CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12678
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Stato di insolvenza – Dichiarazione di fallimento – Reclamo – Condizioni
Fatti di causa e rilevato che
1. B&A società cooperativa impugna la sentenza App. Bologna 5.4.2017, n. 886/2017, rep. 913/2017, R.G. 111/2017, cron. 1289/2017, che ha rigettato il suo reclamo avverso la sentenza di fallimento Trib. Bologna 16.12.2016, n. 210/2016 resa su istanza del creditore Fallimento B. Italia s.r.l.;
2. per la corte, rilevata la non introdotta contestazione dei presupposti soggettivi di fallibilità, risultavano: a) acclarata l’insolvenza, per l’irrilevanza delle liquidità rispetto all’ingente massa (circa 4 milioni euro) di debiti scaduti, a fronte di crediti verso terzi inferiori (1,45 milioni euro) e di dubbia esigibilità; b) sussistente la legittimazione all’originaria istanza del creditore Fallimento B. Italia s.r.l., per via dell’inottemperanza della debitrice all’accordo transattivo di rateazione del debito di originari circa 400 mila euro, concluso nell’aprile del 2016 e non avendo la cooperativa continuato a versare le rate dall’ottobre 2016;
3. con il ricorso in via principale, in quattro motivi, il primo consistente in plurime censure, si contesta la decisione denunciando: a) violazione dell’art.6 l.f., poiché la corte ha trascurato che l’invocata risoluzione dell’accordo transattivo avrebbe implicato la reviviscenza, in capo alla cooperativa, di un credito per pari e più importo (430.000 euro) verso l’istante Fallimento B. s.r.l., posta attiva non presa in considerazione nell’istruttoria; b) parimenti, quanto all’insolvenza, il giudice di merito non aveva considerato che la cooperativa era stata ammessa alla rateazione del debito fiscale, mentre i debiti verso INPS e INAIL potevano dirsi compensati con le accise e i debiti di lavoro erano stati dedotti in un piano di rientro, con ritiro delle istanze di fallimento; c) la “omissione di valutazione” anche quanto alla negligente attività dell’amministratore nominato dal tribunale in pendenza di istruttoria prefallimentare, non avendo tale organo riferito dei fatti sub b) e avendo invece partecipato all’udienza ex art. 15 l.f., in rappresentanza della società debitrice, ma non permettendo le difese dell’amministratore ovvero un pagamento al creditore istante; d) violazione degli artt. 1 e 5 l. f. avendo erroneamente il tribunale ritenuto l’insolvenza dipendente da crediti contestati e nonostante le omissioni riferite all’amministratore giudiziario, poi nominato curatore; e) la violazione del contraddittorio, poiché l’istanza di fallimento era stata notificata all’amministratore della cooperativa, in realtà cessato dalla carica perché sostituito dal citato professionista designato nelle more dal tribunale, amministratore giudiziario che poi, senza aver acquisito l’intera contabilità, instava per l’autofallimento; f) violazione dell’art.191 c.p.c. per non avere la corte disposto C.T.U. contabile.
Ragioni della decisione e considerato che
1. il primo motivo è inammissibile, per plurimi profili; in primo luogo il ricorrente, genericamente invocando un controcredito verso il creditore istante, omette di specificare, riportandone il contenuto essenziale, per quale punto dell’accordo fra le parti vi sarebbe stata reviviscenza della propria pretesa, meramente enunciata in questa sede e rispetto alla quale la valutazione complessiva del giudice di merito, condotta sul credito dell’istante, sarebbe stata omessa o errata; inoltre, la censura relativa alla legittimazione ex art.6 l.f., lungi dal contestare un vizio di applicazione della norma, si risolve in una critica, inammissibile, sulla valutazione delle circostanze di merito, posto che la sentenza non ha affatto evitato di pronunciarsi sulla risultante del rapporto negoziale fra le parti, anche per come dedotto nella transazione di cui è stata predicata l’inottemperanza ad opera della cooperativa;
2. la concludente trascrizione, ad opera del controricorrente Fallimento, della transazione conclusa e inadempiuta, ha piuttosto messo in evidenza la clausola di prevista decadenza dal beneficio di rateizzazione di cui si sarebbe potuto avvalere il creditore proprio per l’ipotesi, così esigendo subito il pagamento del residuo; e non consta altrimenti, come invece prospettato dal ricorrente (ma in violazione del principio di autosufficienza), che sia nella vicenda occorsa una risoluzione della transazione, con ripristino di crediti ancora diversi, in particolare , per la procedurali una pretesa non coincidente con quella prospettata con l’iniziativa fallimentare (il residuo impagato a seguito della transazione e la penale ivi prevista per tardiva riconsegna, secondo il testo riportato in controricorso) e per la ricorrente il dedotto controcredito verso la procedura (senza invero riferimenti precisi nel procedimento e negli atti riportati);
3. va così ripetuto che, sul punto, opera il principio per cui «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciatile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. s.u. 8053/2014);
4. la legittimazione del fallimento B. Italia s.r.l. appare così coerente, per come affermata, in base al principio per cui «in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 l.fall. laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante» (Cass. 30827/2018, Cass. s.u. 1521/2013);
5. il primo motivo, lett. a), da esaminare insieme al secondo motivo, conduce ad una valutazione di inammissibilità, di fatto essi solo prospettando una alternativa valutazione di elementi che, secondo una consolidata nozione oggettiva dello stato d’insolvenza, hanno integrato il relativo accertamento positivo; nella sentenza della corte si riportano anche, con sintetica ma chiara condivisione del relativo apprezzamento negativo, le dichiarazioni del curatore che, aggiornando le posizioni attive, ne negava la piena plausibilità, dalle accise (in questa sede rivendicate a posta di compensazione con debiti INPS e INAIL) ad altre poste verso terzi (in realtà a loro volta a credito);
6. va inoltre affermata la estraneità, rispetto al thema decidendum, dei profili che – sub primo motivo lett. b) – investono la prospettata mala gestio ovvero inammissibilità della nomina dell’amministratore giudiziario, la cui attività entra semmai in mera relazione di fatto con le cause dell’insolvenza, qui del tutto irrilevanti (Cass. 441/2016, 9253/2012 e conf. 6657/2018); così, «ai fini della dichiarazione di fallimento, è necessario e sufficiente, sul piano del riscontro oggettivo di quello specifico status, l’accertamento di una situazione d’impotenza economico-patrimoniale, idonea a privare il soggetto della possibilità di far fronte, con mezzi “normali”, ai propri debiti; accertamento suscettibile di esser desunto, dunque, più che dal rapporto tra attività e passività, dalla impossibilità per l’impresa di continuare a operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni» (Cass. 27445/2019); i limiti redazionali del ricorso, del tutto non autosufficiente sul punto, precludono un diverso esame dei denunciati profili di illegittimità della citata nomina;
7. il terzo motivo è inammissibile, oltre che per la commistione di profili eterogenei e senza specificazione delle norme pretesamente violate, per difetto di interesse, siccome avanzato dalla società fallita, a dolersi della convocazione camerale disposta o comunque effettuata dal tribunale anche in favore del legale rappresentante della stessa; così Cass. 20689/2016 va richiamata ove ha statuito che «il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia senza rilievo pratico» risulta inammissibile; la circostanza, semmai, ha assolto in modo regolare ad un requisito di organizzazione dell’istruttoria prefallimentare con le notifiche in favore della società ex art.15 l.f.;
8. il quarto motivo è inammissibile, dovendosi ribadire che «la consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice» (Cass. 4660/2006, 15219/2007, 25253/2019), il quale infatti ha ampiamente dato conto degli elementi sufficienti, in esito al l’istruttoria condotta, a pronunciarsi sull’insolvenza della cooperativa.
il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; ne conseguono la condanna alle spese del procedimento, secondo la regola della soccombenza e con liquidazione come da dispositivo e la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate – in favore di ciascun controricorrente – in euro 6.100 (di cui euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla I. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.
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