CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 5009

Tributi – Tributi catastali e tasse ipotecarie – Tariffa per i servizi erogati dagli uffici dell’Agenzia del Territorio – Servizio elenco soggetti – Aumento tariffe – Legittimità

Fatto

Con istanza notificata in data 1/10/2009 all’Ufficio provinciale di Reggio Emilia dell’allora Agenzia del Territorio, la L.N. Italia s.r.l. in liquidazione (già C.G. s.r.l., d’ora in avanti anche “la società” o “la società resistente”) chiedeva il rimborso della somma di euro 132.970 oltre interessi, versata nel periodo dal 6/10/2006 al 13/3/2007 a titolo di tributi catastali e tasse ipotecarie, a fronte del rilascio dell’elenco “dei soggetti presenti nelle formalità di un dato giorno”, secondo quanto previsto dal numero d’ordine 7.1 della tabella delle tasse ipotecarie allegata al d.lgs. n. 347 del 1990.

La società sosteneva che il rimborso fosse dovuto per l’illegittimità dell’aumento delle tariffe disposte dal d.l. 3/10/2006 n. 262, convertito nella legge 24/11/2006 n. 286, che aveva elevato, a decorrere dal 4/10/2006, il costo dell’elenco dei soggetti da euro 7 per pagina (su supporto cartaceo) ad euro 4 a nominativo.

Affermava che detto aumento era incompatibile con il diritto comunitario ed in particolare con la direttiva 2003/98/CE, secondo cui i paesi membri devono offrire qualsiasi servizio a prezzo di costo.

Invocava specificamente l’art. 6, comma 1, della citata direttiva, che prevede espressamente che “quando viene chiesto il pagamento di un corrispettivo in denaro, il totale delle entrate proveniente dalle forniture e dalle autorizzazioni al riutilizzo dei documenti, non supera i costi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti”.

Pertanto, ritenuto che per tale servizio l’Agenzia non sopportasse alcun costo, e che comunque la tariffa di euro 4 richiesta dall’Agenzia “per ciascun soggetto” fosse svincolata da ogni riferimento ai costi del servizio, la società resistente richiedeva il rimborso di tutte le somme versate nel periodo dal 6/10/2006 al 13/3/2007.

La richiesta di rimborso si fondava sulla prevalenza del diritto comunitario su quello interno, con il corollario della “disapplicazione” della norma nazionale a favore di quella comunitaria.

Avendo l’Ufficio provinciale di Reggio Emilia opposto il silenzio rifiuto alla richiesta di rimborso della società, quest’ultima lo impugnava dinanzi alla CTP di Reggio Emilia che, nel contraddittorio con l’ufficio, accoglieva il ricorso sulla base della prevalenza, sulla norma nazionale regolatrice della tariffa per i servizi erogati dagli uffici dell’Agenzia del Territorio, delle disposizioni della direttiva comunitaria 98/2003/CE, che risulterebbe incondizionata e sufficientemente precisa e, dunque, direttamente applicabile nel territorio degli Stati membri.

Su appello dell’ufficio, la CTR dell’Emilia Romagna, nel contraddittorio con la società, confermava la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza della CTR, depositata il 5/11/2013, l’Avvocatura erariale ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.

Resiste la società con controricorso.

Quest’ultima ha depositato memoria a ridosso dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Nella camera di consiglio del 21/11/2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2969 c.c. e 21, comma 2, d.lgs. 546/92 e del loro combinato disposto. Nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c.)”, l’Avvocatura erariale ha dedotto la nullità della sentenza impugnata e dell’intero procedimento in quanto il giudice di prime cure non avrebbe rilevato una preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per intervenuta decadenza della società resistente dal diritto al rimborso.

In particolare, la richiesta di rimborso attiene a tributi speciali catastali ed a tasse ipotecarie corrisposti secondo la tabella allegata al d.lgs. n. 347 del 1990.

A dire dell’Avvocatura, il citato decreto legislativo non conterrebbe alcuno specifico termine di decadenza con riferimento alla richiesta di rimborso di tasse indebitamente pagate, sicché troverebbe applicazione la norma di cui all’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo la quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione”.

Essendosi conclusi i pagamenti della società, asseritamente indebiti, il 13/3/2007, la richiesta di restituzione notificata 1’1/10/2009 all’ufficio sarebbe, dunque, tardiva e inammissibile.

L’eccezione di decadenza dalla richiesta di rimborso, inoltre, potrebbe essere proposta anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, purché sulla tempestività della richiesta stessa non si sia formato un giudicato interno, che nel caso di specie sarebbe inesistente.

1.1 II motivo è infondato.

L’art. 17, comma 5, del d.lgs. n. 347 del 1990, in tema di imposte ipotecarie e catastali, dispone che “la restituzione delle imposte e sanzioni amministrative indebitamente pagate deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione”. Orbene, al momento della proposizione dell’istanza di rimborso (1/10/2009) non erano ancora decorsi tre anni dal 6/10/2006, data nella quale sono iniziati i pagamenti delle somme di cui la società resistente ha chiesto la restituzione.

Ne consegue che la società non è decaduta dal diritto al rimborso azionato in questa sede.

2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 82, 86 del Trattato CE, dell’art. 8 l. n. 287 del 1990 e della direttiva n. 2003/98/CE (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)”, l’Avvocatura erariale censura la sentenza impugnata per aver essa “dichiarato la prevalenza” della normativa comunitaria su quella nazionale, “senza considerare che la prima è del tutto estranea alla materia tributaria di cui si controverte”.

L’Avvocatura deduce che la CTR ha sussunto il caso di specie nell’ambito di un illecito anticoncorrenziale per abuso di posizione dominante, ‘‘probabilmente influenzata dalla sentenza n. 30175/2011 delle SS.UU.”, che però sarebbe stata resa con riferimento a previsioni normative diverse da quelle oggetto del presente giudizio.

Dopo aver ripercorso il disposto dell’art. 2673 c.c., l’Agenzia ricorrente deduce la estraneità del servizio offerto dalle Conservatorie dei registri immobiliari e dagli uffici del catasto alla “riutilizzazione” disciplinata dalla direttiva comunitaria n. 2003/98/CE, in quanto le funzioni di acquisizione e di conservazione dei dati ipocatastali, spettanti all’Agenzia delle Entrate e del Territorio, sono estranee alle successive attività di riutilizzazione commerciale.

Il servizio elenco soggetti, argomenta l’Avvocatura, altro non sarebbe che una modalità semplificata di ispezione dei registri immobiliari, ispezione che il Conservatore deve permettere (art. 2673 c.c.), svolgendo una funzione a lui attribuita in via istituzionale (art. 64, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999).

In definitiva, secondo l’Avvocatura dello Stato, la tabella delle tasse ipotecarie allegata al d.lgs. n. 347 del 1990 sarebbe comunque ricollegabile alla imposizione tributaria.

3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione della direttiva 2003/98/CE e del D.L. n. 262/2006 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’’, l’Avvocatura erariale censura la sentenza di appello nella parte in cui individua la normativa nazionale di recepimento della direttiva 2003/98/CE nel d.l. n. 262 del 2006, anziché nel (solo) d.lgs. n. 36 del 2006, visto che il d.l. n. 262 del 2006 è del tutto estraneo all’attuazione della citata direttiva.

4. Il secondo e il terzo motivo, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati per quanto di ragione.

4.1 E’ opportuno, innanzitutto, delineare il quadro normativo nel quale si iscrive la fattispecie portata all’esame dei giudici di merito.

La direttiva 2003/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17/11/2003 si prefigge lo scopo di favorire il riutilizzo dei documenti e delle informazioni prodotte o detenute dalle Pubbliche Amministrazioni: “Più ampie possibilità di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico dovrebbero, tra l’altro, consentire alle imprese europee di sfruttarne il potenziale e contribuire alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro. “ (ultimo periodo del quinto considerando).

Il raggiungimento di tale scopo passa per l’armonizzazione delle normative e delle prassi amministrative nazionali circa la possibilità offerta alle imprese di riutilizzare le informazioni e i documenti prodotti o detenuti dai soggetti pubblici, specialmente con riferimento alle condizioni giuridiche ed economiche del riutilizzo, onde evitare discriminazioni tra le imprese aventi sede negli Stati membri e differenze nelle possibilità di accesso alle informazioni e ai documenti in possesso degli enti pubblici tra uno Stato membro e un altro.

Rilevante, inoltre, ai fini che qui interessano, è l’incipit del nono considerando: “La presente direttiva non prescrive l’obbligo di consentire il riutilizzo di documenti. La decisione di autorizzare o meno il riutilizzo spetta agli Stati membri o all’ente pubblico interessato”.

Dagli artt. 5, 6 e 7 della direttiva citata, inoltre, si evince che, con i termini “tariffa” e “corrispettivo”, il legislatore comunitario non intendesse riferirsi alle somme aventi natura lato sensu tributaria o impositiva da corrispondersi in occasione della richiesta di espletamento di una funzione pubblica, quanto piuttosto alle somme dovute agli enti pubblici in cambio della facoltà, da essi concessa agli operatori economici richiedenti, di utilizzare le informazioni e i documenti in mano pubblica immettendoli nei processi produttivi, allo scopo di soddisfare le nuove esigenze di mercato della “società dell’informazione”.

4.2 Orbene, la direttiva 2003/98/CE è stata attuata, nell’ordinamento italiano, con il d.lgs. n. 36/2006, applicabile ratione temporis alla fattispecie di causa, che all’art. 4, rubricato “Norma di salvaguardia”, comma 1, lett. d), così disponeva: “sono fatte salve le disposizioni in materia di riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali e ipotecarie, anche con riferimento all’art. 1, commi da 367 a 373, della legge 30 dicembre 2004 n. 311”.

A sua volta, l’art. 1, comma 367, della legge n. 311 del 2004, disponeva che “ai fini di contrasto di fenomeni di elusione fiscale e di tutela della fede pubblica, salvo quanto previsto nel comma 371, è vietata la riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali ed ipotecari, che risultino acquisiti, anche per via telematica in via diretta o mediata, dagli archivi catastali o da pubblici registri immobiliari, tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio”.

La facoltà di riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali ed ipotecari, acquisiti dagli archivi catastali o da pubblici registri immobiliari, tenuti dall’Agenzia del territorio, poteva essere concessa solo eccezionalmente (art. 1, comma 371).

In ogni caso, sia che l’atto di riutilizzazione commerciale (a norma dell’art. 1, comma 368) fosse stato posto legittimamente in essere (in quanto consentito dal soggetto pubblico creatore o detentore del dato, del documento o della informazione), sia che fosse stato posto in essere in maniera “abusiva”, “sono (erano, n.d.e.) comunque dovuti i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie, nella misura prevista per l’acquisizione, anche telematica, dei documenti, dei dati o delle informazioni catastali o ipotecari direttamente dagli uffici dell’Agenzia del territorio ” (art. 1, commi 370 e 371).

Sul descritto quadro normativo, sono intervenuti, dapprima, l’art. 44, comma 1, della legge n. 96 del 2010, che ha abrogato l’art. 4, comma 1, lett. d, del d.lgs. n. 36 del 2006; poi, il comma 4 bis dell’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011, introdotto dalla legge di conversione n. 106 del 2011, che ha abrogato l’art. 1, comma 367, della legge n. 311 del 2004, che recava il divieto di riutilizzazione commerciale dei dati e delle informazioni ipocatastali. La disciplina della riutilizzazione dei documenti in possesso degli enti pubblici, in seguito, è stata incisa dalla direttiva 2013/37/UE, che ha modificato la precedente direttiva n. 2003/98/CE, e dal d.lgs. n. 102 del 2015, che, tra l’altro, all’art. 1, ha modificato il d.lgs. n. 36 del 2006, emanato in attuazione della direttiva n. 2003/98/CE. Orbene, avendo la società chiesto il rimborso delle tasse pagate a fronte della richiesta degli elenchi dei soggetti interessati alle formalità iscritte e trascritte presso gli uffici dell’Agenzia del Territorio, ed avendo invocato, all’uopo, la diretta applicazione delle norme della direttiva relative alla commisurazione della tariffa per la riutilizzazione, adducendo la sproporzione, rispetto a questa, dei tributi e delle tasse richieste e riscosse dall’Agenzia del territorio, la L.N. Italia s.r.l. in liquidazione avrebbe dovuto, innanzitutto, dedurre e poi provare di essere stata, nel periodo di tempo che qui rileva (2006-2007), autorizzata alla riutilizzazione dei dati e delle informazioni ipo-catastali, sulla base di apposita convenzione, o avrebbe comunque dovuto dedurre di aver corrisposto, per essere di conseguenza automaticamente autorizzata a riutilizzare i dati e le informazioni ipo-catastali acquisiti dall’Agenzia, gli importi di cui all’art. 1, comma 370, della legge n. 311 del 2004, come modificato dall’art. 1, comma 386. della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007).

Ma di tale deduzione, prima che della relativa prova, non vi è traccia nelle difese della società.

Dunque, la richiesta di rimborso presentata da quest’ultima ha avuto ad oggetto non le somme versate a fronte del compimento di atti di riutilizzazione commerciale, mai autorizzati nel periodo di tempo rilevante ai fini del presente giudizio (2006-2007), bensì le somme versate a titolo di tasse ipotecarie nella misura prevista per l’acquisizione, anche telematica, dei documenti, dei dati o delle informazioni ipotecarie direttamente dagli uffici dell’Agenzia del territorio.

4.3 Ma vi è di più.

Il Collegio non ignora che, con sentenza n. 22139/2017, questa sezione ha affermato che “in tema di informazioni ipocatastali, osta al diritto comunitario la determinazione di una tariffa, come indicata dal d.l. n. 262 del 2006, convertito con modificazioni in legge n. 286 del 2006, per il pagamento del rilascio degli elenchi dei soggetti presenti nelle formalità di un dato giorno, la quale preveda un importo maggiore a quello espressamente definito secondo i criteri precisati dalla direttiva 2003/98/CE, il quale non deve superare i costi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione, maggiorati di un congruo utile sugli investimenti” (Rv. 64563501).

Tuttavia, deve osservarsi che, quand’anche si volesse ritenere che, in punto di determinazione dell’importo a carico della società odierna resistente per l’accesso agli elenchi dei soggetti presenti nelle formalità immobiliari detenuti dall’Agenzia, l’ordinamento nazionale vigente ratione temporis era in contrasto con l’art. 6 della direttiva 2003/98, quest’ultimo non potrebbe comunque essere direttamente applicato alla fattispecie per cui è causa, in quanto le relative disposizioni non sono self-executing, mancando dei requisiti della precisione e della “incondizionatezza” che, per la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, consentono al giudice di disapplicare la norma interna antinomica rispetto alla norma posta dalla direttiva (CGUE, sentenza del 6/3/2014, Napoli contro Ministero della Giustizia, C-595/12; sentenza 12/7/1990, Foster e altri, C-188/89, Racc. pag. 1-3313, punto 16; sentenza 20/3/2003, Kutz-Bauer, C-l 87/00, Racc. pag. 1-2741, punto 69).

Il citato art. 6 della direttiva, infatti, non specifica come calcolare i costi di raccolta, produzione, riproduzione e diffusione, nonché il “congruo utile sugli investimenti” che dovrebbe aggiungersi ai detti costi.

Ne consegue che, pur assumendo la mancanza di un corretto recepimento della direttiva in questione, il giudice di merito non avrebbe potuto applicarla direttamente, previa disapplicazione delle pertinenti norme interne.

5. Il ricorso, dunque, deve essere accolto, in quanto i giudici di merito hanno erroneamente applicato alla fattispecie di causa la direttiva 2003/98/CE ed erroneamente disapplicato norme contenute nel decreto legislativo n. 36 del 2006, applicabile ratione temporis, che legittimavano l’Agenzia del territorio a riscuotere le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali nella misura prevista, per il rilascio della documentazione ipocatastale, dall’art. 1, comma 65, lett. c), del d.l. n. 262 del 2006, conv. in 1. n. 286 del 2006.

6. La complessità delle questioni trattate consiglia la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto in primo grado dalla L.N. Italia s.r.l. in liquidazione (già C.G. s.r.l.).

Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.