CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2021, n. 18355
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Costi riferiti ad operazioni soggettivamente inesistenti – Deducibilità – Acquisti effettuati in regime di reverse charge IVA – Pagamento dell’imposta
Rilevato che
1. con sentenza n. 2910/29/15 del 10/03/2015 la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) ha accolto parzialmente l’appello di E.F. S.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (di seguito CTP) n. 119/07/13, che aveva a sua volta accolto parzialmente il ricorso della società contribuente avverso un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2009;
1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione di sei fatture ricevute dalla ditta A.S. di R.G. e ritenute riconducibili ad operazioni inesistenti;
1.2. la CTR, adita su ricorso della società contribuente, accoglieva in parte l’appello evidenziando che: a) diversamente da quanto stabilito dal primo giudice, le fatture oggetto di accertamento riguardavano operazioni soggettivamente e non oggettivamente inesistenti; b) conseguentemente i costi contestati erano deducibili in quanto effettivamente sostenuti e inerenti all’attività esercitata, con conseguente illegittimità del recupero operato dall’Ufficio; c) il recupero dell’IVA era, invece, inesistente, trattandosi di acquisti effettuati con il sistema del reverse charge; d) in conclusione, l’avviso di accertamento andava annullato salvo che per l’IVA, che veniva dichiarata dovuta;
2. avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;
3. E.F. s.r.l. resisteva in giudizio depositando controricorso.
Considerato che
1. va pregiudizialmente evidenziato che, diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente, il contraddittorio è stato regolarmente instaurato con la notificazione del ricorso per cassazione a mezzo posta elettronica certificata (PEC), avvenuta in data 26/10/2015 presso il difensore domiciliatario;
1.1. la notificazione è avvenuta successivamente all’emanazione delle norme regolamentari attuative del d.m. n. 44 del 2011, contenenti le specifiche tecniche per le notificazioni da farsi per via telematica dagli avvocati e, cioè, del provvedimento del 16 aprile 2014 della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2014 ed entrato in vigore il 15 maggio 2014 (Cass. n. 20307 del 07/10/2016; Cass. n. 30372 del 18/12/2017);
1.1.1. ne consegue che la notificazione medesima è stata ritualmente eseguita in applicazione dell’art. 3 bis, comma 1, della I. 21 gennaio 1994, n. 53, con il tempestivo deposito in cancelleria della copia dell’originale digitale del ricorso, sottoscritto con firma digitale, attestata conforme da parte dell’Avvocato dello Stato, e delle ricevute di accettazione e consegna del messaggio (cfr. Cass. S.U. n. 22438 del 24/09/2018);
1.2. va, poi, evidenziato che la società contribuente si è regolarmente costituita in giudizio difendendosi nel merito, con la conseguenza che anche, laddove si ritenesse l’irritualità della notificazione a mezzo PEC, la stessa non sarebbe inesistente ma eventualmente nulla, con conseguente sanatoria con effetto ex tunc ai sensi dell’art. 156, comma 3, cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 23620 del 28/09/2018; Cass. n. 20625 del 31/08/2017);
1.3. la regolarità della notificazione eseguita a mezzo PEC rende, infine, superfluo l’esame della eccezione di irritualità della ulteriore notificazione effettuata in forma analogica dalla difesa erariale;
2. con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per extrapetizione, nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. cìv., la violazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633;
2.1. nella prospettazione dell’Agenzia delle entrate, la questione relativa all’applicazione del regime del reverse charge alle fatture oggetto dell’avviso di accertamento non sarebbe mai stata dedotta in primo grado, sicché la CTR avrebbe pronunciato ultra petita partium-,
2.2. in ogni caso, l’eventuale applicabilità del reverse charge non sposterebbe i termini della questione in ragione della indetraibilità dell’IVA in presenza di operazioni inesistenti;
3. il motivo è inammissibile per carenza di interesse;
3.1. è vero che, nella parte motiva della sentenza impugnata la CTR ha affermato che il recupero dell’IVA è inesistente, trattandosi di acquisti effettuati con il sistema dell’inversione contabile previsto dall’art. 74 del d.P.R. n. 633 del 1972;
3.2. è altrettanto vero, peraltro, che la motivazione della sentenza, assunta nel suo significato letterale, è in contrasto con il dispositivo che dichiara dovuta l’IVA e annulla nel resto;
3.3. e la prevalenza del dispositivo sulla motivazione è confortata dalla affermazione, contenuta in motivazione, che l’accoglimento dell’appello è solo parziale e non già integrale, come avrebbe dovuto essere se l’IVA fosse stata ritenuta detraibile al pari dei costi;
4. con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e la violazione dell’art. 36, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziandosi che la prova di inerenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei costi graverebbe sulla società contribuente e, nella specie, la stessa non l’avrebbe assolta, facendo la CTR riferimento a circostanze inidonee allo scopo;
5. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
5.1. il motivo è infondato nella parte in cui si sostiene che sia stata violata la regola di ripartizione dell’onere della prova, atteso che la sentenza impugnata ha correttamente fatto ricadere su E.F. s.r.l. l’onere di provare inerenza, certezza e determinatezza o determinabilità dei costi dedotti;
5.2. il motivo è, poi, anche in parte inammissibile, perché la motivazione con la quale la CTR ha ritenuto la deducibilità dei costi in presenza dei requisiti di legge potrà ritenersi discutibile, ma non certo inesistente o apparente; e l’Agenzia delle entrate tende, in realtà, ad ottenere una rivalutazione nel merito del convincimento espresso dal giudice d’appello;
6. con il terzo motivo di ricorso si deduce omesso esame di fatti decisivi e discussi tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR avrebbe omesso di considerare fatti che, se correttamente valutati, l’avrebbero indotta a ritenere le operazioni per cui è causa oggettivamente inesistenti, con conseguente indeducibilità dei costi;
7. il motivo è inammissibile;
7.1. la CTR ha qualificato le operazioni oggetto della presente controversia come soggettivamente inesistenti compiendo un accertamento in fatto;
7.2. con il presente motivo la ricorrente intende rimettere in discussione il menzionato accertamento, evidenziando un vizio di insufficiente motivazione, ma la valutazione di insufficienza motivazionale non è più censurabile in cassazione ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);
8. con il quarto motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 14 della I. 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella I. 26 aprile 2012, n. 44, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che l’oggettiva inesistenza delle operazioni per cui era stata ricevuta fattura avrebbe determinato la indeducibilità dei costi;
9. il motivo è inammissibile;
9.1. la CTR ha accertato l’utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente e non oggettivamente inesistenti e tale accertamento in fatto non è stato adeguatamente censurato dalla ricorrente, né può essere messo in discussione con la deduzione di un vizio di violazione di legge;
10. in conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 106.159,00;
10.1. il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 14/03/2014; Cass. n. 23514 del 05/11/2014; Cass. n. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 5.600,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del quindici per cento, alle spese borsuali nella misura di euro 200,00 e agli accessori di legge.
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