CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2019, n. 17001
Appalto di servizi – Pubbliche amministrazioni – Inapplicabilità art. 29, D.Lgs. n. 276/2003
Ritenuto
1. Che la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 8519 del 2014, ha accolto l’impugnazione proposta da C. S. nei confronti dell’ISPRA, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma.
Il Tribunale aveva accolto l’opposizione proposta dall’APAT, cui era subentrata l’ISPRA avverso il decreto ingiuntivo per il pagamento disposto in favore di C. S. della somma di euro 2.174,10, oltre interessi ed accessori, a titolo di differenze retributive per l’anno 2006 oltre mensilità aggiuntive, ferie, permessi, ROL ed ex festività e TFR non corrisposti dal datore di lavoro R. I., per il lavoro prestato dalla lavoratrice per l’appalto di servizi presso APAT.
2. Il Giudice di appello ha affermato che il d.lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, secondo cui: “Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale”, deve essere interpretato alla luce della legge delega, per salvaguardarne la conformità con l’art. 76 Cost., con la conseguenza che la disposizione dell’art. 1 del citato d.lgs. 276 del 2003, stabilisce solo la non applicabilità, in deroga al principio sancito dall’art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, alla pubblica amministrazione della nuova disciplina in materia di contratto di lavoro ossia per le materie oggetto delle deleghe di cui alla legge n. 30 del 2003.
Ed infatti, agli artt. 1-5 della legge n. 30 del 2003 elencano le diverse deleghe, e l’art. 6 della medesima legge stabilisce che le disposizioni di cui agli artt. 1-5 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate.
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’ISPRA ex APAT, prospettando tre motivi di ricorso.
5. Resiste con controricorso C. S.
Considerato
1. Che con il primo motivo di ricorso l’unico motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, in combinato disposto con l’art. 1676 del codice civile; decadenza del termine per poter agire nei confronti dell’appaltatore.
Assume il ricorrente che si è verificata la decadenza dall’azione in quanto il ricorso per decreto ingiuntivo è stato depositato in data successiva allo scadere dei due anni dalla cessazione dell’appalto, come previsto dal medesimo art. 29, cit.
2. In via subordinata, con il secondo motivo, è dedotta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., omissione di pronuncia.
Assume il ricorrente di aver eccepito la decadenza dall’azione ma che su tale eccezione il giudice non si pronunciava.
3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono inammissibili.
Occorre premettere che parte ricorrente denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione di norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito.
Trattasi, in generale, non di errore di giudizio che attiene al rapporto sostanziale dedotto in lite (come vorrebbe il riferimento contenuto nella rubrica del motivo in esame all’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ.), bensì di errore di attività che, essendosi verificato nel corso del processo, si assume possa averne inficiato l’esito.
Poiché in tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso, ovviamente, come fatto processuale (tra le tante: Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006).
Tuttavia, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4, c.p.c.), “sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”.
Parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 6225 del 2005; Cass. n. 9734 del 2004).
Tanto non è accaduto nella specie laddove nel corpo del motivo non sono indicati i contenuti dell’eccezione dell’ISPRA in modo tale da individuare il dedotto vizio processuale.
4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2 e 29, comma 1 e 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, e dell’art. 6 della legge n. 30 del 2003, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ..
li ricorrente, con plurime argomentazioni, deduce che l’interpretazione fatta propria dalla Corte torinese del combinato disposto del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 1, comma 2, e della legge di delega n. 30 del 2003, art. 6, è errata e non corrispondente alla lettera delle norme.
Infatti, il tenore letterale dell’art. 1, comma 2, cit. è tale da evidenziare la volontà del legislatore di escludere dal campo di operatività del decreto sia il personale delle pubbliche amministrazioni sia le pubbliche amministrazioni in quanto tali.
La solidarietà prevista dall’art. 29, comma 2, cit. non può riguardare l’amministrazione pubblica come datore di lavoro del personale assunto nelle forme del pubblico impiego.
5. Il motivo è fondato e va accolto.
Trovano applicazione nella specie i seguenti principi già affermati da questa Corte in analoghe fattispecie (ex multis, Cass. nn. 6554 del 2019, 29176/18, 17518/2018, 28186/2017, 24953/2017, 20327/2016, 15432/2014): l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, nel prevedere che “il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale” è chiaro nell’individuare il destinatario della esclusione, riferita all’intero decreto innanzitutto nell’ente pubblico;
non è ravvisabile il prospettato vizio di eccesso di delega rispetto alla legge n. 30/2003, art. 6, in quanto questo riguarda esclusivamente i rapporti fra legge delegante e decreto legislativo delegato, ma viene meno nei casi in cui il legislatore, intervenendo nuovamente sul testo normativo, trasformi la natura della norma da legge in senso materiale a legge in senso formale, affrancandola dal vizio di eccesso di delega, come si è verificato nella specie (cfr. Cass. 15432/2014 cit., che, attraverso il richiamo alla ordinanza della Corte Costituzionale n. 5 del 2013, ha evidenziato come la disciplina della responsabilità solidale del committente, dettata dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, è stata oggetto di plurimi interventi del legislatore, successivi ed estranei al rapporto di delegazione, che hanno fatto venire meno ogni rilevanza dell’eventuale vizio originario);
l’art. 9 del decreto-legge n. 76 del 2013, conv. con modif. nella legge n. 99 del 2013, nella parte in cui prevede la inapplicabilità del suddetto articolo 29 ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001 ha esplicitato, senza innovare il quadro normativo previgente, un precetto già desumibile dal testo originario del richiamato art. 29 e dalle successive integrazioni.
All’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato il Collegio intende dare continuità condividendone le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ..
6. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda ex art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003.
7. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio tenuto conto dei contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda ex art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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