CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12715
Omesso versamento contributivo – Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense – Cartella esattoriale
Rilevato
che la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4893 del 2014, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto l’opposizione proposta da G.L. avverso l’intimazione di pagamento notificatagli dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, per contributi non versati;
che a fondamento del decisum, la corte, sul rilievo che l’atto impugnato non consisteva in una cartella esattoriale bensì in una intimazione di pagamento, notificata il 26 febbraio 2009, che richiamava la precedente cartella di pagamento, già notificata il 31 luglio 2004, evidenziava come il ricorrente, nella sua impugnativa, non avesse dedotto di non aver mai ricevuto la cartella, presupposto dell’atto opposto, e si fosse limitato a dedurre l’avvenuto pagamento e la prescrizione dei contributi iscritti a ruolo il 6 febbraio 2001;
ha ritenuto, dunque, la corte territoriale, che a fronte di tali deduzioni doveva escludersi a carico del creditore l’onere di dimostrare la avvenuta notifica della cartella e, anche a non voler condividere l’impostazione seguita dal primo giudice che aveva ritenuto la cartella titolo esecutivo giudiziale, che cristallizza la pretesa ove non impugnato nei termini (profilo, peraltro, non oggetto di motivo di appello), la prova del pagamento fornita dal Lombardo non risultava dirimente poiché era relativa a contributi diversi (soggettivo e integrativo sulle eccedenze IRPEF) rispetto a quelli portati nella cartella esattoriale di cui all’avviso di intimazione impugnato (minimi, soggettivo e integrativi, nonché contributo di maternità);
che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione G.L., affidato a tre motivi;
che la EQUITALIA GERIT s.p.a e la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense sono rimaste intimate;
che il P.G. non ha formulato richieste scritte che non sono state depositate memorie illustrative.
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:
1) ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c., la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, non verificando analiticamente se le somme versate dal ricorrente, che aveva eccepito il pagamento, fossero quelle riportate dalla cartella esattoriale;
2) la violazione dei principi in tema di prova, in cui sarebbe incorsa la sentenza che non avrebbe verificato la notifica della cartella opposta, ricavando tale dato solo dalle allegazioni del ricorrente;
3) la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, non tenendo conto della prescrizione del credito maturata ;
che, il ricorso è infondato;
che il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole del fatto che la corte non abbia operato verifiche concrete ed analitiche sulle somme versate dal ricorrente, viola il disposto dell’art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c., che statuisce che il ricorso per cassazione tra l’altro deve contenere, “a pena di inammissibilità”, “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.
In generale la norma è finalizzata alla precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente (Cass. SS. UU. n. 16887 del 2013).
Per consolidato orientamento di questa Corte la disposizione postula che chi ricorre in Cassazione assolva ad un duplice onere: innanzi tutto specifichi il contenuto degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso; in secondo luogo esige che sia individuato in quale sede processuale il documento risulti prodotto.
Il ricorrente si è sottratto a tale onere, incorrendo nella inammissibilità del motivo.
Che anche i restanti motivi di ricorso, con i quali il ricorrente si duole: del fatto che la corte male abbia applicato il principio per cui chi invoca la circostanza della avvenuta notifica deve fornire la prova, dell’omesso rilievo della prescrizione dei contributi, sono infondati.
Ed infatti, nel giudizio in esame, come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, il ricorrente sin dal ricorso introduttivo del giudizio, e finanche in questa sede, non ha mai dedotto di non aver ricevuto la cartella di pagamento posta a base della successiva intimazione, limitandosi a discorrere di pagamento e di “sopravvenuta” prescrizione, senza realmente confrontarsi in questa sede con la ratio della sentenza impugnata, che, invece ha correttamente fondato sulle allegazioni della parte la individuazione del “thema decidendum” e la conseguente pronuncia reiettiva (ritenendo, in definitiva dato pacifico e non contestato la notifica della cartella del 31 luglio 2004 e oggetto di giudizio il pagamento e la prescrizione); che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;
che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto
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