CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 agosto 2020, n. 17630
Fallimento – Dichiarazione di fallimento – Presupposto – Situazione d’impotenza strutturale, non meramente transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le obbligazioni – Carenza di liquidità e di credito necessari all’attività – disponibilità di beni patrimoniali di non facile realizzo in tempi adeguati
Rilevato che
Con sentenza emessa il 19.10.17, il Tribunale di Verbania, su ricorso della I.S.P. s.p.a., dichiarò il fallimento della F. s.r.l., che propose reclamo formulando vari motivi d’impugnazione. Si costituirono, resistendo al gravame, l’I.S.P. s.p.a. e la curatela fallimentare.
Con sentenza emessa il 15.2.2018, la Corte d’appello di Torino ha respinto il reclamo, osservando che sussisteva lo stato d’insolvenza della F. s.r.l., fondato su plurimi inadempimenti, anche di obbligazioni fiscali, per rilevanti importi, essendo irrilevante l’eccezione di controcredito sollevata dalla società poiché oggetto di contenzioso.
La F. s.r.l. ricorre in cassazione con sei motivi, illustrati anche con memoria.
Resistono con distinti controricorsi I.S.P. s.p.a. e la curatela del fallimento della F. s.r.l. E’ intervenuta con comparsa nel giudizio la P. SPV s.r.l., a norma dell’art. 111, comma 3, c.p.c., quale successore dell’I.S.P. s.p.a. nel diritto controverso a seguito dell’operazione di cartolarizzazione del 20.4.18. Per entrambe è stata depositata memoria congiunta.
Ritenuto che
Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 276, comma 1, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per non avere la Corte d’appello rilevato la nullità della sentenza di primo grado, avendo il giudice d’appello pronunciato la sentenza impugnata in composizione diversa da quella dell’udienza camerale precedente in cui era stata disposta un’integrazione documentale.
Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 I. n. 267/42 e dell’art. 2697 c.c., essendo da escludere lo stato d’insolvenza della F. s.r.l. per il solo mancato pagamento di un debito, sulla base di una sentenza del Tribunale di Verbania in giudizio di opposizione a precetto (che aveva ridotto l’importo a euro 664.911,31), debito non certo, essendo la sentenza stata impugnata. Né presentava rilievo probatorio il riferimento alle passività iscritte in bilancio – che solo prudenzialmente non erano state rettificate in attesa della definitività della sentenza, considerata anche la consistente patrimonializzazione della F. s.r.l. (come desumibile dalla perizia estimativa prodotta), a fronte di debiti di modesta entità.
Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 6 l.f., 1253 e 2697 c.c., sostenendo che il credito fatto valere dalla I.S. s.p.a., unico creditore istante, si sarebbe estinto per confusione nelle more della procedura prefallimentare a seguito della cessione d’azienda del 26.6.17 con cui sarebbero stati trasferiti alla I.S.P. tutti i rapporti litigiosi facenti capo alla V.B. e i soli debiti di tale banca verso la F. s.r.l.
Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 6 l.f., in quanto l’I.S. s.p.a. non era titolare dell’interesse ad agire al fine del ricorso per fallimento, essendo creditrice nei confronti della F. srl sulla base di contratti di mutuo fondiario garantiti da ipoteche in forza dei quali avrebbe potuto promuovere l’azione esecutiva.
Con il quinto motivo si deduce la violazione del principio del divieto di abuso del diritto, nonché dell’art. 496 c.p.c., poiché i crediti della I.S. s.p.a. erano garantiti dalle iscrizioni ipotecarie sui beni della società ricorrente per cui la banca avrebbe potuto evitare di chiedere il fallimento.
Con il sesto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la Corte d’appello pronunciato ultra petita in quanto la banca aveva fondato il ricorso per fallimento sul solo credito oggetto del precetto, e dunque sull’inadempimento di un’unica obbligazione, senza però dedurre e allegare di aver proposto l’azione esecutiva.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Invero, la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 9208/20; n. 7285/18; n. 503/16; n. 8593/14; n. 5863/13) ha affermato, anche in tema di procedimento fallimentare, il principio secondo cui la composizione del collegio giudicante è immodificabile solo dopo l’inizio della discussione finale e, nel caso in esame, non può dirsi che tale principio sia stato violato. La decisione fu infatti adottata dallo stesso collegio innanzi al quale avvenne la discussione finale, non rilevando che, all’udienza precedente, un collegio parzialmente diverso (invariato il giudice relatore) aveva disposto un’integrazione documentale, trattandosi di mera acquisizione istruttoria.
Il secondo motivo è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dello stato d’insolvenza applicando consolidati principi affermati da questa Corte (cfr ex multis Cass., n. 29913/18), in base ai quali lo stato d’insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione d’impotenza strutturale, non meramente transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, non decisiva essendo invece, per una società che come nella specie non si trovi in stato di liquidazione, la sola disponibilità di beni patrimoniali, peraltro ritenuti nella specie di non facile realizzabilità in tempi adeguati.
Nella fattispecie, l’insolvenza è stata anzitutto accertata sulla base dell’ingente debito verso l’I.S. in ordine al contratto di mutuo, evidenziando tra l’altro come neppure il capitale mutuato risultasse restituito, sì che non decisive si rivelavano le contestazioni fatte valere dalla debitrice nella causa di opposizione a precetto. Inoltre, il giudice di secondo grado ha evidenziato plurimi altri indizi dello stato d’insolvenza, quali l’accertamento di vari ingenti debiti (anche fiscali), desumibili anche dal progetto dello stato passivo. Tali considerazioni, puntualmente motivate, si sottraggono comunque -anche a prescindere dalla mancanza di specifiche censure in ricorso – ad un riesame di merito in sede di verifica di legittimità.
Il terzo motivo si mostra del pari manifestamente infondato. Giova in primo luogo rammentare che, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass., SU. n. 1521/13; n. 30827/18).
Accertamento incidentale che la sentenza impugnata ha svolto analiticamente, evidenziando tra l’altro -senza ricevere sul punto specifiche censure in ricorso – le molteplici ragioni di irrilevanza delle questioni relative sia alle contestazioni svolte giudizialmente nei riguardi di I.S.P. del credito relativo al contratto di mutuo, sia al preteso credito della società fallita nei confronti della V.B., e quindi di I.S. a seguito della cessione d’azienda del 2017. Né può apprezzarsi la tesi, sulla quale la ricorrente insiste anche nella memoria, di una estinzione per confusione del credito di I.S. a seguito della cessione di azienda, che avrebbe trasferito a Intesa solo i debiti, e non anche i crediti, di V.B. nei confronti della F.: di tale questione, invero, non vi è traccia nella sentenza impugnata, e la ricorrente non ha assolto all’onere -in tal caso su di essa gravante – di precisare come ed in quale atto del giudizio di merito avrebbe dedotto le suddette circostanze di fatto, che evidentemente non possono essere oggetto di esame in questa sede.
Il quarto e quinto motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono anch’essi manifestamente infondati in quanto l’interesse e la legittimazione a presentare il ricorso per fallimento è attribuita ai creditori, in base al novellato art. 6 legge fall., sulla base di un accertamento incidentale del credito fatto valere (V. SU, n. 1521/13), a nulla rilevando che il creditore ricorrente sia munito di garanzia reale sui beni del debitore, non essendo dunque necessario esercitare preventiva azione esecutiva.
Infine, il sesto motivo è inammissibile. Alcuna violazione del limite posto dalla norma dell’art. 112 c.p.c. può ravvisarsi nel caso concreto, essendo piuttosto sentenza fondata su elementi valutativi acquisiti correttamente.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, il giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento è governato dal principio inquisitorio, nella cui applicazione il giudice, investito dall’esercizio di un potere di indagine attiva che costituisce riflesso e sviluppo di quello che caratterizza la fase di apertura della procedura concorsuale, è sottratto alla normale distribuzione dell’onere della prova e non è soggetto al vincolo delle prove legali, e può, in concreto, attingere le fonti del proprio convincimento da tutte le risultanze del fascicolo fallimentare, restando irrilevante la questione se tale fascicolo debba ritenersi acquisito di diritto agli atti del processo o se l’allegazione di esso debba avvenire mediante uno specifico provvedimento istruttorio. Conseguentemente sono utilizzabili dal giudice quelle informazioni provenienti dai creditori, compresi quelli istanti per la dichiarazione di fallimento, così come in generale tutte le acquisizioni conoscitive provenienti dal fascicolo fallimentare, rientrando le stesse nella categoria delle prove atipiche delle quali il giudice ha facoltà di avvalersi per l’accertamento dei fatti (Cass., n. 7019/97 e n. 12029/04).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di euro 5100,00 di cui euro 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfetario delle spese generali, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
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