CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 settembre 2020, n. 20130
Tributi – IMU – Agevolazione per abitazione principale – Condizioni – Residenza anagrafica e dimora abituale del nucleo familiare – Coniuge residente in altro Comune limitrofo – Esclusione del beneficio
Fatto
Ritenuto che:
Con sentenza n. 1142/ 6/2018, depositata il 27.11.2018 non notificata, la CTR dell’Abruzzo, sez distaccata di Pescara, accoglieva l’appello di C.B. relativamente ad una controversia avente ad oggetto avvisi di accertamento per IMU per l’anno di imposta 2013 ritenendo sussistente il presupposto per fruire dell’aliquota agevolata IMU da abitazione principale giacché la contribuente aveva la residenza anagrafica all’interno dell’immobile e la residenza anagrafica del coniuge in altro comune sarebbe stata giustificata da esigenze lavorative.
Avverso la sentenza della CTR la RIS.Co-società di riscossioni comunali s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione svolgendo un unico motivo.
C.B. si è costituita con controricorso illustrato da memoria.
Con l’unico articolato motivo la ricorrente deduce la violazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per essere stata riconosciuta l’esenzione malgrado l’immobile non fosse stato adibito a dimora abituale dell’intero nucleo familiare.
Osserva infatti che la residenza del coniuge in altro Comune peraltro limitrofo non avrebbe consentito neppure presuntivamente di configurare il requisito della dimora abituale dei coniugi nell’immobile sito in Francavilla.
Diritto
Considerato che :
Il motivo è fondato.
Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente ravvisandosi nella doglianza dedotta una critica afferente l’esatta portata della norma censurata.
Ciò posto in merito alla censura svolta si osserva che il tenore letterale della norma in esame è chiaro, diversificandosi in modo evidente dalla previsione in materia di ICI in tema di agevolazione relativa al possesso di abitazione principale, oggetto di diversi interventi normativi.
Il D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, per quanto qui rileva, statuisce che “L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/l, A/8 e A/9 (…). Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o ¡scrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Ciò comporta, la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente.
Ciò, d’altronde, è conforme all’orientamento costante espresso da questa Corte, in ordine alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr. Cass. sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. sez. 6-5, ord. 3 febbraio 2017, n. 3011), condiviso anche dalla Corte costituzionale (cfr. Corte Cost. 20 novembre 2017, n. 242).
D’altronde, come indiretta conferma di quanto sopra osservato, rileva anche la modifica introdotta, nel contesto del citato D.L. n. 201 del 2011, art. 13, con l’aggiunta, ad opera della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 10, della previsione, al comma 3, del comma 3a), secondo cui, solo con decorrenza dal 1 gennaio 2016, la base imponibile dell’imposta municipale propria è ridotta del 50% “per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato (…)” (Cass. 20368/2018; Cass. 5314/2019; Cass 2020 nr 4166).
Nel caso di specie è accertato che solo la ricorrente aveva la propria residenza anagrafica nel Comune di Francavilla mentre il proprio coniuge, non legalmente separato, ha residenza e dimora abituale in altro Comune.
La sentenza va pertanto cassata con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori.
Le spese della fase di merito vanno compensate in considerazione dell’alternarsi dell’esito delle vicende.
Le spese della legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente;compensa le spese del merito; condanna la controricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive € 1500,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.
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