CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 ottobre 2022, n. 31353
Fallimento – Debiti per spettanze di lavoro – Computo del limite minimo di fallibilità – Complesso dei debiti scaduti e non pagati accertati alla data in cui il tribunale decide dell’istanza di fallimento
Motivi in fatto ed in diritto
1. Con ricorso ex art. 6 l.fall. al Tribunale di Urbino N.G., S.M., P.U., N.P. e M.C.S. chiedevano dichiararsi il fallimento di M.M., titolare della ditta “L.E.C.”.
Deducevano di essere creditrici per spettanze di lavoro alle dipendenze di M.M..
2. Nel corso del procedimento ex art. 15 l.fall. depositavano desistenza N.G., S.M. e P.U..
Indi, intervenivano G.B., X.C., M.G., S.I., A.M., D.O., S.P., M.S., V.T. e S.V., che egualmente deducevano di essere creditori per spettanze di lavoro alle dipendenze del M..
3. Con sentenza n. 20/2019 il Tribunale di Urbino dichiarava il fallimento.
4. M.M. proponeva reclamo.
Instava per la revoca della dichiarazione di fallimento.
5. Resistevano N.P., M.C.S., G.B., X.C., M.G., S.I., A.M.,D.O., S.P., M.S., V.T. e S.V..
Non si costituiva il curatore del fallimento di M.M..
Non si costituivano V.P. e G.B..
6. Con sentenza n. 1199/2020 la Corte d’Appello di Ancona rigettava il reclamo e condannava il reclamante alle spese del grado.
7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.M., titolare della ditta “L.E.C.”; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.
Il curatore del fallimento di M.M. non ha svolto difese.
Parimenti non hanno svolto difese N.P., M.C.S., G.B., X.C., M.G., S.I., A.M., D.O., S.P., M.S., V.T. e S.V..
Del pari non hanno svolto difese V.P. e G.B..
8. Il ricorrente ha depositato memoria.
9. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15, 9 co., l.fall.
Premette che l’ammontare dei debiti scaduti ed insoluti, inizialmente pari ad euro 43.461,90, a seguito delle desistenze di talune delle iniziali ricorrenti era divenuto pari ad euro 23.410,22, ovvero era diminuito al di sotto della soglia di euro 30.000,00.
Deduce quindi che non vi era margine per la declaratoria di fallimento.
Deduce in particolare che, ai fini della dichiarazione di fallimento, il superamento della soglia minima di euro 30.000,00 deve permanere per l’intero sviluppo ed in ogni fase della procedura prefallimentare, ossia “deve essere immanente in tutto il corso di svolgimento del procedimento prefallimentare” (così ricorso, pag. 14).
10. Il primo motivo di ricorso va respinto.
11. Va ribadito l’insegnamento di questo Giudice, in verità debitamente richiamato dalla Corte di Ancona.
Ossia l’insegnamento secondo cui, ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dall’art. 15, u.c., l.fall., deve aversi riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati accertati non già alla data della proposizione dell’istanza di fallimento, ma a quella in cui il tribunale decide sulla stessa (cfr. Cass. 27.5.2015, n. 10952; Cass. (ord.) 25.6.2018, n. 16683).
12. Su tale scorta la corte d’appello – in ordine al primo ed al secondo motivo di reclamo, con cui si era addotto, appunto, il mancato superamento della soglia di cui al 9 co. dell’art. 15 l.fall. – ha ineccepibilmente statuito che all’esito delle desistenze depositate da talune delle iniziali ricorrenti l’ammontare dei crediti insoluti era divenuto, sì, pari ad euro 23.410,22 e, tuttavia, per effetto dell’intervento degli ulteriori lavoratori dipendenti l’ammontare complessivo dei crediti scaduti ed inadempiuti aveva alla data della decisione oltrepassato la soglia di euro 30.000,00.
13. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15 l.fall. in combinato disposto con l’art. 292 cod. proc. civ.
Premette che è rimasto contumace nel procedimento prefallimentare innanzi al Tribunale di Urbino e che i ricorsi di fallimento proposti dai creditori successivamente intervenuti non gli sono stati notificati.
Deduce quindi che ha errato la Corte di Ancona a ritenere che la notifica dei successivi ricorsi non fosse necessaria.
Deduce altresì che ha errato la Corte marchigiana a ritenere che la sua personale presenza nel corso di una delle udienze del procedimento prefallimentare fosse valsa a sanare qualsivoglia irritualità.
Deduce del resto che l’art. 292 cod. proc. civ. prevede che devono essere notificati personalmente al contumace gli atti contenenti domande nuove, ciò tanto più che si è assunto che, in dipendenza dell’intervento degli ulteriori creditori, fosse stata superata la soglia di cui al 9 co. dell’art. 15 l.fall.
14. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.
15. Va parimenti reiterato l’insegnamento di questo Giudice, analogamente richiamato dalla Corte di Ancona.
Ovvero l’insegnamento secondo cui, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, al debitore, cui sia stato regolarmente notificato il ricorso nel rispetto delle forme previste dalla legge, non devono essere necessariamente notificati i successivi ricorsi che si inseriscano nel medesimo procedimento, avendo egli l’onere di seguire l’ulteriore sviluppo della procedura regolarmente instaurata e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine ad essa, a tutela dei propri diritti (cfr. Cass. (ord.) 10.2.2021, n. 3189; Cass. (ord.) 7.1.2016, n. 98; Cass. (ord.) 26.9.2013, n. 22060; Cass. 6.11.2013, n. 24968).
16. Su tale scorta la corte d’appello – in ordine al terzo motivo di reclamo, con cui si era lamentata, appunto, la violazione dell’art. 292 cod. proc. civ. – ha ineccepibilmente statuito che non si prefigurava la necessità della notificazione dei ricorsi proposti dai creditori successivamente intervenuti nel procedimento prefallimentare.
17. Altresì, inappuntabilmente la corte di merito ha soggiunto che M.M., ben vero a seguito del deposito degli atti di intervento, era comparso assistito dal proprio difensore all’udienza del 25.9.2019, aveva reso dichiarazioni in merito alle istanze di fallimento ed aveva formulato proposta transattiva ed istanza di rimessione in termini.
Del tutto ingiustificata è perciò la doglianza al riguardo formulata dal ricorrente secondo cui gli atti contenenti domande “nuove” devono essere portati a conoscenza del contumace.
D’altronde, questa Corte spiega ulteriormente – sotto altro aspetto ma con valenza pur in relazione al profilo in disamina – che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento il mancato rispetto del termine di quindici giorni, che deve intercorrere tra la data di notifica del decreto di convocazione del debitore e la data dell’udienza (come previsto dalla nuova formulazione dell’art. 15, 3 co., l.fall.), e la mancata abbreviazione del termine, nelle forme rituali del decreto motivato sottoscritto dal presidente del tribunale previste dall’art. 15, 5 co., l.fall., costituiscono cause di nullità astrattamente integranti la violazione del diritto di difesa, ma non determinano – ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ., per il generale principio di raggiungimento dello scopo dell’atto – la nullità del decreto di convocazione, se, il debitore, pur eccependo la nullità della notifica, abbia attivamente partecipato all’udienza, rendendo [così come è avvenuto nel caso di cui al ricorso in esame] dichiarazioni in merito alle istanze di fallimento, senza formulare, in tale sede, rilievi o riserve in ordine alla ristrettezza del termine concessogli, né fornendo specifiche indicazioni del pregiudizio eventualmente determinatosi, sul piano probatorio, in ragione del minor tempo disponibile (cfr. Cass. (ord.) 19.7.2016, n. 14814; Cass. 16.7.2010, n. 16757).
18. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 15 l.fall.
Deduce che è rimasto contumace nel procedimento prefallimentare innanzi al Tribunale di Urbino.
Deduce quindi che la Corte di Ancona ha in maniera del tutto incoerente opinato nel senso che non ha assolto l’onere, su di lui gravante, della dimostrazione del mancato superamento delle soglie dimensionali di cui al 2 co. dell’art. 1 l.fall.
Deduce inoltre che per gli imprenditori individuali non vi sono libri obbligatori né vi è obbligo di deposito del bilancio di esercizio.
19. Il terzo motivo di ricorso va rigettato.
20. La corte d’appello, si premette, ha accertato – in ordine al quarto motivo di reclamo – che il reclamante non aveva provveduto al deposito di scritture contabili di sorta né, segnatamente, delle dichiarazioni dei redditi; ancora, che il reclamante, all’uopo onerato, non aveva dato prova di posizionarsi al di sotto di ciascuna delle soglie dimensionali di cui al 2 co. dell’art. 1 l.fall.
Ed ha reputato, altresì, che la circostanza per cui il reclamante fosse in regime di “contabilità semplificata”, non era atta a comportare un’attenuazione dell’onere probatorio sul medesimo M.M. gravante.
21. Su tale scorta si rappresenta quanto segue.
22. Per un verso, è sufficiente il riferimento agli insegnamenti di questa Corte.
Ovvero all’insegnamento secondo cui l’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dall’art. 1, 2 co., l.fall., nella formulazione derivante dal dec. lgs. n. 5 del 2006, applicabile “ratione temporis”, grava sul debitore, atteso che la menzionata disposizione, anche prima delle ulteriori modifiche ad essa apportate dal dec. lgs. n. 169 del 2007, già poneva come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali; né osta a tale conclusione – soggiunge questo Giudice – la natura officiosa del procedimento prefallimentare, che impone al tribunale unicamente di attingere elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza, peraltro, che il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova, tanto meno quando [così come è avvenuto nel caso di cui al ricorso in esame] l’imprenditore non si sia costituito in giudizio e non abbia, quindi, depositato i bilanci dell’ultimo triennio, rilevanti ai fini in esame (cfr. Cass. 15.1.2016, n. 625).
Ed all’insegnamento secondo cui, in tema di istruttoria prefallimentare, l’omesso deposito da parte dell’imprenditore, nei cui confronti sia proposta istanza di fallimento, della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi), in violazione dell’art. 15, 4 co., l.fall. (come sostituito dall’art. 2 del dec. lgs. n. 169 del 2007), si risolve in danno dell’imprenditore medesimo, essendo egli onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali, che ne escludono la fallibilità (cfr. Cass. (ord.) 24.10.2017, n. 25188).
In questi termini è del tutto ingiustificata la ragione di asserita incoerenza che il ricorrente ha inteso scorgere tra la sua contumacia nel corso del procedimento prefallimentare innanzi al Tribunale di Urbino e l’onere probatorio che, in relazione alle soglie di cui al 2 co. dell’art. 1 l.fall., la corte distrettuale ha, in ogni caso, correttamente reputato su di lui gravante.
23. Per altro verso, è sufficiente il riferimento all’art. 2217 cod. civ., le cui disposizioni operano senz’altro in relazione agli imprenditori commerciali, e collettivi e individuali (l’art. 2217 cod. civ. prevede, tra l’altro, al 2 co., che “l’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite”).
24. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1 e 5 l.fall.
Deduce che ha errato la Corte di Ancona ad opinare per la sussistenza dello stato di insolvenza, ribadendo acriticamente quanto affermato dal tribunale.
Deduce che l’esposizione debitoria non è cronologicamente “risalente”, che le pretese creditorie sono tuttora sub iudíce, che la veste di lavoratori subordinati dei creditori ricorrenti è inconferente, che non rileva il mancato deposito dei bilanci, che il pignoramento negativo è circostanza di cui non ha avuto conoscenza.
25. Il quarto motivo di ricorso del pari va rigettato.
26. Il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento “di fatto”, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta (cfr. Cass. 27.3.2014, n. 7252; Cass. 28.7.1977, n. 3371), recte, al cospetto del novello dettato del n. 5 del 1 co. dell’art. 360 cod. proc. civ., ove non inficiato da “omesso esame circa fatto decisivo e controverso”.
Del resto, nonostante l’indicazione di segno diverso di cui alla rubrica del motivo in disamina, il ricorrente sollecita questa Corte al riesame del giudizio “di fatto” cui la Corte di Ancona, in parte qua, ha atteso.
Cosicché il motivo in esame si qualifica propriamente ai sensi del n. 5 del 1 co. dell’art. 360 cod. proc. civ. (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).
27. In questi termini è senz’altro congrua, esaustiva ed ineccepibile la valutazione che la corte d’appello ha operato ai fini del riscontro della sussistenza dello stato di insolvenza di M.M., titolare della ditta “L.E.C.”.
In particolare, la valutazione della corte di merito non risulta inficiata da alcuna forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.5.2014 delle sezioni unite di questa Corte.
Più esattamente, con precipuo riferimento al paradigma della motivazione “apparente” (che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito: cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672), la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
Invero, in ordine al quinto motivo di reclamo, la corte territoriale ha puntualizzato che il tribunale aveva correttamente valorizzato, ai fini del riscontro dello status decoctionis, la natura – spettanze retributive – delle pretese, portate da titoli esecutivi, dei creditori istanti, viepiù che il pignoramento mobiliare invano tentato presso lo stabilimento aziendale dava ragione dell’assenza di capacità produttiva.
Ulteriormente la corte territoriale ha precisato che non aveva rilievo alcuno, ai fini del riscontro dello stato di insolvenza, la pendenza della controversia concernente l’acquisto dell’azienda facente capo alla ditta individuale reclamante, controversia che opponeva la medesima ditta a due distinte società.
28. Il curatore del fallimento di M.M. non ha svolto difese.
Parimenti non hanno svolto difese N.P., M.C.S., G.B., X.C., M.G., S.I., A.M., D.O., S.P., M.S., V.T. e S.V.; nonché V.P. e G.B..
Nessuna statuizione circa le spese del presente giudizio va perciò assunta.
29. Ai sensi dell’art. 13, 1 co. quater, d.P.R. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1 co. bis, d.P.R. cit., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, 1 co. quater, d.P.R. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1 co. bis, d.P.R. cit., se dovuto.
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