CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12590
Tributi – Accertamento – Consapevolezza del contribuente di partecipare ad una frode fiscale – Elemento indiziario – Acquisto sottoscosto delle autovetture
Rilevato che
1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini delle II.DD., IVA ed IRAP emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti della M. s.n.c. di C.M. & C., nonché dei soci M. e R.C., per recupero a tassazione dei costi relativi ad operazioni intercorse con la B. s.r.I., nell’anno d’imposta 2006, che l’amministrazione finanziaria riteneva inesistenti, la CTR, pur prendendo atto della riduzione della pretesa fiscale (a seguito di annullamento parziale dell’atto impositivo, adottato in autotutela dall’amministrazione finanziaria in applicazione dell’art. 8 della legge n. 44 del 2012), accoglieva l’appello dei contribuenti ritenendo che nella specie l’Agenzia delle entrate non aveva adempiuto l’onere probatorio sulla medesima incombente circa la consapevolezza della società contribuente di partecipare ad una frode, sostenendo che la cessione di autovetture con un sottocosto di entità variabile dal 4,40% al 13,78% era troppo modesto per autorizzare nel cessionario il sospetto di una frode fiscale.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, cui non replicano gli intimati.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio nei confronti dei due soci, essendo medio tempore cessata la società.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, 2697, 2727 e 2729 cod. civ., sostenendo che aveva errato la CTR a ritenere l’insussistenza dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza in materia di inesistenza soggettiva delle operazioni commerciali contestate.
2. Al riguardo va reiterato l’insegnamento della Corte di Giustizia reso con la sentenza 21 giugno 2012 nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11 (Mahagében Kft e Péter Dàvid) secondo cui: «Gli articoli 167, 168, lettera a), 178, lettera a), 220, punto 1, e 226 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che ostano a una prassi nazionale in base alla quale l’amministrazione fiscale nega ad un soggetto passivo il diritto di detrarre, dall’importo dell’imposta sul valore aggiunto di cui egli è debitore, l’importo dell’imposta dovuta o versata per i servizi che gli sono stati forniti, con la motivazione che l’emittente della fattura correlata a tali servizi, o uno dei suoi fornitori, ha commesso irregolarità, senza che detta amministrazione dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal suddetto emittente o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni».
Inoltre, «Gli articoli 167, 168, lettera a), 178, lettera a), e 273 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che ostano a una prassi nazionale in base alla quale l’amministrazione fiscale nega il diritto a detrazione con la motivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l’emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio del diritto a detrazione avesse la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, o con la motivazione che il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che di detta fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate, benché ricorrano le condizioni di sostanza e di forma previste dalla direttiva 2006/112 per l’esercizio del diritto a detrazione e sebbene il soggetto passivo non disponga di indizi che giustifichino il sospetto dell’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto emittente».
3. Questa Corte (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019, Rv. 653071 – 01) ha fatto espressa applicazione di siffatta giurisprudenza unionale elaborando il principio di diritto secondo cui «non può revocarsi in dubbio che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d)» (cfr. Cass. 21953/07, che fa riferimento alla possibilità che l’amministrazione produca elementi anche indiziari, a sostegno della pretesa fiscale azionata; Cass. 9108/12, Cass. 15741/12, che osserva con chiarezza – in motivazione – come costituisca principio di carattere generale che la prova dei fatti possa essere data anche mediante presunzioni).
4. Peraltro, la stessa Corte Europea mostra di valorizzare appieno la prova indiziarla o presuntiva, laddove afferma che la sussistenza di “indizi”, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi. In difetto, non potrà che essere escluso – per le ragioni suindicate – il diritto del medesimo alla detrazione di imposta (C. Giust. CE, 21.6.12, cit.)» (Cass. 14 dicembre 2012 n.23078; Cass. 14 dicembre 2012 n. 23560; Cass. 24 maggio 2013 n.12963).
5. Orbene, la sentenza impugnata è eccentrica rispetto alla giurisprudenza unionale e di questa stessa Corte sopra richiamata, in quanto, da un lato, svaluta ingiustificatamente l’elemento indiziario costituito dall’acquisto sottoscosto delle autovetture, facendone discendere la mancanza di prova della conoscibilità da parte della società contribuente che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inscriveva in un’evasione o in una frode, sostanzialmente pretendendo che l’Amministrazione offrisse una prova certa ed incontrovertibile; dall’altro, non valuta in alcun modo analiticamente gli elementi della fattispecie per verificare se ricorressero gli indizi che avrebbero dovuto rendere edotta la contribuente, con la diligenza media richiesta ad un imprenditore onesto che opera sul mercato. A tale riguardo si consideri che la vendita di autovetture sottocosto costituisce elemento sintomatico di una possibile frode erariale che, a prescindere dall’entità della percentuale applicata dal venditore, avrebbe dovuto comunque insospettire l’acquirente ed indurlo ad accertarsi della regolarità dell’operazione commerciale. Peraltro, nell’appello l’Agenzia delle entrate aveva dato atto anche di altri elementi sintomatici di frode fiscale, tra cui la mancanza di struttura organizzativa della cedente. Tali elementi, complessivamente considerati, chiaramente indicativi di evasione e/o frode fiscale, sono stati erroneamente svalutati e, addirittura, nemmeno considerati dai giudici di appello, che avrebbero dovuto invece ritenerli sintomatici dell’inesistenza delle operazioni commerciali accertate e porre a carico della società contribuente e dei suoi soci l’onere di provarne l’effettività.
6. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla competente CTR per nuova disamina, in particolare sull’assolvimento in capo ai contribuenti dell’onere probatorio sui medesimi incombenti, alla stregua dei principi giurisprudenziali sopra citati, e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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