CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 gennaio 2019, n. 2202
Tributi – Accertamento – Raddoppio dei termini – Art. 37, comma 24, del D.L. n. 223 del 2006 – Presenza di seri indizi di reato e conseguente obbligo di presentazione di denuncia penale – Applicazione
Rilevato che
– con la sentenza qui impugnata la CTR delle Marche ha accolto l’appello della società contribuente e quindi in riforma della pronuncia della CTP ha annullato l’avviso di accertamento impugnato emesso per IVA ed IRPEG 2001, con il quale l’Erario disconosceva somme indicate a credito indicate e rimborsate ma derivanti dall’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
– che ricorre l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a tre motivi; la società contribuente è rimasta intimata;
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione Finanziaria denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dal D. L. n. 223 del 2006, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR ritenuto che l’Ufficio fosse decaduto dal potere di accertamento, non essendo applicabile all’annualità in contestazione la proroga biennale di cui all’art. 37 c.24 d.l. n. 223 del 4 luglio 2006, che ha modificato l’art. 43 sopradetto;
– il motivo è fondato;
– con riferimento al periodo d’imposta in oggetto, il 2001, erra infatti la CTR nel ritenere ad esso inapplicabile il c.d. “raddoppio dei termini” di cui alle disposizioni citate in premessa; questa Corte sul punto Sez. 5, Ordinanza n. 27629 del 30/10/2018) ha ritenuto che in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla I. 248 del 2006, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011;
– ciò dipende infatti dalla centrale circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli in forza del raddoppio prescritto dalla disposizione in esame) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. al c.c. che non viene quindi derogato, non trattandosi quindi di un fenomeno di retroattività della disposizione di legge, ma unicamente di proroga di un termine non ancora spirato oltre la scadenza precedentemente fissata;
– pertanto, alla data del 5 luglio 2006 il termine in parola, in quanto rientrante nella sua protrazione in forza di quanto sopra richiamato, non era decorso; di qui la tempestività dell’azione di controllo, e l’errore della CTR che l’ha invece erroneamente ritenuta tardiva;
– con il secondo motivo si censura vizio motivazionale, in quanto la CTR ha ritenuto con motivazione inspiegabile l’assenza di contestazioni specifiche formulata dall’Amministrazione Finanziaria con riferimento al periodo d’imposta in esame; anche questo motivo è fondato;
– si evince dall’esame del PVC, debitamente trascritto in ricorso ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, come in effetti anche per l’anno in questione (il 2001, con riferimento alla contestata insussistenza dei crediti IVA oggetto di rilievo), si evince infatti che i verificatori ebbero a contestare l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti emesse dalla V.T. S.r.l. e dalla T. S.r.l. per i seguenti importi:
… | IMPONIBILE | IVA RELATIVA |
2001 | 96.014,99 | 19.203,00″ |
… |
In seguito, poi, i verificatori precisavano anche che:
“si rappresenta che negli anni 2000, 2001, (sottolineatura di chi scrive) 2002, la verificata ha indebitamente percepito i seguenti rimborsi IVA, derivanti anche da crediti IVA originati dall’utilizzo delle citate fatture fittizie (…v. tabella):
anno d’imposta tipo Importo Importo Interessi rimborso richiesto a rimborso rimborsato 2001 infrannuale 180.243,00 180.243,00 5.333,00″;
– sul punto, quindi, è evidente il vizio logico-giuridico che travolge e inficia il ragionamento seguito dalla CTR ed esplicitato in motivazione, che se in premessa concentra la sua attenzione proprio sull’anno 2002 (così scrive, per errore di scritturazione, ma è evidente che si tratta dell’anno 2001) nelle conclusioni motiva l’accoglimento dell’appello del contribuente in forza di una circostanza che contrasta con le risultanze processuali e che risulta quindi del tutto illogica rispetto alle premesse documentali in atti;
– in specifico, a fronte delle analitiche contestazioni di cui si è detto, tutte chiaramente riferite all’anno 2001, risulta inspiegabile come la CTR abbia potuto motivare l’annullamento delle riprese in quanto “relativamente all’anno 2002 (n.d.r. deve ritenersi scritto 2001) mancano contestazioni specifiche” che invece sono ben presenti; era compito della CTR semmai, ove contestate dalla contribuente, verificare o meno la fondatezza di tali contestazioni, non certo rilevare la loro insussistenza, a fronte alla documentata presenza delle stesse;
– con il terzo motivo di ricorso si censura la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 9 comma 10 della L. n. 289 del 2002 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR erroneamente, nel presente caso, posto a carico dell’Ufficio l’onere di fornire la prova diretta della inesistenza delle operazioni contestate, non avendo ritenuto sufficiente ad invertire l’onere probatorio gli elementi presuntivi dedotti e offerti dall’Amministrazione finanziaria;
– anche detto motivo è parimenti fondato;
– erra in diritto la CTR quando ritiene che l’operato dell’Ufficio sia errato per “mancanza di prova circa i fatti dedotti dall’Ufficio” con ciò quindi escludendo la rilevanza degli elementi di prova addotti in quanto presuntivi e non costituenti prova diretta;
– invero, la CTR mal governa i principi e le previsioni di legge in materia, con riguardo alla ripartizione dell’onere della prova; in forza della giurisprudenza costante sul punto di questa Corte Suprema (e pluribus, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018) in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’ onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi;
– a fronte delle deduzioni e degli elementi di prova, anche presuntiva, offerti dall’Amministrazione Finanziaria, quindi, spettava al contribuente rispondere fornendo la prova contraria; la CTR non si è attenuta quindi ai principi sopra enunciati, quindi il ricorso va accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio al secondo giudice;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche in diversa composizione, che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.
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