CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2021, n.18354

Tributi – Accertamento – Operazioni parzialmente fittizie – Sovrafatturazione – Benefici ex art. 8, co. 2, del D.L. n. 17/212 – Applicabilità

Rilevato che

1. con sentenza n. 5191/12/14 del 07/10/2014 la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) ha respinto l’impugnazione proposta dalla società contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP) n. 112/44/13, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto da P. s.r.l. avverso un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2005;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, con l’avviso di accertamento impugnato erano stati recuperati costi indebitamente dedotti ed IVA indebitamente detratta in relazione ad operazioni parzialmente fittizie, in quanto gli importi indicati erano stati “gonfiati”;

1.2. la CTR rigettava l’appello proposto dalla società contribuente evidenziando che: a) la CTP, nel rigettare le domande di P. s.r.I., aveva correttamente applicato «la normativa in materia delle imposte sul reddito»; b) dovevano ritenersi inapplicabili «i richiesti benefici previsti dalla normativa di cui all’art. 8, co. 2, del D.L. 17/212, convertito in Legge 44/12, risultando la normativa invocata applicabile “solo nelle ipotesi di fattispecie fraudolenti riguardanti l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, ossia mai poste in essere, mentre nel caso di specie le operazioni di compravendita sono state realmente poste in essere, ma ad un prezzo gonfiato, per cui la fittizetà non inerisce all’operazione di per sé, ma al costo della stessa”»;

2. avverso la sentenza della CTR P. S.r.l. proponeva ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.;

3. l’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso P. S.r.l. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44, e dell’art. 1, lett. a), del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che, diversamente da quanto affermato dalla CTR, la previsione del menzionato art. 8 si applicherebbe non solo in caso di operazioni oggettivamente inesistenti tout court, ma anche in caso di operazioni parzialmente inesistenti, come quelle oggetto del presente giudizio, nel quale è stata contestata una sovrafatturazione;

2. con il secondo motivo di ricorso si contesta, in via subordinata:

a) la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; b) la violazione dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;

2.1. in buona sostanza, la società contribuente si duole del fatto che la CTR non avrebbe pronunciato in ordine alla domanda, proposta in via subordinata, di violazione del principio costituzionale della capacità contributiva, avendo ritenuto legittimo l’accertamento con il quale, contestata la fittizietà delle operazioni di acquisto e rivendita, si sarebbero depurati i costi dalla componente fittizia ma non anche i ricavi;

3. il primo motivo è fondato e assorbente del secondo motivo;

3.1. va, in primo luogo, rilevato che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, sia in materia di accertamento dell’IVA, che delle imposte dei redditi, qualora l’Amministrazione finanziaria, ritenendo fittizia – oggettivamente o soggettivamente – un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione;

3.1.1. l’Amministrazione finanziaria, pertanto, non aveva l’obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, né era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati (Cass. n. 17729 del 30/7/2009; Cass. n. 3267 del 2/3/2012), così come avvenuto nel caso di specie;

3.2. tuttavia, l’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, costituente ius superveniens applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3 (Cass. n. 19000 del 17/07/2018), ha stabilito, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass. n. 33915 del 19/12/2019; Cass. n. 7896 del 20/4/2016; Cass. n. 27040 del 19/12/2014; Cass. n. 25967 del 20/11/2013), salva l’applicazione di una sanzione;

3.2.1. in siffatte ipotesi grava pertanto sul contribuente l’onere di provare che i componenti positivi, che si duole abbiano nell’accertamento concorso alla formazione del reddito, siano anch’essi fittizi, perché ricavi «correlati», ossia direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati (Cass. n. 19000 del 2018, cit.; Cass. n. 25967 del 2013, cit.);

3.3. deve, altresì, evidenziarsi che, come correttamente sottolineato da parte ricorrente, tra le fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti rientrano non solo quelle concernenti operazioni mai poste in essere, ma anche quelle concernenti operazioni reali, ma il cui ammontare è sovradimensionato, costituendo queste ultime operazioni oggettivamente inesistenti solo parzialmente (ovviamente per la parte dell’importo fatturato non corrispondente al reale prezzo del bene);

3.3.1. tale affermazione, oltre a trovare conferma nella giurisprudenza di questa Corte (si veda, ad es., Cass. n. 27040 del 19/12/2014, che fa proprio riferimento ad un’ipotesi di fatture sovradimensionate), si evince inequivocabilmente dal tenore letterale dell’art. 1, lett. a), della l. n. 74 del 2000, il quale afferma espressamente che «per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi»;

3.4. applicando i superiori principi di diritto al caso di specie, emerge con chiarezza la fondatezza del primo motivo in quanto:

1) è pacifico che la società contribuente, come dalla stessa espressamente riconosciuto, ha emesso fatture sovradimensionate;

2) è altrettanto pacifico che l’Amministrazione finanziaria abbia considerato indeducibili i costi concernenti le predette fatture, senza operare una corrispondente rettifica dei ricavi;

3) tali fatture devono essere considerate afferenti ad operazioni parzialmente inesistenti ai sensi dell’art. 1, lett. a), della l. n. 74 del 2000;

4) trova, dunque, applicazione retroattiva il disposto di cui all’art. 8, comma 2, del dl. n. 16 del 2012, che impone all’Amministrazione finanziaria la rettifica dei ricavi direttamente afferenti ai costi dichiarati non deducibili;

3.5. la sentenza impugnata va, dunque, cassata in parte qua e rinviata alla CTR per nuovo esame, che tenga conto dei superiori principi di diritto e, pertanto, al fine di operare la necessaria rettifica dei ricavi, senza considerare quelli direttamente afferenti a costi ritenuti non deducibili;

4. con il terzo motivo di ricorso si contesta: a) la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod proc. civ.; b) la violazione del divieto di duplicazione d’imposta e, in particolare, dell’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;

4.1. con riferimento alla detrazione dell’IVA, la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine al ravvedimento operoso effettuato dalla società contribuente, con conseguente neutralizzazione dell’imposta indebitamente detratta e corresponsione dell’importo incassato, sicché la ripresa a fini IVA non sarebbe legittima in quanto afferente ad imposta già versata;

5. con il quarto motivo di ricorso si contesta: a) la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; b) la violazione dell’art. 30, primo comma, del d.P.R. 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;

5.1. la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi con riferimento alla richiesta di riconoscimento di un credito IVA di euro 398.000,00 derivante dagli importi riconosciuti dalla stessa Amministrazione finanziaria in sede di accertamento con adesione;

6. i due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati;

6.1. la CTR ha fatto generico riferimento – nella parte della sentenza impugnata concernente lo svolgimento del processo – alla proposizione delle due questioni in materia di IVA nell’ambito del giudizio di primo grado, ma ha omesso di considerare che tali questioni sono state regolarmente riproposte in sede di impugnazione da P. s.r.I., tanto che non se ne fa menzione allorquando si dà conto delle domande P. in appello;

6.2. che la CTR non abbia considerato la riproposizione delle menzionate domande si ricava anche dal riferimento motivazionale alla sola disciplina delle imposte sul reddito, la cui disciplina, secondo la sentenza impugnata, sarebbe stata correttamente applicata;

6.3. è evidente allora che non possa parlarsi di rigetto implicito e che la pronuncia sia stata del tutto omessa dal giudice di appello sia sulla questione del ravvedimento operoso che sulla questione concernente il preteso credito IVA di euro 398.000,00;

7. con il quinto motivo di ricorso si deduce: a) la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; b) la violazione del divieto di duplicazione d’imposta e, in particolare, dell’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;

7.1. il motivo riproduce, in buona sostanza, le doglianze già P. con il terzo motivo, contestando la duplicazione dell’IVA conseguente al ravvedimento operoso;

8. con il sesto motivo di ricorso, P. s.r.l. deduce la violazione dell’art. 111, sesto comma Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e la omessa pronuncia e/o motivazione su elementi decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., dolendosi essenzialmente del fatto che la CTR non avrebbe motivato su circostanze rilevanti ai fini della decisione;

9. i due motivi restano assorbiti in ragione dell’accoglimento del terzo e del quarto motivo;

10. in conclusione, vanno accolti il primo, il terzo ed il quarto motivo, assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.