CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5171

Tributi – Accertamento – Omessa dichiarazione – Attività svolta personalmente dal contribuente di allevamento del bestiame con mangimi ottenibili per almeno un quarto dai terreni in comodato per uso pascolo – Qualificazione come attività agricola – Regime di esonero ex art. 34 del DPR n. 633 del 1972

Rilevato che

– con sentenza n. 152/25/12 depositata in data 29 ottobre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, nei confronti di S.L. avverso la sentenza n. 239/04/08 della Commissione tributaria provinciale di Agrigento che aveva accolto il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. RJ3010100149/2006 con il quale l’Ufficio, previo p.v. della G.d.F., aveva ricostruito induttivamente nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di allevamento di pecore, un maggiore reddito imponibile ai fini Irpef, Irap e Iva per avere omesso la dichiarazione dei redditi per l’anno 2003;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’Ufficio aveva ribadito che la ricostruzione induttiva del maggior volume di affari del contribuente sulla base dei dati riscontrati in azienda era scaturita dalla verifica fiscale della G.d.F. che aveva accertato l’omessa dichiarazione dei redditi da parte di quest’ultimo per l’anno 2003; 2) la circostanza di fatto dedotta dal contribuente – che, nella specie, si fosse trattato di una modesta attività di allevamento di pecore gestita personalmente dallo stesso il quale provvedeva all’allevamento del gregge con mangimi ottenibili per almeno un quarto da terreni in comodato per uso pascolo – non era stata contestata dall’Ufficio che si era limitato a ribadire la correttezza formale dell’accertamento scaturente dal p.v.c. i cui rilievi non potevano essere oggetto di valutazione mancando agli atti di causa; 3) la modesta attività di allevamento di pecore- con mangimi ottenuti per almeno un quarto dai terreni in uso- gestita personalmente e direttamente dal contribuente era da considerare attività agricola ai sensi dell’art. 32, comma 2, del d.P.R. n. 917/86, rientrando nel regime di esonero previsto dall’art. 34 del d.P.R. n. 633 del 1972 e nella normativa di tassazione del reddito agrario;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi; è rimasto intimato il contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.

Considerato che

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione degli artt. 23, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, 115 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR – nell’affermare che l’Ufficio non avesse contestato la circostanza di fatto prospettata dalla contribuente circa l’allevamento del gregge con mangimi ottenibili, per almeno un quarto, da terreni in comodato per uso pascolo- falsamente applicato il “principio di non contestazione” avendo l’Amministrazione esplicitamente contestato l’assunto di controparte con particolare riguardo a quanto dedotto in appello circa l’indisponibilità da parte del contribuente di alcun fondo;

– il motivo risulta inammissibile perché mira a porre in discussione l’apprezzamento della sussistenza o della insussistenza della non contestazione compiuta dal giudice di merito. Tale apprezzamento esige l’interpretazione della domanda e delle deduzioni delle parti ed è perciò riservato al giudice di merito, essendo sindacabile in cassazione solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa. Sul punto, va ribadito il principio di diritto, secondo cui l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (Cass., Sez. 2 – , Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Sez. L, n. 10182 del 03/05/2007; Sez. L, n. 27833 del 16/12/2005); spetta, infatti, solo al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass., Sez. 6 – 1, n. 3680 del 07/02/2019);

– peraltro, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., «è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma» ossia che abbia «giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio», mentre «detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre», trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018);

– premesso che, ai sensi dell’art. 29 (ora 32) comma 2, lett. b) del d.P.R. n. 917 del 1986, è considerata attività agricola – cui è riservato un regime speciale agevolativo- “l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno”, nella specie, la Corte territoriale- a fronte della contestazione dell’Ufficio (come da stralcio dell’atto di appello riprodotto in ricorso pag. 2-3) della indisponibilità da parte del contribuente di alcun terreno “a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale e tantomeno a titolo di affitto” – ha ritenuto, con una insindacabile interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto di appello, non contestata la circostanza dedotta dal contribuente della disponibilità del fondo “a titolo di comodato per uso pascolo” dal quale era stato prodotto almeno un quarto del mangime del bestiame allevato; sicché la questione si sarebbe potuta porre, eventualmente, in termini di adeguatezza della motivazione (non più censurabile in forza della nuova formulazione dell’art. 360 n.5 applicabile ratione temporis al caso di specie per essere stata la sentenza impugnata depositata il 29 ottobre 2012) e non già, sotto il profilo del denunciato error in procedendo;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’art, 115 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 1, comma 2, e 53, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR, nell’affermare che agli atti mancava il p.v.c. sul quale si fondava l’avviso di accertamento, omesso di valutare un elemento probatorio allegato dall’Ufficio alle controdeduzioni in primo grado e facente parte del fascicolo processuale di prime cure trasmesso d’ufficio al giudice di appello;

-il motivo è inammissibile in quanto, da un lato, tende a una rivalutazione di un apprezzamento di fatto operato dalla CTR (circa la mancanza agli atti di causa del p.v.c.) e, dall’altro, non coglie il decisum in quanto la rilevata mancanza agli atti di giudizio del p.v.c. non ha impedito al giudice di appello di valutare quanto dedotto dall’Ufficio circa l’origine dell’accertamento in questione da una verifica fiscale della G.d.F. dalla quale era emersa l’omessa dichiarazione dei redditi da parte del contribuente per l’anno 2003, pur esercitando l’attività di allevamento di pecore; tale rilievo è stato superato dalla CTR avendo quest’ultima attribuito maggiore forza di convincimento alla circostanza ritenuta incontestata dell’allevamento del gregge personalmente da parte del contribuente con mangimi ottenibili per un quarto da terreni in comodato per uso pascolo con conseguente qualificazione dell’attività espletata come agricola e, in quanto tale, rientrante nel regime fiscale agevolativo;

– con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 29, comma 2, lett b) (ora art. 32) e 78 del d.P.R. n. 917 del 1986, in combinato con l’art. 2697 c. c., per avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento rientrando la fattispecie nel regime di esonero previsto dall’art. 34 del d. P.R. n. 633 del 1972, ancorché al fine di stabilire il carattere agricolo dell’attività esercitata e, dunque, di usufruire del trattamento fiscale agevolato fosse il contribuente onerato della prova circa la disponibilità di fondi da cui ottenere mangimi per l’allevamento di animali e non già l’Ufficio – cui il giudice di appello – pretendendo il deposito in giudizio del p.v.c.- aveva fatto indebitamente ricadere l’onere probatorio circa il fatto negativo della indisponibilità del terreno;

– il motivo è inammissibile;

– premesso che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (tra le altre, Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006, n. 15107 del 2013), nella specie, la CTR, da un lato, non coglie la ratio deciderteli, avendo la CTR – lungi dal fare ricadere sull’Ufficio, come dedotto dal contribuente – attraverso la pretesa del deposito del p.v.c. in giudizio – l’onere probatorio circa il fatto negativo della “indisponibilità del terreno”, fondato la decisione di illegittimità dell’avviso di accertamento sulla circostanza -ritenuta incontestata- dell’attività svolta personalmente dal contribuente di allevamento del bestiame con mangimi ottenibili per almeno un quarto dai terreni in comodato per uso pascolo con conseguente qualificazione di tale attività come agricola e, in quanto tale, rientrante nel regime di esonero di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 633 del 1972 e nella normativa di tassazione del reddito agrario; dall’altro, tende ad un’inammissibile rivisitazione di apprezzamenti di fatto operati dal giudice di appello;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, 111, comma 6, Cost. per avere la CTR ritenuto che la fattispecie concreta fosse sussumibile in quella astratta di cui all’art.32, comma 2, TUIR senza illustrare i presupposti di fatto sottesi alla qualificazione dell’attività in questione come agricola e dunque le ragioni della decisione;

– il motivo è infondato;

– come da questa Corte chiarito “L’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciarle con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un indispensabile requisito di forma), e cioè nei casi di radicale carenza di essa o del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio deciderteli (cosiddetta motivazione apparente) o fra loro logicamente inconciliabili o comunque perplesse ed obiettivamente incomprensibili. (Cass., sez. un., n. 23832 del 2004; Cass. n. 25972 del 2014). Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento; da ultimo, Cass. n. 326 del 2018). Nella specie, le considerazioni svolte dalla CTR nella motivazione della sentenza sono tali da disvelare chiaramente quale sia la ratio deciderteli e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, trovando in sostanza la decisione fondamento nella riconducibilità della – ritenuta incontestata- attività esercitata personalmente dal contribuente di allevamento di pecore con mangimi ottenibili per almeno un quarto dai terreni in comodato per uso pascolo nel paradigma dell’art. 29 (ora 32) comma 2, lett. b) del TUIR con conseguente applicabilità del regime speciale agevolativo trattandosi di attività agricola e non commerciale;

– con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’insufficiente motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento, essendo l’attività di allevamento di bestiame qualificabile come agricola e come tale soggetta al trattamento agevolativo, senza illustrare il processo cognitivo sotteso alla affermata disponibilità di un terreno da parte del contribuente nonché alla produzione dal fondo di un certo quantitativo ( 1A) di mangime per gli animali allevati;

– il motivo si profila inammissibile nella parte in cui denuncia il difetto di motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio in quanto trattasi di vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 n.5 c.p.c., come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie (v. nello stesso senso, Cass. n. 30948 del 2018);

– invero, anche a volere ricondurre la censura al vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., lo stesso concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma peraltro – quanto all’assunto della CTR circa la ritenuta incontestata disponibilità da parte del contribuente dei terreni in comodato per uso pascolo nonché circa la quantificazione (almeno 1/4) del mangime ottenibile dai fondi – di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

– in conclusione il ricorso va rigettato;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasto il contribuente intimato;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;