CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 settembre 2019, n. 23709
Tributi – Accertamento – Consulente commerciale e tributaria – Verifica conti correnti bancari – Prelevamenti e versamenti non giustificati – Presunzione di ricavi non dichiarati – Limitazione ai versamenti
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate eseguiva una verifica sui conti correnti intestati a C.P., esercente la professione di consulente commerciale e tributaria, accertando per l’anno di imposta 2004 l’esistenza di maggiori imponibili ai fini Irpef, Irap ed Iva.
La contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Perugia che lo annullava con sentenza n. 134 del 2011.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, accolto dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria con sentenza n. 109 del 16 luglio 2013 di conferma dell’avviso di accertamento impugnato.
Contro la sentenza di appello C.P. propone due motivi di ricorso per cassazione. Deposita memoria.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1.1. Il primo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 1 n. 2 del DPR n. 600/1973; dell’art. 12 comma 7 della legge 212/2000; dell’art. 41 paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; nonché degli artt. 1101 e 2728 cod.civ., in ragione dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui la C.T.R. non ha ritenuto obbligatorio il preventivo contraddittorio con il contribuente nel caso degli accertamenti bancari previsti dall’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e inapplicabile l’art. 12 comma 7 l. 212/2000.
Il motivo è infondato. L’utilizzazione dei dati acquisiti mediante gli accertamenti bancari di cui all’art. 32 primo comma n. 7) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 non è subordinata alla previa instaurazione del contraddittorio.
Come affermato da questa Corte, in tema di accertamento delle imposte, la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a comparire per fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari di cui all’art. 32 primo comma n. 2 TUIR costituisce per l’Ufficio una mera facoltà discrezionale e non un obbligo, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti. (Sez. 5, Sentenza n. 25770 del 05/12/2014; Sez. 5 Sentenza n. 10249 del 26/04/2017).
Il giudice di merito ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 12 comma 7 nei casi di accertamento cosiddetto “a tavolino”, dovendosi considerare che, in assenza di un accesso dei verificatori presso il locale di svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale, neppure esiste un verbale di chiusura delle operazioni (di accesso) dai quali far decorrere il termine dilatorio di sessanta giorni prima della emissione dell’atto impositivo. Questa Corte ha inoltre precisato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg (o Irpef) ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”. (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605 – 01). Con riguardo ai tributi “armonizzati”, quale l’iva, questa Corte, in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia U.E. (in particolare sentenza 3.7.2014 C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics) ha stabilito che, in tema di tributi “armonizzati”, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fermo restando che per i tributi non “armonizzati” (imposte dirette) non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015).
Nel caso di specie la contribuente non ha mai indicato quali siano le ragioni che avrebbe potuto far valere in caso di contraddittorio preventivo e che gli sono state precluse dalla mancata instaurazione della interlocuzione endoprocedimentale.
2. Il secondo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle preleggi per avere la C.T.R. ritenuto applicabile al caso in esame la novella sostanziale contenuta nell’art. 1 comma 402 della legge 31.12.2004 n. 311, che ha modificato art. 32 comma 1 n. 2 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600/73; dell’art. 3 comma 1 e 10 legge 212/2000, nonché degli artt. 1101, 2727 e 2728, in ragion dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui ha ritenuto retroattive le modifiche apportate dalla legge finanziaria 2005 che ha reso applicabile anche ai professionisti la presunzione di maggiori compensi desumibili dai prelevamenti e versamenti risultanti dai conti correnti bancari.
Secondo la giurisprudenza pressoché unanime della Corte, alla quale questo Collegio intende dare continuità, già nella vigenza del testo antecedente alla modifica introdotta dall’art. 1 comma 402 della legge 31.12.2004 n. 311 (che ha aggiunto la parola “o compensi”), la presunzione stabilita dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo cui sia i prelevamenti che i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività (se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito) era applicabile non solo al reddito di impresa in senso stretto ma anche ai redditi di lavoro autonomo, dovendosi ritenere che il termini “ricavi” figura impiegato in una accezione ampia, riferibile non solo ai componenti positivi del reddito di impresa di cui agli artt. 85 e 109 del Tuir, ma anche e più in generale ai proventi derivanti da ogni attività di lavoro autonomo di cui all’art. 53 Tuir. (conformi: Sez. 5, Sentenza n. 14041 del 27/06/2011, n. 4601/2002, n. 11750/2008, n. 430/2008, n. 11750/2008, n. 14026/2012; difforme n. 27845/2018).
Occorre invece considerare lo ius superveniens rappresentato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 32 comma primo n. 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 nella parte in cui, con riferimento ai lavoratori autonomi, prevede che i prelevamenti costituiscano presunzione di maggiori compensi, restando invece invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili (Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 09/08/2016; Sez.6-5 n. 7951 del 2018).
In parziale accoglimento del secondo motivo, la sentenza deve essere cassata con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria in diversa composizione, la quale deciderà la controversia attenendosi alla regola che la presunzione prevista dall’art. 32 primo comma n. 2) d.P.R. n. 600 del 1973 è applicabile alle sole operazioni di versamento (e non di prelevamento) risultanti dai conti correnti bancari riferibili al professionista. Alla medesima Commissione è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo; accoglie il secondo nei termini indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria in diversa composizione.
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