CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 ottobre 2019, n. 27352
Tributi – Art. 30 della L. n. 724/1994 – Società di comodo – Disciplina delle società non operative – Oggettive situazioni di carattere straordinario – Società alberghiera e di ristorazione – Immobile inagibile per ristrutturazione – Onere di prova a carico del contribuente
Ritenuto che
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio, in contenzioso su impugnazione di avviso di accertamento per Ires e Irap anno 2006 emesso nei confronti della società V.T. s.r.I., esercente attività alberghiera e di ristorazione, che ha accolto l’appello della contribuente, in riforma della sentenza di primo grado. La società aveva acquistato un immobile di pregio sottoposto a vincolo archeologico, oggetto di complessa e onerosa ristrutturazione e aveva presentato istanza di disapplicazione della normativa sulle società non operative di mero godimento (c.d. società di comodo), data la scarsa operatività della società dipendente da oggettive situazioni di carattere straordinario, ex art. 37 bis comma 8 d.P.R. 600/73, istanza dichiarata inammissibile per tardività dalla DR del Lazio.
La CTR, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che la società avesse dimostrato l’esistenza delle condizioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento della soglia della non operatività, ritenendo irrilevante l’istanza di interpello disapplicativo, costituente una mera facoltà del contribuente.
V.T. srl società uni personale, in persona del legale rappresentante pro tempore, come sopra rappresentata e difesa, si costituisce con controricorso. L’Agenzia delle entrate deposita memoria.
Considerato che
Col l’unico motivo del ricorso si deduce violazione di legge, art. 30 l. 724/94, ex art. 360 n. 3 c.p.c..
Il motivo è fondato.
Va premesso che l’art. 30 della L. n. 724/1994 disciplina le società non operative, cioè quelle società che, salvo prova contraria, conseguono un ammontare di ricavi inferiore alla somma degli importi risultanti dall’applicazione dei coefficienti stabiliti dalla medesima disposizione. Trattasi di norma antielusiva, volta a disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società che, al di là dell’oggetto sociale, sono state costituite per gestire il patrimonio nell’interesse dei soci. Tali soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma, sono considerati di comodo e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative ed ai relativi adempimenti.
Il meccanismo di determinazione del reddito è basato su presunzioni, che sono superabili con prova contraria, laddove il contribuente, in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli altri elementi rilevanti per la determinazione del reddito imponibile, può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive (Sez. V, n. 21358 del 2015, n. 16204/2018). Né la normativa è in contrasto col principio di proporzionalità anche alla luce del diritto dell’Unione (Cass. n. 16204/2018 cit.).
Con riferimento all’onere della prova, in materia di presunzioni è sufficiente che l’avviso di accertamento dia atto dell’assenza di condizioni oggettive per la disapplicazione della normativa, mentre la prova contraria gravante sul contribuente riguarda dati oggettivi che possono venire indicati come elementi che hanno avuto una influenza sulla mancata produzione del reddito (Cass. n. 21358 del 21/10/2015).
Costituisce in sintesi principio consolidato quello secondo cui “In tema di società di comodo, l’art. 30 della l. n. 724 del 1994, al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci, ma poi, al successivo comma 4-bis, consente la presentazione dell’istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle “disposizioni antielusive”), in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1, così rispondendo all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione, lasciando nel contempo spazio al diritto di difesa del contribuente, sufficientemente garantito dagli strumenti del contraddittorio e dalla necessità di una motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento (Cass. 9852/2018).
Nella fattispecie è stata proposta istanza di interpello, respinta dalla Direzione regionale del Lazio perché tardiva; ciò tuttavia non influisce sulla possibilità di impugnazione dell’avviso di accertamento.
Quanto alla nozione di “impossibilità”, per situazioni oggettive di carattere straordinario, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui alla disposizione in esame, essa va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Sez. V., n. 16204 del 20/06/2018, n. 5080 del 2017), e quindi si tratta di una prova che può essere fornita.
Nella fattispecie, la CTR ha ritenuto che “gli elementi di prova forniti alla società sullo stato di inagibilità e di abbandono del cespite (perizia giurata del geom. I.)”, quale “oggettiva situazione del bene” che “ha reso impossibile il conseguimento dello scopo”, fossero sufficienti ad integrare la prova contraria gravante sul contribuente. Ciò senza idonea dimostrazione da parte della contribuente di avere tentato il recupero dell’immobile o avere compiuto attività volte al recupero o ad altra diversa sua utilizzazione, non essendo lo stato di inagibilità e abbandono del cespite situazione di per sé idonea ad escludere l’applicazione della normativa sulle società di comodo.
La sentenza va dunque cassata, con rinvio alla CTR del Lazio, che si adeguerà ai principi della giurisprudenza, come sopra riportati, oltre a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Lazio, in diversa composizione.