CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 gennaio 2022, n. 2233
Tributi – Accertamento con adesione – Contestazione di sanzione per l’omesso versamento di ritenute, effettuata in via separata ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. n. 472 del 1997 – Legittimità
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla E.T. s.p.a. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (n.13435/10/2014), che aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla contribuente contro l’avviso di irrogazione sanzione n. TEBMANIR0209 emesso dall’Agenzia delle entrate nei suoi confronti per omesso versamento di ritenute relative al periodo di imposta 2007 su interessi, dividendi e royalties erogati dalla società contribuente alla capogruppo svedese LM Ericsson, recante sanzioni aggiuntive rispetto a quelle irrogate con separato avviso di accertamento definito in adesione della contribuente. In particolare, il giudice d’appello rilevava che la sanzione di euro 939.142,30 e la relativa emanazione con separato atto di irrogazione sanzione (TEBMANIR0209) erano stati precisamente individuati già nell’accordo di adesione n. TEBA7T100006/2007, sottoscritto dall’Agenzia delle entrate e dalla contribuente Ericsson il 7 giugno 2013; sicché, dal contenuto dell’accordo di adesione era evidente la legittimità della sanzione irrogata, che traeva origine proprio dalla statuizione di cui all’accordo sottoscritto da entrambe le parti.
Pertanto, una volta definito l’accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non restava che eseguire l’accordo, versando quanto da esso risultava, essendo esclusa la possibilità di impugnare un simile accordo e, a maggior ragione, quella di impugnare l’atto impositivo oggetto della transazione.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta, con richiesta di rimessione della causa in pubblica udienza.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
Anzitutto, occorre affrontare la richiesta della società ricorrente di rimessione della controversia in pubblica udienza per la “particolare rilevanza della questione di diritto” su cui questa Corte deve pronunciare.
La richiesta non può essere accolta, in quanto, seppure vi sia qualche divergenza giurisprudenziale sulla questione di diritto relativa alla sospensione o meno del termine per impugnare l’atto di contestazione di sanzione emesso in via autonoma rispetto all’avviso di accertamento, ex art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, nel caso di presentazione da parte del contribuente della istanza di accertamento per adesione, tuttavia, nella specie, la questione di diritto non rileva per la soluzione della controversia in esame, che attiene, invece, alla individuazione del perimetro del raggiunto accordo complessivo tra le parti, in sede di accertamento con adesione, comprensivo anche della quantificazione della sanzione irrogata in via autonoma.
1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, degli articoli 1, 2 e 6 del d.lgs. n. 218 del 1997 e degli articoli 16 e 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Il giudice d’appello, come pure il giudice di prime cure, ha ritenuto che l’atto di irrogazione delle sanzioni non potesse essere impugnato perché parte integrante dell’atto di adesione sottoscritto dalla società con l’Agenzia delle entrate. Tuttavia, l’atto di irrogazione delle sanzioni, notificato autonomamente alla società, non può ritenersi ricompreso nel contenuto dell’atto di adesione all’avviso di irrogazione di sanzioni, non consentendo di ricondurre tale avviso nell’oggetto dell’adesione. L’atto di adesione si riferisce solo ed esclusivamente all’accertamento n. TEB07T100081, per l’anno di imposta 2007, per omessa effettuazione di ritenute. Pertanto, l’atto di adesione, che si riferisce esclusivamente a tale avviso di accertamento, non può esplicare effetti anche con riferimento ad atti diversi da quello a cui il contribuente, attraverso la presentazione di un’apposita istanza, aveva chiesto di poter aderire. L’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218 del 1997, in virtù del quale l’adesione può riguardare per espressa previsione normativa solo ed esclusivamente la maggiore imposta accertata e le sanzioni ad essa collegate che vengono irrogate nello stesso atto di accertamento, non può estendersi ad atti ulteriori, come, gli atti di irrogazione delle sanzioni. Gli atti di irrogazione delle sanzioni non possono essere definiti con il procedimento per adesione, sicché l’Agenzia delle entrate non poteva impegnarsi in sede di contraddittorio a rideterminare le sanzioni irrogabili con atti distinti e separati, né il contribuente avrebbe potuto accettare una tale determinazione. Non possono essere definiti con il procedimento per adesione anche atti che il legislatore ha voluto espressamente escludere. Del resto, se l’irrogazione delle sanzioni per omesso versamento delle ritenute costituiva parte integrante dell’adesione, l’Ufficio non avrebbe avuto bisogno di emettere un apposito atto di irrogazione, a distanza di tre mesi dall’adesione. Peraltro, ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997, per le violazioni di carattere sostanziale direttamente collegate al tributo, vi è l’irrogazione immediata con atto contestuale all’avviso di accertamento. Nel caso in esame, invece, l’atto di contestazione è stato emesso in via autonoma rispetto all’accertamento, con la possibilità per il contribuente di presentare deduzioni difensive. Da ciò emergerebbe che la sanzione irrogata con atto distinto dall’accertamento definito in adesione non aveva nulla a che vedere con quello stesso avviso di accertamento ed era perfettamente autonoma da esso. L’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 preclude ogni possibilità di adesione per gli atti di contestazione delle sanzioni autonomamente emessi rispetto all’avviso di accertamento.
2. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 (quanto all’ammissibilità del ricorso) e dell’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”.
L’Ufficio, definendo in adesione la maggiore imposta dovuta, è tenuto a rideterminare conseguentemente anche la sanzione commisurata a tale imposta; ciò però non vuol dire che anche tale sanzione, laddove irrogata con atto distinto, sia oggetto di adesione al pari dell’imposta. Le sanzioni per omesso versamento, di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, sono previste nella misura minima del 30% dell’importo non versato, e non sono mai assoggettabili a forme di pagamento in misura ridotta, sicché non possono essere oggetto di adesione. L’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, prevede per le sanzioni da omesso o ritardato pagamento dei tributi che “in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista nel comma 2 e nell’art. 16, comma 3”. Pertanto, il legislatore ha escluso la possibilità di riduzione della sanzione collegata all’omesso o ritardato pagamento, ritenendola una sanzione di per sé adeguata, non altrimenti riducibile per la gravità del comportamento del contribuente.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione degli articoli 24 e 113 della costituzione e conseguente lesione del diritto di difesa della contribuente (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)”. Nell’ipotesi in cui si ritenesse di condividere la tesi del giudice d’appello, ritenendo non impugnabile l’atto di irrogazione delle sanzioni, si verificherebbe una inevitabile lesione del diritto di difesa della contribuente. In realtà, deve essere riconosciuta al contribuente la possibilità di ricorrere alla tutela giurisdizionale avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicazione delle concrete ragioni, portino comunque a conoscenza del contribuente una bene individuata pretesa tributaria.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole “in via di riproposizione” della “violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 (quanto al merito del ricorso), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. “. La sentenza impugnata, infatti, ha affrontato solo la questione preliminare dell’ammissibilità del ricorso, senza pronunciarsi sulla questione di merito sottostante l’impugnazione dell’atto di irrogazione delle sanzioni. L’Ufficio ha preteso di irrogare una sanzione per omesso versamento di imposte con riferimento a ritenute che la società non aveva né operato né dichiarato, e per le quali era già stata irrogata separatamente la sanzione per infedele dichiarazione. L’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 si riferisce al mancato versamento di imposte risultanti, però, dalla dichiarazione dei redditi ritualmente presentata. Tale sanzione non può, però, essere irrogata nel caso in cui le ritenute non siano state previamente dichiarate, come accaduto nel caso in esame. L’omesso versamento di ritenute è, infatti, elemento costitutivo non solo dell’illecito di omesso versamento di imposta di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 471, ma anche di quello di omessa e infedele dichiarazione del sostituto di imposta di cui all’art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 471 del 1997. L’art. 2 citato, commisurando la sanzione prevista per la mancata dichiarazione “all’importo delle ritenute non versate”, richiede per la sua applicabilità che delle ritenute sia omessa, non solo la dichiarazione, ma anche il versamento. Tra l’altro, la violazione di omessa o infedele dichiarazione, prevedendo una sanzione dal 100 o dal 120% al 200 o 240% delle ritenute non versate contro la sanzione del solo 30% per il “mero” omesso versamento, risulta più grave, sicché la sanzione prevista per il primo illecito (art. 2 del d.lgs. 471/1997) assorbe necessariamente quella prevista per il secondo, dove le ritenute risultano dichiarate ma non versate (art. 13 del d.lgs. 471/1997). Pertanto, nel caso in cui il sostituto d’imposta abbia violato l’obbligo di dichiarazione delle ritenute risulta già erogabile a suo carico, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 471 del 1997, la più grave sanzione per omessa o infedele dichiarazione; in tal caso, l’omesso versamento delle ritenute costituisce soltanto una conseguenza della mancata dichiarazione e, quindi, l’omesso versamento non è autonomamente sanzionabile; nella sanzione per mancata dichiarazione dell’imposta, infatti, è ricompresa la sanzione per omesso versamento della stessa. La sanzione per omesso versamento, invece, opera per le diverse ipotesi di contribuenti che “dichiarano”, e poi non fanno seguire alla dichiarazione il versamento corrispondente. L’omesso versamento delle ritenute costituisce soltanto una conseguenza della loro infedele dichiarazione. Sarebbe, comunque, violato il principio di proporzionalità.
5. I motivi primo, secondo e terzo del ricorso per cassazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
5.1. Vanno sinteticamente riportati fatti di causa rilevanti; nei confronti della società contribuente E.T. s.p.a. è stato emesso in data 27 dicembre 2012 l’avviso di accertamento n. TEB07T100081, per omessa effettuazione di ritenute, per l’anno 2007, su interessi, royalties e dividendi, erogati dalla contribuente alla capogruppo LM Ericsson, per la somma di euro 4.052.184,90; nel medesimo avviso di accertamento l’Agenzia ha contestato anche tre sanzioni collegate al tributo, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, segnatamente: 1) per l’omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta, ex art. 2, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, nella misura dal 120 al 240%; 2), per la mancata indicazione di un percipiente, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997, nella misura di euro 50,00; 3) per la mancata esecuzione di ritenute alla fonte ex art. 14 del d.lgs. n. 471 del 1997, nella misura del 20%; sempre nella stessa data del 27 dicembre 2012 l’Agenzia delle entrate ha provveduto all’emissione di un separato atto di contestazione di sanzioni, ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997 (TEBC0T100040), per omesso versamento di ritenute, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, recante la somma di euro 1.215.805,47, pari al 30% delle ritenute non versate (euro 4.052.184,90). Con riferimento a quest’ultima contestazione di sanzioni la società ha depositato memoria in data 15 febbraio 2013, chiedendo l’applicazione dell’aliquota dell’1,375%, ai sensi dell’art. 27, comma 3-ter, del d.P.R. n. 600 del 1973.
In data 7 giugno 2013 è stato raggiunto l’accordo per adesione tra le parti, con emissione dell’avviso di accertamento con adesione TEBA7T10006; in tale accordo si dà atto che la società contribuente ha presentato le memorie avverso l’atto separato di contestazione di sanzioni n. TEBCOT100040; inoltre, le ritenute vengono ridotte da 4.052.184,90 ad euro 3.132.141,00; conseguentemente le sanzioni “collegate” al tributo, già inserite all’interno dell’avviso di accertamento TEB07T100081, sono state ridotte ad euro 1.461.182,80; nel medesimo accordo, è stata presa in considerazione anche la sanzione irrogata con l’atto di contestazione separato TEBCOT100040, relativo all’omesso versamento di ritenute, con riduzione della sanzione, pari al 30% dell’importo delle ritenute, da euro 1.215.805,47 ad euro 939.142,00, ossia il 30% della somma di euro 3.132.141,00. Pertanto, in data 3 settembre 2013 è stato emesso l’atto di contestazione di sanzione per € 939.642,00 n. TEBMANIR0209, ritenuto autonomamente impugnabile dalla società contribuente.
6. Non v’è dubbio, dunque, che nell’accertamento per adesione intervenuto, in data 7 giugno 2013, è stata presa in considerazione anche la contestazione di sanzione per l’omesso versamento di ritenute, effettuata in via separata ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997.
È sufficiente esaminare il contenuto dell’avviso di accertamento con adesione, ritualmente trascritto nel ricorso per cassazione da parte della società, ove si legge “le sanzioni per omesso versamento di ritenute, originariamente irrogate con separato atto di contestazione TEBCOT100040/2012 avverso il quale la società, definendo le altre sanzioni, produceva memorie difensive per la parte relativa alle sole ritenute, vengono rideterminate in euro 939.142,26 in luogo di euro 1.215.805,47 (30% di euro 4.052.184,90). Seguirà apposito atto di irrogazione sanzione”.
7. Va chiarito che, effettivamente, per questa Corte, che si è pronunciata ai fini della sospensione del termine per impugnare, il procedimento per irrogazione delle sanzioni è del tutto autonomo rispetto al procedimento di accertamento dei tributi ed è soggetto unicamente all’applicazione degli artt. 16-18 del d.lgs. n. 472 del 1997; ne consegue che l’istituto dell’accertamento per adesione di cui al d.lgs. n. 218 del 1997 non trova applicazione nel caso di atto di contestazione delle sanzioni, anche se emesso contestualmente ad un avviso di accertamento relativo ai tributi cui le sanzioni si riferiscano, sicché l’eventuale proposizione dell’istanza non sospende il termine per la sua impugnazione (Cass., sez. 5, 30/09/2020, n. 20864); in realtà, ma sempre con esclusivo riferimento alla questione in ordine alla sospensione o meno del termine per impugnare gli atti di irrogazione delle sanzioni emessi in via autonoma, rispetto all’avviso di accertamento, vi sono precedenti difformi che estendono l’ambito applicativo dell’accertamento con adesione anche alle sanzioni contestate in via separata (Cass., sez. 5, 18/09/2015, n. 18377). Tale questione di diritto, però, esorbita dal reale contenuto della controversia in esame, che è limitato alla verifica del contenuto effettivo dell’accordo raggiunto tra le parti in sede di accertamento con adesione.
7.1. Invero, nella specie, non si può dubitare che le parti, nella loro piena autonomia negoziale, abbiano concordato anche sull’importo della sanzione relativa all’atto di contestazione separato n. TEBCOT100040, riducendone l’importo dalla somma di euro 1.215.805,47, a quella inferiore di euro 939.142,00, proprio perché l’importo complessivo delle ritenute si è ridotto, a seguito dell’adesione, da euro 4.052.184,90 ad euro 3.132.141,00, dovendosi calcolare l’importo della sanzione in base al 30% dell’importo complessivo delle ritenute non versate.
8. Invero, per questa Corte, in materia tributaria, l’accertamento con adesione, pur essendo il risultato di un accordo tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, costituisce una forma di esercizio del potere impositivo, non assimilabile, in quanto tale, ad un atto di diritto privato, sicché esso non ha natura di atto amministrativo unilaterale, né di contratto di transazione, stante la disparità delle parti e l’assenza di discrezionalità in ordine alla pretesa tributaria, ma configura un accordo di diritto pubblico, il quale, in ragione di ciò, non è soggetto alle disposizioni del codice civile in tema di transazione, ma alla speciale disciplina pubblicistica contenuta nel d.lgs. n. 218 del 1997, avente carattere cogente siccome afferente all’obbligazione tributaria, ai suoi presupposti e alla base imponibile (Cass., sez. 5, 26/05/2021, n. 14568, che ha superato la contraria interpretazione di cui alla pronuncia Cass., 11/05/2021, n. 12372, citata dalla società contribuente nella memoria depositata, che fa riferimento ad un atto unilaterale). Si è, quindi, precisato che l’accertamento con adesione è un accordo di diritto pubblico, quindi un atto bilaterale, consensuale ed ineguale, cui intervengono, su posizioni non pari-ordinate, l’Amministrazione finanziaria e il privato, la prima nell’esercizio di una funzione pubblica, il secondo nella sfera di autonomia privata, sicché a tale atto si applicano, non le disposizioni del codice relative alla transazione, ma la disciplina speciale pubblicistica che lo prevede. Inoltre, si è aggiunto che, trattandosi di accordo, sia pure di diritto pubblico, viene in rilievo la sfera dell’autonomia privata del contribuente, di carattere dispositivo (Cass., sez. 5, 21/10/2021, n. 29487, in motivazione).
9. L’art. 2, terzo comma, del d.lgs. n. 218 del 1997 prevede che “l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio”.
Tale norma, che modifica la disciplina precedente, tende ad incentivare le ragioni soggettive dei contribuenti ad utilizzare l’accordo tributario in luogo del processo tributario; tant’è vero che in dottrina si è evidenziato che la causa transigendi dell’accordo tributario abbia giustificato il generalizzato prevalere del principio pacta sunt servanda rispetto al principio rebus sic stantibus (Cass., sez. 5, 19/07/2021, n. 20637).
L’accertamento con adesione, dunque, avendo natura di concordato tra l’Amministrazione ed il contribuente, è caratterizzata dal carattere volontario dell’adesione, sicché ha efficacia nei confronti del soggetto che tale adesione ha prestato (Cass., sez. 5, 25/06/2021, n. 18351).
Trova applicazione, allora, il principio giurisprudenziale di legittimità per cui, in materia tributaria, la definizione dell’accertamento con adesione su istanza del contribuente ai sensi del d.lgs. n. 218 del 1997 determina la intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, sicché risulta normativamente esclusa per il contribuente la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato (Cass., sez. 6-5, 31/07/2019, n. 20577; Cass., sez. 5, 30/04/2009, n. 10086).
10. Sulla soluzione della controversia, quindi, che attiene al perimetro applicativo dell’accertamento con adesione, nell’ipotesi in cui le parti abbiano inserito all’interno della negoziazione anche la contestazione di sanzioni con atto separato, ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, di per sé non ricomprese nell’alveo del procedimento negoziale, non incidono le considerazioni della società, in ordine alla impossibilità di applicare la definizione agevolata all’ipotesi di omesso o ritardato pagamento dei tributi, ai sensi dell’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 (Circolare del 3 agosto 2012, n. 33 della Agenzia delle entrate “la predetta definizione agevolata è sempre esclusa per le sanzioni riguardanti l’omesso o ritardato pagamento del tributo, indipendentemente dal procedimento di irrogazione utilizzato”; Circolare del 10 luglio 1998, n. 180, del Ministero delle Finanze, “indipendentemente dal procedimento di irrogazione utilizzato, l’ultimo periodo del comma 3 prevede espressamente che relativamente alle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi non si applica la definizione agevolata prevista negli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2”.).
Effettivamente, l’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 prevede una peculiare disciplina per l’ipotesi delle sanzioni, collegate al tributo, emesse per omesso o ritardato pagamento dei tributi, stante la gravità di tale violazione. Si prevede, infatti, che “per le sanzioni indicate nel periodo precedente, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista nel comma 2 e nell’art. 16, comma 3”.
Si è, infatti, affermato che, in tema di violazione di norme tributarie, in caso di omesso o ritardato pagamento di imposta, ravvisabile anche laddove la compensazione sia stata effettuata in misura superiore a quella consentita – sia quando la sanzione è contestuale all’avviso di accertamento sia quando è irrogata con distinto atto – non è applicabile la definizione agevolata delle sanzioni, come si desume dall’art. 17, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 472 del 1997, con il cui inciso “in ogni caso” il legislatore ha vietato al contribuente che abbia omesso di versare l’imposta di accedere alla definizione agevolata delle sole sanzioni, potendo beneficiare unicamente della misura ridotta determinata “ex lege” allorché abbia provveduto al pagamento integrale, nei termini previsti, della somma dovuta (Cass., sez. 5, 25/11/2020, n. 26782; Cass., sez. 5, 30/07/2009, n. 17721; Cass., sez. 5, 29/12/2016, n. 27315).
Tuttavia, il perimetro dell’accertamento con adesione, sia pure delineato e configurato per gli avvisi di accertamento o di rettifica, oltre che sulle sanzioni strettamente collegate al tributo, ex art. 17 del d.lgs. n. 472/1997, ben può ricomprendere nel suo alveo, proprio per la natura negoziale della sua struttura, anche gli atti di contestazione di sanzioni separati dall’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997.
Peraltro, ai sensi dell’art. 10 dell’art. 10 della legge n. 212/2000 i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede; ciò vale evidentemente anche per la condotta del contribuente che non può, dopo aver sottoscritto un atto di adesione ricomprendente anche le sanzioni irrogate in via separata rispetto al tributo, poi impugnare tali sanzioni, perché sarebbero fuori dal perimetro di applicazione del procedimento per adesione.
11. Il quarto motivo è assorbito, attenendo al merito della controversia, essendo stata confermata la sentenza del giudice d’appello che ha ritenuto inammissibile il ricorso originario della società contribuente, non essendo impugnabile l’accordo con adesione.
12. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della società ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la società a rimborsare in favore dell’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 15.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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