CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2019, n. 17028

Accertamento del rapporto di lavoro subordinato – Prova – Licenziamento orale – Illegittimità – Risarcimento danni

Rilevato che

La Corte di appello di Lecce con la sentenza n. 2385/2017 aveva rigettato l’appello proposto da E. M. avverso la decisione con la quale il tribunale di Brindisi aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta nei confronti di M. P. C., diretta all’accertamento del rapporto di lavoro subordinato prestato in favore di quest’ultima, nel 2010, con mansioni di benzinaio addetto al distributore T. E. sito in Brindisi sulla super strada Brindisi-Bari, al pagamento delle differenze retributive maturate ed al risarcimento del danno per il licenziamento orale illegittimamente intimato.

La Corte territoriale aveva ritenuto non sufficientemente provata la natura subordinata del rapporto, in quanto la testimonianza della teste P., risultava inattendibile perché relativa a circostanze conosciute “de relato” e comunque affermate da teste legata sentimentalmente al ricorrente.

La corte valutava non sufficienti gli ulteriori elementi acquisiti in quanto non dimostrativi della esistenza dei requisiti tipici della subordinazione, in ciò compreso il verbale redatto dagli agenti in sede di controllo per DASPO, in quanto non idoneo ad attestare le caratteristiche della prestazione di lavoro fornita dal ricorrente.

Avverso detta decisione E. M. proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva con controricorso M. P. C.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, cui seguiva il deposito di memoria da parte dell’E.

Considerato che

1) Con il primo motivo è censurato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.). Rileva il ricorrente l’omessa valutazione delle dichiarazioni rese dalla teste M. P. e del verbale redatto in sede di controlli DASPO.

Il motivo è inammissibile.

Secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014).

Nella specie la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure.

L’adesione del Giudice di appello rispetto al giudizio di fatto espletato dal Tribunale rende evidente come quest’ultimo costituisca il fondamento della decisione di rigetto dell’appello, rispetto alla quale alcuna differente e opposta allegazione, circa l’eventuale contrasto tra le decisioni, è stata invece formulata dal ricorrente.

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione ed errata applicazione dell’art. 115 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., essendo la corte d’appello incorsa in errore di percezione dei risultati della prova testimoniale ed in particolare delle dichiarazione della M..

Il motivo deve essere dichiarato inammissibile in quanto in esso è denunciato un apparente errore di percezione delle dichiarazioni rese dalla M., allorché la corte territoriale ha escluso in origine la sufficienza della stessa testimonianza rispetto alla prova degli elementi della subordinazione.

Il giudizio di originaria insufficienza rende inconferente la censura che deduca una falsa percezione, in quanto comunque le dichiarazioni, nella loro complessiva consistenza, non potrebbero utilmente sostenere ed avvalorare la pretesa azionata.

Il ricorso è inammissibile. Le spese, seguendo il principio di soccombenza, sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 3.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.