CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2021, n. 18330
Tributi – IRPEF – Contratto di locazione di immobili stipulato dal titolare del diritto di nuda proprietà – Canoni di locazione – Reddito fondiario imponibile
Fatti di causa
P.N. riceveva dall’Agenzia delle Entrate la notifica dell’avviso di accertamento n. R2LM00120, relativo alla contestazione di un maggior reddito Irpef in riferimento all’anno 2004, per aver omesso la dichiarazione, prò quota, dei canoni percepiti in conseguenza della locazione di tre fabbricati.
I contratti di locazione erano stati sottoscritti, in qualità di locatori, dalla P. e da suo marito.
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pavia, contestando di essere soltanto contitolare della nuda proprietà degli immobili, nella misura del 50%, mentre la titolare del diritto di usufrutto era sua suocera, ed i contratti di locazione erano stati sottoscritti da lei e da suo marito per mero errore. La CTP respingeva il ricorso, ritenendo che il reddito percepito in conseguenza della locazione dovesse comunque essere imputato alla contribuente ed al marito, che avevano sottoscritto il contratto quali locatori.
La sentenza sfavorevole conseguita era impugnata dalla P. innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che confermava il rigetto delle contestazioni proposte dalla contribuente, modificando però in parte la decisione. Riteneva infatti la CTR che “la stipulazione di un contratto di locazione da parte del nudo proprietario del cespite e la conseguente riscossione del canone comporta che il reddito così individuato venga sottoposto a tassazione, in capo al locatore, come “reddito occasionale” o “reddito diverso”, ai sensi dell’art. 67, lettera i), del Dpr n. 917/1986″ (sent. CTR, p. III).
Avverso la decisione adottata dalla CTR di Milano ha proposto ricorso per cassazione N.P., affidandosi ad un articolato motivo di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1.1. – Con il suo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la contribuente contesta l’omessa applicazione di norme di diritto, e comunque l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la CTR ritenuto legittimo un accertamento tributario emesso sul solo fondamento di una segnalazione interna all’Ufficio, in assenza di ulteriori elementi presuntivi e senza neppure istaurare il contraddittorio preventivo con la pretesa debitrice. La contribuente censura, inoltre, che la CTR ha ritenuto di poter riqualificare il reddito ascrittole, classificandolo tra i redditi diversi, modificando in tal modo le motivazioni dell’accertamento tributario come indicate nell’Atto impositivo, e pertanto ledendo il suo diritto di difesa.
2.1. – La contribuente lamenta, mediante il suo articolato strumento di impugnazione, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa l’impugnata CTR. In particolare censura che il giusto fondamento dell’avviso di accertamento sarebbe stato rinvenuto soltanto nella segnalazione, proveniente dalla Direzione Centrale dell’Ufficio finanziario sulla base dei dati in possesso dell’Anagrafe tributaria, con la quale si evidenziava che la P. era cofirmataria dei contratti di locazione in relazione a tre immobili, senza che l’Agenzia abbia indicato alcun ulteriore elemento, nemmeno presuntivo, idoneo a suffragare la sua pretesa impositiva, e senza che l’Ente impositore avesse neppure convocato la contribuente ai fini dell’instaurazione di un contraddittorio preventivo. La ricorrente critica, inoltre, che la decisione assunta dalla CTR ha modificato la ragione del credito come indicato nell’atto impositivo, imputando la percezione dei canoni tra i “redditi diversi”, in tal modo ledendo il diritto di difesa della contribuente, chiamata a difendersi solo dalla diversa contestazione contenuta nell’avviso di accertamento.
La P., intendendo verosimilmente lamentare un fenomeno di c.d. “doppia imposizione”, nel suo ricorso afferma pure che i redditi conseguenti alla percezione dei canoni locativi sono stati regolarmente dichiarati dalla legittima usufruttuaria degli immobili, sua suocera, nel proprio Modello Unico 2005, ma la contribuente neppure indica in qual modo la circostanza sia stata tempestivamente provata nel corso del giudizio, e non potrà quindi tenersene conto.
Occorre allora, in primo luogo, osservare che l’accertamento tributario non risulta fondato su una mera segnalazione, bensì sulla prova, documentale ed incontestata, che la contribuente e suo marito, pur essendo soltanto i nudi proprietari degli immobili, li avevano concessi in locazione mediante regolari contratti.
Deve quindi evidenziarsi che non integra l’ordinamento giuridico vigente il principio generale secondo cui l’Ente impositore, prima di procedere alla notifica di un accertamento tributario, abbia l’obbligo di istaurare in ogni caso il contraddittorio preventivo con il contribuente, a maggior ragione quando l’atto impositivo è fondato su una prova scritta riferibile allo stesso contribuente.
In riferimento al regime civilistico dei contratti stipulati dalla ricorrente, poi, può ricordarsi che la possibilità di concedere in locazione un immobile, contratto avente natura personale, dipende dalla titolarità della disponibilità di fatto del bene da parte del locatore, e nel caso di specie la contribuente neppure allega, e tanto meno prova, che non aveva la disponibilità dei cespiti. Il principio sintetizzato è stato del resto già espresso con chiarezza da questa Corte di legittimità, osservando che “la natura personale del rapporto che si instaura tra locatore e locatario consente a chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, di concederlo validamente in locazione, compreso il nudo proprietario, la cui legittimazione a chiedere l’adempimento dell’obbligo di versamento dei canoni non può essere pertanto contestata dal conduttore convenuto, adducendo l’esistenza della posizione dell’usufruttuario, in quanto essa è estranea al rapporto personale di godimento insorto con la locazione“, Cass. sez. III, 27.12.2016, n. 27021.
In relazione al regime fiscale dei contratti di locazione, poi, rettificandosi le osservazioni proposte dalla CTR, può osservarsi che, secondo la previsione generale di cui all’art. 23, e poi 26, del Dpr n. 917 del 1986, i redditi fondiari concorrono a formare il reddito imponibile del percettore ai fini Irpef, quando il locatore possieda l’immobile a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale. Poiché la nuda proprietà è anch’essa un diritto reale (cfr., Cass. sez. II, 13.12.2005, n. 27412; Cass. sez. V, 28.3.2003, n. 4714, Cass. sez. I, 6.11.1992, n. 12020) essa non rimane esclusa dalla previsione normativa. In concetto può essere sintetizzato affermando il principio di diritto secondo cui: “il titolare del diritto reale di nuda proprietà su di un fabbricato, che abbia la disponibilità di fatto del bene, può concedere l’immobile in locazione, ed i canoni in conseguenza pattuiti concorrono alla quantificazione della sua base imponibile, secondo la previsione generale di cui all’art. 23, e poi 26, del d.P.R. n. 917 del 1986“.
Il ricorso proposto da Norma P. deve essere pertanto respinto. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione del valore della causa e della natura e complessità delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto da P.N., che condanna al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 1.400,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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