CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 agosto 2021, n. 23417
Lavoro – Controversia – Quantificazione del credito del lavoratore – Giurisdizione del giudice ordinario
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto le domande di D. I., ex dipendente della I. s.p.a. in liquidazione, condannandola al pagamento della somma di € 15.856,34 a titolo di ulteriori interessi legali spettanti al lavoratore.
1.1. Il giudice di appello ha dato atto che la società, in sede di liquidazione del Fondo integrativo di Previdenza dalla stessa gestito, aveva indebitamente versato al fisco in data 1.3.1999 la somma di € 32.896,52 e, solo all’esito di un lungo iter processuale e per effetto della sentenza della Cassazione n. 2741 del 2009, aveva poi proceduto al rimborso della somma capitale (€ 32.896,52) maggiorata dell’importo di € 10.979,22 per interessi.
1.2 Ha quindi ritenuto che correttamente era stata rigettata la richiesta di chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate sul rilievo che la controversia tra lavoratore sostituito e datore di lavoro sostituto d’imposta ha ad oggetto la quantificazione del credito del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e non anche l’esistenza o la quantificazione del debito tributario che ne è il presupposto.
1.3. Per conseguenza, il giudice di appello, oltre ad accertare che si trattava di controversia rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario, ha escluso che l’Agenzia delle Entrate fosse litisconsorte necessario ed ha ritenuto che il diniego della chiamata in causa del terzo, già disposto dal Tribunale, non potesse essere sindacato dal giudice di appello restando comunque possibile per la società rivalersi nei confronti dell’Agenzia delle Entrate in altra sede. Esclusa la natura tributaria della controversia, poi, il giudice di appello ha rigettato l’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dalla società evidenziando che l’unico contraddittore del lavoratore era il datore di lavoro e non l’amministrazione finanziaria.
1.4. In ultimo ha ritenuto che la natura di retribuzione differita dei trattamenti pensionistici integrativi comportava l’applicazione dell’art. 429 cod. proc.civ. con la conseguenza che la rivalutazione monetaria era dovuta anche a prescindere dalla colpa del debitore.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la I. s.p.a. in liquidazione affidato a tre motivi ai quali ha opposto difese D. I. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod.proc.civ..
Considerato che
3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione delle norme in materia di chiamata in causa del terzo, dì legittimazione passiva e di manleva ai sensi degli artt. 102, 106 e 420 comma 9 cod. proc.civ. anche in relazione all’art. 37 del d.p.r. n. 602 del 1973.
3.1. Osserva la ricorrente che in giudizio era stata chiesta la chiamata in causa dell’Agenzia delle Entrate al fine di essere manlevata dall’obbligazione restitutoria.
3.2. Deduce che la pretesa restitutoria poteva essere avanzata dal ricorrente direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria e tale credito aveva quindi natura tributaria al pari degli accessori sullo stesso maturati. Conseguentemente la presenza dell’Agenzia delle Entrate nei cui confronti il giudicato avrebbe potuto essere opponibile era necessaria.
4. La censura non può essere accolta.
4.1. Anche recentemente è stato ribadito che “le controversie tra sostituto d’imposta e sostituito, relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi dì diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario, e nelle quali manca di regola un atto qualificato rientrante nella tipologia di cui all’elenco contenuto nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (elenco, peraltro, suscettibile dì interpretazione estensiva), cosi che la controversia non ha ad oggetto il rapporto tra il contribuente e l’amministrazione rapporto implicante un accertamento, avente valore meramente incidentale, in ordine alla debenza dell’imposta contestata (ex plurimis: n. 15032 e n. 26820 del 2009, n. 8312 del 2010, n. 2064 del 2011, n. 19289 del 2012, n. 7526 e da n. 14302 a n 14309 del 2013, n. 3773 e n. 9033 del 2014, n. 640 del 2015, n. 1837, n. 1838 e n. 18396 del 2016); in tale tipo di controversie, in cui non viene in rilievo l’esercizio del potere impositivo, non sussiste, pertanto, un litisconsorzio necessario tra sostituto e sostituito d’imposta, da un lato, e ente impositore, dall’altro” (cfr. Cass. ord. Sez. U. 15/09/2017 n.21523 .
5. Anche il secondo motivo di ricorso – con il quale è denunciata la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 cod.proc.civ. anche in relazione all’art. 111 Cost. e con riguardo a principi di ragionevolezza ed economia processuale – non può essere accolto poiché “fuori dalla ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 cod. proc. civ., il provvedimento del giudice di merito che concede o nega l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo ai sensi dell’art. 106 cod. proc. civ., coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto dì appello e di ricorso per cassazione” (cfr. Cass. 04/12/2014 n. 25676 e 28/08/2004 n. 17218 )
6. Del pari è infondato il terzo motivo di ricorso con il quale è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 429 cod. proc.civ., dell’art. 37 del d.P.R. 602 del 1973 e dei principi di correttezza e buona fede.
Sostiene la ricorrente che trattandosi di credito avente natura tributaria non può trovare applicazione l’art. 429 cod. proc.civ.
6.1. Va tuttavia rilevato che il trattamento erogato dal fondo integrativo in quanto corrisposto in relazione al rapporto di lavoro ed erogate in epoca successiva al 1 gennaio 1998, è qualificabile come reddito da lavoro dipendente (cfr. Cass. 20/06/2055 n. 13274) e conseguentemente trova applicazione l’art. 429 cod.proc.civ..
7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 2.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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