CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 gennaio 2019, n. 2172
Accertamento – Diritti doganali – Riscossione – Dazio all’importazione – Contenzioso tributario
Rilevato che
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Livorno avverso l’avviso di accertamento e rettifica con il quale era stato richiesto il pagamento di maggiori diritti doganali in relazione all’importazione di colli di fibre sintetiche in fiocco di poliestere, atteso che, a seguito di una missione O. del 2008, era risultato che il Paese di origine della merce importata non era la Malesia ma la Cina, con conseguente revisione del dazio sull’importazione; la Commissione tributaria provinciale di Livorno aveva rigettato il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello principale la contribuente e appello incidentale l’Agenzia delle dogane, formulato, quest’ultimo, relativamente al punto della sentenza che aveva disposto la compensazione delle spese di lite;
la Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione staccata di Livorno, in epigrafe, ha rigettato l’appello principale della contribuente;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la contribuente affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane depositando controricorso; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott. G.G., ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso; considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 276, cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla questione della illegittimità del provvedimento impositivo per violazione del principio del contraddittorio; in particolare, la ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha ritenuto assorbita la questione della violazione del principio del contraddittorio e esaminato la controversia nel merito, nonostante la stessa la avesse proposta sia in sede di ricorso che come motivo di appello, pur essendo tale questione pregiudiziale rispetto a quella di merito, sicché non poteva derivare un assorbimento della medesima;
con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge 212/2000 e dell’art. 11 del decreto legislativo n. 374/1990, per mancato rispetto del principio del contraddittorio preventivo, nonché ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per violazione del principio comunitario del contraddittorio preventivo. In via subordinata, ha chiesto la disapplicazione delle norme in esame, e, in via ulteriormente subordinata, ha prospettato questione di illegittimità costituzionale delle relative disposizioni; in particolare, parte ricorrente lamenta che l’ufficio doganale ha proceduto alla revisione dell’accertamento senza previo contraddittorio con la medesima, e, a tal proposito, ha evidenziato, in primo luogo, che il diritto al contraddittorio non può dirsi sussistente solo nel caso di attività di verifica presso la contribuente;
i motivi, che possono essere esaminati unitamente, in quanto relativi alla medesima questione del difetto del contraddittorio preventivo alla notifica di un avviso di rettifica doganale, sono il primo inammissibile e il secondo infondato;
con riferimento al primo motivo di ricorso, va osservato che parte ricorrente si è limitata a sostenere che sia nel ricorso di primo grado che in sede di appello aveva prospettato la questione della illegittimità del provvedimento impugnato per violazione del principio del contraddittorio, ma né in sede di esposizione del presente motivo (pag. 18 e ssgg.) né in sede di illustrazione dello svolgimento del processo, ha provveduto a riportare, in difetto del principio di autosufficienza, il contenuto dei passaggi degli atti difensivi da cui evincere che la questione era stata prospettata; sotto tale profilo, il motivo è inammissibile;
in ogni caso, anche per effetto dell’esame del secondo motivo di ricorso e in applicazione della previsione di cui all’art. 384, cod. proc. civ., la questione della violazione del principio del contraddittorio nel caso di specie è infondata;
sul punto, va osservato che questa Suprema Corte (Cass. civ., Sez. VI, 23 maggio 2018, n. 12832) ha ribadito l’orientamento secondo cui, relativamente agli avvisi di rettifica in materia doganale precedenti alla entrata in vigore del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (art. 92 comma 1) convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che ha introdotto il comma 4-bis all’art. 11 del decreto legislativo n. 374 del 1990, non trova applicazione la legge 20 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, (Cass. n. 8399/13; Cass. nn. 10070/14, 9799/14, 9800/14, 9801, 9802/14, 9803/14, 10070/14, 15032/14, 15033/14, 15034/14, 15035/14, 15036/14, 15037/14, 2592/14, 25973/14, 25074/14, 25975/14);
più in particolare, va precisato che la norma dello Statuto del contribuente che si assume violata, ed in ordine alla quale viene richiesto il sindacato di legittimità, è invocata a torto, in quanto la disciplina procedimentale in essa contenuta non trova, comunque, applicazione al procedimento di revisione doganale in esame che è regolato da uno “jus speciale invero, il decreto legislativo n. 374 del 1990, art. 11, nel testo vigente “ratione temporis”, prevedeva infatti che, quando dalla revisione eseguita d’ufficio dell’accertamento divenuto definitivo – ancorché le merci che hanno formato l’oggetto siano state lasciate alla libera disponibilità dell’operatore o siano già uscite dal territorio doganale – emergono inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne da comunicazione all’operatore interessato notificando apposito avviso” di rettifica motivato (comma 1, 5 e 6). Entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica ed in tal caso viene redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dal TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 66 e segg.”;
in considerazione del suddetto quadro normativo, i procedimenti amministrativi cui rinvia la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio con il contribuente, posto che il procedimento amministrativo in questione è preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente è posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica;
va, infatti, precisato che il sistema del TU n. 43 del 1973, cui rinviava l’art. 11 del decreto legislativo n. 374 del 1990, realizzava, attraverso il procedimento contenzioso amministrativo, una forma anticipata di contraddittorio pieno, che, solo in seguito, è venuta ad essere sostituita da una diversa modalità di assicurazione della garanzia del contraddittorio “…ma soltanto a far data dalla entrata in vigore del decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1 (art. 92 comma 1) convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 che ha introdotto il comma 4-bis all’art. 11 del decreto legislativo n. 374 del 1990” – intervento normativo successivamente completato dall’art. 12 del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, conv. Dalla legge 26 aprile 2012, n. 44 (recante “disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficienza e potenziamento delle procedure di accertamento”) con l’abrogazione del comma 7 e parzialmente del comma 6 dell’art. 11 del decreto legislativo n. 374 del 1990, e la conseguente eliminazione del sistema dei ricorsi amministrativi contenziosi in materia doganale; né può valere la considerazione espressa dalla ricorrente secondo cui il procedimento amministrativo in esame non assolverebbe alla finalità di garantire il contraddittorio, in quanto presuppone che il provvedimento impositivo sia stato già adottato, mentre la scopo del contraddittorio preventivo sarebbe quello di evitare proprio la sua adozione;
a tal proposito si osserva che i procedimenti amministrativi cui rinvia la norma consentono proprio la instaurazione, in via preventiva, del pieno contraddittorio con il contribuente, atteso che: a) il TU n. 43 del 1973, art. 66, prevede che l’operatore presenti ricorso gerarchico avverso l’avviso di rettifica “producendo i documenti ed indicando i mezzi di prova ritenuti utili”; b) dal combinato disposto del TU n. 43 del 1973, art. 70, u.c. e art. 76, comma 1, emerge che solo all’esito dell’indicato procedimento amministrativo contenzioso – nel caso di decisione parzialmente o totalmente sfavorevole al ricorrente gerarchico – si determina la “definitività” dell’avviso di accertamento in rettifica ed il contribuente è legittimato ad esperire il ricorso giurisdizionale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21 avverso l’atto impositivo. Sicché di procedimento amministrativo in questione, è preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, deducendo le prove opportune, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica;
né sussiste, come invece sostenuto dalla ricorrente, una violazione dei principi unionali in materia di contraddittorio preventivo, con conseguente disapplicazione delle norme in esame, in quanto l’orientamento giurisprudenziale sopra indicato è in linea con i suddetti principi;
la Corte di giustizia, sez. 5, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics, dopo avere ricordato che il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione di cui il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante (sentenze n. C-349/07 Sopropè, punti 33 e 36, nonché sentenza n. C-277/11, M.M., punti 81 e 82), ha ricordato che, quando il diritto dell’Unione non fissa né le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa né le conseguenze della violazione di tali diritti, tali condizioni e tali conseguenze rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v. Corte giust., G. e R., punto 35, nonché giurisprudenza ivi citata). Siffatta soluzione è applicabile alla materia doganale nella misura in cui l’art. 245 codice doganale rinvia espressamente al diritto nazionale, precisando che “le norme di attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri”, fermo restando che gli Stati membri possono legittimamente consentire l’esercizio dei diritti della difesa secondo le stesse modalità previste per la disciplina delle situazioni interne purché esse siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, non compromettere l’effetto utile del codice doganale (sentenza G. e R.,cit., punto 36);
inoltre, la Corte, con la successiva sentenza resa in data 20.12.2017 nella causa C-276/16, Preqù, ha quindi precisato che le disposizioni del diritto dell’Unione, come quelle del codice doganale, devono essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali e che le disposizioni nazionali di attuazione delle condizioni previste all’art. 244, comma 2 codice doganale per la concessione di una sospensione dell’esecuzione devono, in mancanza di una previa audizione, garantire che tali condizioni non siano applicate o interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C129/13 e C-130/13, EU:C:2014:2041, punti 69 e 70). Secondo la Corte UE, se il destinatario di avvisi di rettifica dell’accertamento come quelli di cui trattasi nel procedimento principale ha la possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione di detti atti fino alla loro eventuale riforma e se il giudice nazionale verifica che nell’ambito del procedimento amministrativo, le condizioni di cui all’art. 244 codice doganale non sono applicate in modo restrittivo, non può ritenersi pregiudicato il rispetto dei diritti della difesa del destinatario degli avvisi di rettifica dell’accertamento;
in definitiva, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’art. 244 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione dell’art. 244, comma 2, di detto regolamento da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato;
La Corte UE (con la medesima pronuncia 20.12.2017 nella causa C- 276/16, Preqù, cit ha, infine, tenuto a rimarcare che l’obbligo incombente sul giudice nazionale di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione non ha sempre come conseguenza l’annullamento di una decisione impugnata, laddove quest’ultima sia stata adottata in violazione dei diritti della difesa. Ed infatti, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere ascoltati, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso;
le deduzioni di parte ricorrente, a tal proposito, si limitano a sostenere, in generale, la violazione del diritto al contraddittorio, senza, tuttavia, prospettare alcuna concreta lesione del proprio diritto di difesa;
pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non può ritenersi che, nel caso di specie, vi sia stata violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale e la pronuncia del giudice di appello, che ha ritenuto tutelato il diritto della contribuente al contraddittorio preventivo è, quindi, in linea con l’orientamento giurisprudenziale interno e unionale;
né, infine, sussistono i presupposti per sollevare questione di costituzionalità delle norme in esame, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto, come detto, il particolare procedimento di ricorso amministrativo, previsto dall’art. 11 del decreto legislativo n. 374/1990, tutela il diritto al contraddittorio del contribuente e, quindi, il diritto di difesa del medesimo;
3. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 220, par. 2, lett. b), del Reg. Cee n. 2913/1992;
in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha ritenuto non sussistenti, nella fattispecie, i presupposti configurati dall’art. 220, par. 2, lett. b), del Reg. cit., posto che, invece, vi era un errore attivo dell’autorità che aveva emesso il certificato di origine e la buona fede della contribuente, avendo questa svolto con diligenza quanto ad essa esigibile in relazione all’importazione della merce in esame; il motivo è infondato;
il giudice di appello ha ritenuto che non poteva darsi luogo all’esimente di cui alla previsione normativa sopra citata in quanto non sussisteva un errore attivo delle autorità competenti, non potendo questo essere configurato quando sia accertato che l’attestazione d’origine rilasciata dall’autorità del paese di esportazione è falsa in quanto fondata sulle dichiarazioni non veritiere dell’esportatore;
a tal proposito si osserva che le Autorità doganali devono procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali, a meno che sussistano contemporaneamente tutte le condizioni poste dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913/1992 del Consiglio del 12 ottobre 1992;
in particolare, detto errore non può consistere nella mera ricezione di dichiarazioni inesatte dell’esportatore, dato che l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne la veridicità, ma richiede un comportamento attivo, perché il legittimo affidamento del debitore è protetto solo se le autorità competenti hanno determinato i presupposti su cui si basa la sua fiducia, mentre la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (Cass. 2012/4022);
di conseguenza all’Autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di dare dimostrazione delle irregolarità delle certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza necessità di alcun procedimento intermedio che convalidi la non autenticità, provvedendo gli stessi organi dell’esecutivo comunitario a fornire tramite le disposte commissioni di inchiesta le conclusioni cui debbono attenersi le Autorità nazionali (Cass. civ., n. 13680/2009); sotto tale profilo, parte ricorrente si limita ad affermare (pag. 43 del ricorso) che l’autorità dello stato esportatore che aveva rilasciato il certificato di origine, avendo affermato lo stato di produttore malese di fiocco di poliestere della società esportatrice, all’esito dell’istruttoria compiuta, si trovava a conoscenza o comunque nelle condizioni di conoscere la diversa origine della merce, sicché sarebbe configurabile un errore attivo della medesima autorità;
la circostanza evidenziata è priva di pregio, in quanto la sentenza censurata ha precisato che il rilascio del certificato di origine era stato rilasciato sulla base delle dichiarazioni dell’esportatore, sicché, rispetto a tale punto motivazionale, nessun elemento concreto viene prospettato col presente motivo che possa, invece, indurre a ritenere che l’autorità estera fosse a conoscenza della diversa provenienza della merce;
d’altro lato, nessuna rilevanza può avere la considerazione espressa dalla ricorrente in ordine alla propria buona fede, in quanto secondo questa Corte (Cass. civ. 23 novembre 2011, n. 24675) «è irrilevante lo stato soggettivo di consapevolezza della irregolarità della introduzione della merce in capo all’importatore, in considerazione de/l’obbligo che grava su quest’ultimo di vigilare “sull’esattezza dell’informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione dall’esportatore, al fine di evitare abusi»] il suddetto principio, peraltro, trova conferma nella giurisprudenziale unionale, che ha affermato che: «il debitore non può nutrire un legittimo affidamento quanto alla validità dei certificati EUR 1 per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri dalla autorità doganale di uno Stato membro dato che le operazioni effettuate da detti uffici nell’ambito dell’accettazione iniziale delle dichiarazioni non ostano affatto all’esercizio di controlli successivi” (Corte giustizia, 9 marzo 2006, C-293/04, Beemsterboer Coldstore Services BV, richiamata da Corte di giustizia, 8 novembre 2012, C-438/11, Lagura, in riferimento ai certificati FORM A, documenti giustificativi utili a fruire delle preferenze generalizzate unilateralmente concesse dalla UE);
4. In conclusione, va dichiarato inammissibile il primo motivo, infondati il secondo e terzo, con rigetto del ricorso.
Con riferimento alle spese di lite, atteso che la pronuncia sopra citata (Corte di giustizia 20.12.2017 causa C-276/16, Preqù) è successiva alla proposizione del presente ricorso, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite del presente grado di giudizio;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo, infondato il secondo e il terzo, rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.
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