CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12681
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Requisiti dimensionali – Dichiarazione di fallimento – Reclamo – Prova di sussistenza dei requisiti di non fallibilità
Rilevato che
1. G. s.r.l. impugna la sentenza App. Catania 24.05.2018, n.1178/2018, in R.G. n. 290/2018 , che ha rigettato il suo reclamo ex art. 18 l.f. avverso la sentenza Trib. Catania 21.12.2017, n.199/2017, dichiarativa del proprio fallimento su istanza di A.C.C. S.A. D.S.R.;
2. La Corte ha invero rilevato che la società – costituitasi solo in sede di reclamo – non ha assolto all’onere di provare il mancato superamento dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 1 l.f. ai fini dell’esenzione dal fallimento; invero essa ha omesso di produrre i bilanci del triennio anteriore all’istanza di fallimento (2016-2014) o documenti equipollenti, nonché una relazione aggiornata circa la sua situazione economica, patrimoniale e finanziaria, non potendo invocare ai fini dell’esonero il mero contenuto negativo della dichiarazione ai fini IVA 2014;
3. la corte ha, altresì, evidenziato lo stato di insolvenza, a fronte dell’incapacità di assolvere all’obbligazione debitoria nei confronti della società reclamata, che vantava un credito in base a titolo giudiziale definitivo, e della cessazione dell’attività d’impresa;
4. con il ricorso si deduce: a) (primo motivo) la violazione degli artt. 1 e 15 l.f. e dei principi fissati nelle sentenze n. 570/1989 e 198/2009 della Corte costituzionale, avendo errato la corte, in relazione all’art. 360, n.3 c.p.c., a conferire decisività alla mancata produzione di atti specifici (bilanci e relazione economica-finanziaria) senza accertare la fallibilità anche aliunde e d’ufficio; b) (motivo ibis) la violazione degli artt. 1 e 15 l.f. con riguardo alla limitazione dei mezzi di prova ammissibili ai soli bilanci e ai documenti altrettanto significativi, per implicito escludendo la possibilità di esercitare i poteri officiosi; c) (secondo motivo) la violazione dell’art. 360 n.5 c.p.c., considerando che la ricorrente aveva allegato anche i dati fattuali della dichiarazione dei redditi 2011; d) (motivo 2bis) la violazione dell’art.132,co.2,n.4 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., non risultando esplicitata la ragione per cui la dichiarazione dei redditi e il relativo allegato non siano stati esaminati e vi sia contraddizione tra l’inattività conclamata e la censura della sentenza in punto di mancato aggiornamento dei dati oltre il 2011; e) (terzo motivo) la violazione dell’art. 115 , comma 1 e 2, c.p.c., non avendo il giudice utilizzato tutte le prove acquisite e dovendosi applicare la regola della non contestazione e così dare per pacifico che il passivo non eccedeva la soglia di 500.000 euro; f) (motivo 3bis) la violazione dell’art. 132,co.2,n.4 c.p.c. e dell’addii Cost., risultando illogica ed incoerente la conclusione che ha negato la veridicità dell’affermazione della reclamante di possedere il requisito sub c) sulla base della mera rilevazione che soltanto il debito della creditrice istante pari a circa 150.000 sembrava essere accertato.
Considerato che
1. i motivi vanno trattati unitariamente, per l’intima connessione i e sono inammissibili; la corte ha accertato che, le annualità che vengono in considerazione essendo quelle del triennio 2014-2016, la società reclamante, dunque in violazione dell’art.15 l.f., non ha prodotto per il periodo né i bilanci né una relazione aggiornata circa la sua situazione economica, finanziaria e patrimoniale; come pure era mancante la prova dell’insussistenza dei requisiti dimensionali nel suddetto triennio, inclusi i debiti di cui alla lettera c) art. 1 l.f., essendo noto quello di circa 150.000 euro nei confronti della società reclamata; parimenti, in qualità di società esistente regolarmente iscritta nel registro delle imprese, il fatto di essere “inattiva” non la esimeva dalla redazione dei bilanci annuali; ed invero le sole dichiarazioni IVA del 2014 sono state ritenute insufficienti al fine di corroborare la citata prova negativa, incombente sul debitore, come statuito da Cass. 24548/2016 per cui «l’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dall’art.1, comma 2,l.f. grava sul debitore, atteso che la menzionata disposizione, anche prima delle ulteriori modifiche a essa apportate dal decreto correttivo n. 169 del 2007, già poneva come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali» (conf. Cass. 25188/2017);
2. secondo indirizzo aggiornato da questa Corte, «ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, l.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, comma 4, l.fall., costituiscono mezzo di prova privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere tuttavia a prova legale, sicché in mancanza dei detti bilanci il debitore può dimostrare la sua non fallibilità con strumenti probatori alternativi» (Cass. 24138/2019), così come, «ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, l.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, comma 4, l.fall., sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ex art. 2435 c.c., sicchè, ove difettino tali requisiti o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità» (Cass. 33091/2018, 24548/2016);
3. né osta a tale principio, si è precisato, «la natura officiosa del procedimento pre fallimentare, che impone al tribunale unicamente di attingere elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza che, peraltro, il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova, tanto meno quando l’imprenditore non si sia costituito in giudizio e non abbia, quindi, depositato i bilanci dell’ultimo triennio, rilevanti ai fini in esame» (Cass.625/2016);
4. il ricorrente è dunque incorso nel limite di un’allegazione e documentazione probatoria del tutto generiche, inidoneamente riassunte in questa sede solo invocando una diversa valutazione a sé favorevole degli stessi fatti, motivatamente ritenuti insufficienti dalla corte (Cass. s.u. 8053/2014), senza dar conto di un complesso di elementi che, per un verso, giustificassero la mancata produzione dei bilanci ovvero la loro non formazione, né avendo per di più ricostruito alcuna situazione economico-patrimoniale e finanziaria aggiornata, come pur prescritto dalle modalità tipizzate di difesa riferita al debitore dall’art.15 l.f.; la circostanza omissiva, per altro verso, pone in risalto che nemmeno è possibile censurare la pronuncia sotto il profilo degli strumenti probatori alternativi a quelli non versati dalla parte, posto che requisito preliminare della loro acquisizione è una equipollente significatività rispetto ai bilanci regolarmente depositati al registro delle imprese; il che rende del tutto irrilevante ogni considerazione sulla portata della supposta non contestazione degli scarni elementi invece e solo prodotti avanti al giudice del reclamo;
5. quanto osservato fonda la non configurabilità del dubbio di costituzionalità – sollevato peraltro con generico richiamo al parametro dell’art.3 Cost. – della norma sull’esercizio dei poteri officiosi così riassunta nella sua corrente interpretazione; apparendo del tutto congrua una graduata selettività del poteri d’intervento officioso allorchè il giudice di merito, come avvenuto nella vicenda, dia conto di carenze e omissioni nelle attività di rappresentazione dei fatti in processo a cura della parte; tanto più che il criterio di vicinanza della prova, particolarmente idoneo a fornire indicazioni sul livello di esigibilità del contributo del debitore in tema di propri requisiti soggettivi ai sensi dell’art. 1 co.2 l.f., giustifica solo una coadiuvazione officiosa che non supplisca ad un deficit immotivato di corredo istruttorio a cura della parte stessa;
6. va infine ribadito che i se è stato sostenuto che «il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., sintetizzando una tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti che ha dignità di regola generale, si applica anche al procedimento per dichiarazione di fallimento » (Cass.5067/2017), occorre sottolineare che detto principio, con conseguente relevatio dell’avversario dall’onere probatorio, «postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione» (Cass.3023/2016), partecipando al processo e ivi svolgendo l’attività di produzione conseguente all’accertamento invocato rispetto alla propria posizione soggettiva; tanto più che proprio la natura pienamente devolutiva del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento va coordinata con l’attenzione del quadro ordinamentale alla sua ragionevole durata e ai principi di economicità dei suoi costi per le parti e lo Stato ex artt. 111, 24 e 97 Cost., così che, qualora il debitore abbia omesso – come nella specie – di difendersi avanti al tribunale, tale parte è comunque onerata, avanti alla corte d’appello e prendendo posizione nel contraddittorio per la prima volta, al dispiegamento delle difese sul merito della fallibilità nel rigoroso rispetto delle regole di allocazione dell’onere della prova;
il ricorso è, pertanto, inammissibile; ne consegue la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi dell’art. 13, co. 1- quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla I. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.