CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2018, n. 16624
Imposte dirette – IRPEF – Professionista – Agevolazione per gli eventi sismici del 1990 in Sicilia
Ragioni della decisione
Con ricorso in Cassazione affidato a un motivo, nei cui confronti la parte contribuente non ha spiegato difese scritte, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza della CTR della Sicilia, sezione di Catania, in tema di rimborso Irpef per gli anni 1990-1992, a favore di lavoratore autonomo, di professione odontoiatra, a seguito degli eventi calamitosi siciliani degli anni 1990, 1991 e 1992.
Con l’unico motivo di censura, l’ufficio deduce la violazione dell’art. 1 comma 665 della legge n. 190/14, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.., in quanto, erroneamente, i giudici d’appello, avrebbero ritenuto legittimato attivo a ricevere il rimborso Irpef (seppur in parte) di cui alla norma indicata in rubrica, quale agevolazione per gli eventi sismici del 1990 in Sicilia, il ricorrente che risultava essere all’epoca titolare di partita Iva e, quindi, titolare di reddito derivante da attività economica e dunque, soggetto non legittimato a ricevere il rimborso, ai sensi dell’art. 1 comma 665 della legge n. 190/14, in attesa di verificare la compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’unione europea (v. p. 2 del ricorso).
Il Collegio ha deliberato di adottare la presente ordinanza in forma semplificata.
Il motivo di censura è fondato.
Infatti, occorre dare ulteriore continuità alla linea giurisprudenziale che, inaugurata dalla sezione lavoro della Corte (Cass. sez. lav., 26/09/2017, n. 22377; conf. 27/11/2017, n. 28266 e n. 28267), è stata confermata e approfondita anche in ambito fiscale (Cass. sez. 6-5, 13/12/2017, n. 29905; 3070/18, conf. Cass. sez. trib., 19/01/2018, n. 1325).
La Commissione UE, con la decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 final (che il giudice nazionale deve attuare anche mediante disapplicazione di norme contrastanti; conf. Cass., n. 22377/2017 e n. 29905/2017, cit.), stabilisce all’art. 1 che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, comma 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, par. 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sono incompatibili con il mercato interno”.
E’ fatta salva l’ipotesi che si tratti di un “aiuto individuale” che “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014”, ovvero dai regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 dec. cit.), o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’articolo 1 del regolamento (CE) n. 994/98” (sull’applicazione degli artt. 92 e 93 -ora 87 e 88- del Trattato a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontati), “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3 dec. cit.).
Secondo la Commissione UE “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perché il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis applicabile oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)” (par. 134 dec. cit.).
Peraltro, la decisione della Commissione UE, impugnata da una società siciliana (T-172/16), resta confermata dal Tribunale di primo grado UE, con sentenza del 26 gennaio 2018 (v. infra par. 12).
Orbene, la nozione euro-unitaria d’impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia: 23/04/1991, Hofner & Elser, 16/11/1995, Fédération française des sociétés d’assurances; 11/12/1997, Job Centre; 16/06/1987, Commissione vs. Italia; 01/07/2008, Motoe; 26/03/2009, Se/ex Sistemi Integrati). Il che si raccorda sia con la normativa fiscale europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” (art. 9, par.1, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE), sia con la normativa europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi” (art. 1, par.8, Direttiva UE, n. 2004/18/CE). Il tutto è implicitamente recepito dalla ridetta decisione della Commissione UE, laddove si afferma che i “soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese” (par. 134 dec. cit.). II che significa che non importa neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione UE, 30/01/1995, n. 95/188/CE; conf. Corte giustizia, 23/04/1991, Hoefner e 18/06/1998, Commissione vs. Italia).
Nel caso di specie, come già indicato, l’Agenzia ritiene il contribuente un titolare di reddito d’impresa, in quanto intestatario di partita Iva, anche se oggetto della presente controversia è solo l’Irpef dovuta per gli anni in contestazione.
Una volta assodato lo svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale che sia) da parte del contribuente, il medesimo giudice di merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), “tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza” (Cass., n. 22377/2017, cit.; conf. n. 29905/2017, cit.). In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (par. 150, lett. b), dec. cit.), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (par. 136 dec. cit.). Il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovra-compensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto; par. 148 dec. cit.). Inoltre, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. sez. lav., 09/06/2017, n. 14465).
Nella specie, mancando agevolazioni concesse e da recuperare, è il contribuente stesso che, avendo assolto a suo tempo all’intera imposizione fiscale, chiede il rimborso dell’eccedenza versata rispetto al dovuto in applicazione dell’art. 6, commi 4-bis e 4-ter, d.l. 29/11/2008, n. 185. Il che comporta che alcune verifiche fattuali, ora richieste dalla decisione della Commissione (come la circostanza che l’aiuto per importi e arco temporale sia in linea con il regolamento de minimis), influiscono sulla valutazione finale della domanda (par. 134, 136, 148, 150 lett. b) dec. cit.).
Ovviamente l’onere di provare le suddette circostanze incombe al soggetto che invoca il beneficio. Tuttavia, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione UE (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello), e la sua diretta incidenza sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza delle commissione regionale, consentono l’esibizione, in sede di rinvio, degli ulteriori documenti necessari per l’accertamento di quei fatti che, in precedenza, non erano indispensabili ai fini della decisione, ma che ora costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica dell’UE (Cass., n. 22377/2017, cit.; conf. n. 29905/2017, cit.).
Benché la Commissione UE abbia espressamente previsto un’eccezione all’obbligo di recupero degli aiuti già erogati, ove sia giustificata dalla scadenza del termine decennale di conservazione dei documenti contabili (par. 150 dec. cit.), tale eccezione va interpretata in maniera restrittiva. Non è, infatti, possibile autorizzare, per analogia, successivamente all’adozione della decisione impugnata, l’erogazione automatica di aiuti dichiarati incompatibili, senza privare di efficacia pratica detta decisione e l’intero sistema di controllo degli aiuti di Stato (Trib. UE, 26/01/2018, Centro Cinico e Diagnostico G.B. Morgagni, cit., par.96-97 e par. 98-104). Resta in disparte ogni eventuale futura evoluzione nella disciplina euro-unitaria, che dovrà essere verificata sempre in sede di giudizio di rinvio (Cass., n. 1325/2018, cit.).
Il ricorso va, pertanto, accolto nei termini sopra enunciati, con cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione di Catania in diversa composizione, cui è demandato di procedere a nuovo esame in conformità ai superiori principi di diritto, osservando la decisione della Commissione UE del 14/08/2015 e le indicazioni della Corte di giustizia del 15/07/2015, e di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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