CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 agosto 2020, n. 17704
Nullità del termine apposto al contratto – Prova testimoniale – Determinazione dell’indennità onnicomprensiva – Ristoro per intero del pregiudizio subito dal lavoratore
Premesso
Che con sentenza n. 2093/2017, pubblicata il 30 gennaio 2018, la Corte di appello di Milano, decidendo in sede di giudizio di rinvio, confermata – previa assunzione di prova testimoniale – la nullità del termine apposto al contratto stipulato da M.F. e dalla S.p.A. P.I. per il periodo dal 19/9 al 30/11/2005 (poi prorogato fino al 31/12/2005), ha applicato l’art. 32 l. n. 183/2010, determinando l’importo dell’indennità onnicomprensiva, prevista dal comma 5 di detta disposizione, in tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e condannando il lavoratore a restituire gli importi percepiti in eccedenza a seguito delle precedenti decisioni; quanto al regolamento delle spese di lite, ha compensato per intero quelle del giudizio di cassazione e condannato la società al pagamento di quelle del grado di appello e del giudizio di rinvio, liquidate nell’ammontare rispettivamente di euro 2.000,00 e di euro 1.500,00;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il F. con quattro motivi, cui ha resistito la società con controricorso;
– che entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa;
Rilevato
Che con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010, dell’art. 1, co. 13, l. n. 92/2012 e dell’art. 8 l. n. 604/1966, in relazione all’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale: (a) sul rilievo che la sentenza impugnata aveva determinato la misura dell’indennità sulla base del solo parametro della durata (“esigua”) del contratto; (b) e inoltre, pronunciando, insieme con la condanna al pagamento dell’indennità, quella alla restituzione degli importi percepiti in eccedenza sulla scorta delle precedenti decisioni, per avere ricompreso nell’indennizzo anche le retribuzioni relative al periodo dalla sentenza di primo grado (14/3/2007) alla data di effettivo ripristino del rapporto di lavoro (23/4/2007);
– che con il secondo viene dedotta motivazione illogica, contraddittoria ed apparente circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ancora in relazione agli artt. 32, comma 5, l. n. 183/2010 e 8 l. n. 604/1966;
– che con il terzo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione per avere la sentenza disposto, ritenendola equa, la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, sul rilievo che il giudizio si era concluso con un esito sostanzialmente favorevole al lavoratore, sebbene la pronuncia di appello fosse stata cassata;
– che con il quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 2, comma 1, 4, comma 1, e 5 del D.M. n. 55/2014 per avere la sentenza, liquidando le spese del giudizio di rinvio in complessivi euro 1.500,00, omesso di considerare che tale somma risulta inferiore all’ammontare delle competenze previste per le cause di valore indeterminabile e che le spese del giudizio devono essere liquidate separatamente per ciascuna fase;
Osservato
che il primo motivo è fondato relativamente alla censura di cui alla lettera (b), dovendosi riaffermare il principio di diritto, per il quale “In tema di risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, l’indennità di cui all’art. 32, commi 5 e 7, della legge 4 novembre 2010, n. 183, come disciplinata dall’art. 1, comma 13, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con norma di interpretazione autentica, ha carattere ‘forfetizzato’ ed ‘onnicomprensivo’ e pertanto ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto intermedio, che decorre dalla scadenza del termine sino alla sentenza di conversione e non sino al deposito del ricorso introduttivo del giudizio (Corte cost., sentenza n. 303 del 2011)”: Cass. n. 151/2015, fra le molte conformi;
– che, pertanto, il ricorrente ha diritto a percepire le retribuzioni maturate dalla sentenza che ha accertato la nullità del termine e disposto il ripristino del rapporto (sentenza del Tribunale di Milano n. 874/07 del 14 marzo 2007) fino alla data di effettiva riammissione al lavoro;
– che la censura di cui alla lettera (a) del primo motivo e il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, non possono trovare accoglimento;
– che al riguardo deve ribadirsi che, in materia di sindacato della Corte di cassazione sulla misura dell’indennità di cui all’art. 32, comma 5, l. n. 183 del 2010, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, “la determinazione, operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il massimo è censurabile – al pari dell’analoga valutazione per la determinazione dell’indennità di cui all’art. 8 della l. n. 604 del 1966 – solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria” (Cass. n. 25484/2019);
– che, nella specie, la Corte di merito, avuti presenti e distintamente richiamati i criteri di cui all’art. 8 della l. n. 604/1966, ha ritenuto, in esito ad una valutazione fondata sul necessario bilanciamento degli stessi, di attribuire decisiva rilevanza alla “esigua durata” del rapporto contrattuale; né una tale motivazione, che è esistente, chiara e percepibile nelle ragioni che l’hanno determinata, potrebbe ritenersi illogica o contraddittoria, poiché il coordinamento dei dati di realtà e il loro più opportuno e appagante collegamento, nel quale si risolve l’anzidetta operazione valutativa, rimanendo all’interno delle possibilità di apprezzamento dei fatti, appartiene alla sfera del convincimento del giudice;
– che egualmente non può essere accolto il terzo motivo, rientrando la facoltà di disporre la compensazione fra le parti delle spese processuali nel potere discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 11329/2019, fra le pronunce più recenti);
– che è invece fondato, e deve essere accolto, il quarto motivo di ricorso, alla stregua del principio, secondo il quale “In tema di spese processuali, la liquidazione dei compensi in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 deve essere effettuata per ciascuna fase del giudizio, in modo da consentire la verifica della correttezza dei parametri utilizzati ed il rispetto delle relative tabelle. (Nella specie, è stata cassata la sentenza di merito che aveva liquidato in termini complessivi ed in misura inferiore ai minimi tariffari le spese di lite relative ad un accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis cod. proc. civ. e quelle del giudizio di opposizione): Cass. n. 19482/2018;
Ritenuto
conclusivamente che – accolto il primo motivo, nei sensi precisati, ed il quarto motivo di ricorso; rigettato il secondo e dichiarato inammissibile il terzo – l’impugnata sentenza n. 2093/2017 della Corte di appello di Milano deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla stessa Corte di appello in diversa composizione, che provvederà a fare applicazione dei principi di diritto sopra richiamati
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, nei sensi di cui in motivazione, e il quarto motivo di ricorso, rigettato il secondo e dichiarato inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.