lite in questione non fosse applicabile l’art. 39, comma 12, D.L. n. 98 del 2011, trattandosi di una controversia relativa “all’iscrizione a ruolo di sanzioni ed interessi per carenti, omessi e tardivi versamenti d’imposta Iva, Irpef, Irap relative all’annualità 2000” (sent. CTR, p. 2).
La contribuente impugnava il provvedimento di diniego innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la quale affermava però l’impossibilità di valutare la fattispecie concreta per “carenza assoluta di documentazione idonea a supportare le ragioni prospettate” dall’appellante, ed osservando che, ai fini della definibilità, occorreva distinguere i casi in cui l’Amministrazione avesse esercitato un mero potere di controllo formale relativo alla riscossione di quanto dichiarato, dalle ipotesi di “rettifica cartolare” delle risultanze della dichiarazione, perché nel primo caso la lite pendente non sarebbe risultata suscettibile di definizione agevolata.
La sentenza di primo grado era confermata in sede d’appello.
Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale capitolina ha proposto ricorso per cassazione L.A., affidandosi ad un unico motivo di impugnazione. L’Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente, invocando il disposto di cui all’art. 370, comma primo, cod. proc. civ., al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
La ricorrente ha pure depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.1. – La contribuente contesta con il suo unico motivo di impugnazione, formulato ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in quanto l’adita CTR “si è limitata ad affermare con motivazione stereotipa che possono essere definite, ai sensi dell’art. 16, comma 3, della Legge n. 289/2002, cui rinvia il richiamato art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011, solo le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, salvo poi dichiarare che non era definibile in via agevolata la cartella di pagamento della contribuente, perché avente valore di semplice atto di riscossione, laddove avrebbe dovuto sincerarsi della natura impositiva di detta cartella, derivante dal fatto che essa non risultava preceduta da alcun avviso di accertamento (ciò con riguardo soprattutto all’IRAP) ed era comunque irrogativa di sanzioni” (ric. p. 19).
2.1. – Mediante il suo motivo di ricorso la contribuente si duole della violazione di legge in cui ritiene sia incorsa la Commissione Tributaria Regionale impugnata, per aver reputato che “nella fattispecie in esame, la cartella di pagamento non è un atto impositivo, ma un mero atto di riscossione ricognitivo delle imposte dichiarate dalla contribuente, liquidate e non versate (dalle risultanze del controllo automatizzato)” (sent. CTR p. 3).
Nello specifico, la ricorrente afferma che l’art. 39, comma 12, del DI. n. 98 del 2011, avrebbe dovuto essere interpretato nel senso di estendere la definibilità a tutte le liti fiscali riguardanti atti impositivi emessi dall’Agenzia delle Entrate, come tali dovendo intendersi: “cartelle di pagamento non precedute da avvisi di accertamento, avvisi di accertamento ed atti d’irrogazione di sanzioni … La Commissione Tributaria Regionale di Roma non poteva difatti ignorare che nel caso di specie il ruolo era stato emesso a seguito di rettifica ex artt. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del 3 del D.P.R. n. 633 del 1972 di alcuni dati indicati nella dichiarazione, con iscrizione a ruolo delle imposte dovute in misura superiore rispetto a quella dichiarata e liquidata dal contribuente e che la stessa circolare ministeriale (n. 48E del 24 ottobre 2011 paragrafo 4.2.) invocata dall’Agenzia delle Entrate non autorizzava in realtà alcun diniego” (ric. p. 18).
Il giudice del merito, ribadiva la ricorrente, avrebbe errato nel negare natura di atto impositivo alla cartella di pagamento per cui è causa, non essendo stata preceduta da alcun avviso di accertamento e costituendo essa stessa (per tale ragione) atto impositivo di tributi maggiori rispetto a quelli da lei stessa già dichiarati e liquidati.
La doglianza è fondata.
L’art. 39, comma 12, D.L. n. 98 del 2011 così recita: “12. Al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi della L. 21 dicembre 2002, n. 289, art. 16. A tale fine, si applicano le disposizioni di cui al citato art. 16, con le seguenti specificazioni: a) le somme dovute ai sensi del presente comma sono versate entro il 31 marzo 2012 in unica soluzione; b) la domanda di definizione è presentata entro il 31 marzo 2012; c) le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese fino al 30 giugno 2012 (…)”.
Occorrendo, dunque, fare riferimento all’ambito della procedura di definizione della lite fiscale pendente di cui all’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, deve osservarsi che, in base al comma 3, lett. a), di tale disposizione “per lite pendente” si intende “quella in cui è parte l’Amministrazione Finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione”.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 48 del 2011, ha ritenuto che non possano essere ricondotti alla categoria degli atti impositivi, e non siano pertanto suscettibili di definizione agevolata ai sensi della disciplina in esame, “l’avviso di liquidazione” ed “il ruolo” in considerazione della loro natura, non essendo riconducibili nella categoria degli “atti impositivi” in quanto finalizzati alla (mera) riscossione dei tributi e degli accessori (paragrafo 4.2). “In linea generale, non sono definibili le liti fiscali aventi ad oggetto i ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti di imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate. I controlli su tali versamenti sono disciplinati espressamente dalla lettera f) del comma 2 dell’art. 36 bis del DPR 29.9.1973 n. 600. Al recupero delle imposte non versate non si provvede, infatti, mediante atto impositivo che presupponga la rettifica della dichiarazione, ma con atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto nella dichiarazione”).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, pertanto, rientrano nella categoria degli atti suscettibili di definizione agevolata quelli che assolvono alla funzione di accertamento, oltre che di riscossione.
Tanto premesso, è orientamento consolidato e condivisibile di questa Corte che, in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del Dpr n. 600 del 1973, art. 36 bis, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto mediante il quale la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del dichiarante, conseguendone la sua impugnabilità, ex art. 19 del Dpr n. 546 del 1992, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (cfr. Cass. 4.12.2015, n. 24772, 22.1.2014, n. 1263).
L’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente, origina comunque una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri della stessa, ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo (cfr. ex multis, Cass. n. 31055 del 2017; Cass. n. 28611 del 2017; Cass. n. 1296 del 2016; Cass. n. 1295 del 2016; Cass. n. 26997 del 2014; Cass. n. 22672 del 2014).
Questa Corte, del resto, non ha mancato di chiarire che risulta, di per sé, irrilevante la circostanza che la cartella esattoriale contenga la liquidazione di imposte dichiarate e non versate, una volta che, da un lato, la cartella di pagamento rappresenta il primo atto con cui l’Amministrazione ha esercitato la propria pretesa tributaria, e dall’altro occorre comunque riconoscere al contribuente di poter impugnare la cartella, anche al fine di esercitare il proprio diritto alla emendabilità, pure in sede contenziosa, della propria dichiarazione (cfr. Cass. n. 22672 del 2014; Cass. n. 23269 del 2018). La motivazione del provvedimento di diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria al condono richiesto il 27.3.2012 dalla contribuente, ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, deve pertanto giudicarsi non conforme a diritto. L’Agenzia delle Entrate infatti, per le ragioni innanzi esposte, ha errato nell’escludere la pendenza tra le parti di una lite effettiva, come tale suscettibile di definizione agevolata ai sensi del disposto di cui all’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011.
Il motivo di ricorso proposto dalla contribuente risulta in definitiva fondato e deve, pertanto, essere accolto.
La Corte deve perciò cassare la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., e ne consegue che il provvedimento di diniego di accesso alla definizione agevolata della lite deve essere annullato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso proposto da L.A., cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, dispone l’annullamento del provvedimento di diniego di definizione agevolata della lite, emesso dall’Agenzia delle Entrate, che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.400,00.
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