CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 luglio 2018, n. 19789
Imposte indirette – IVA – Avviso di accertamento – Termine decadenziale
Rilevato che
Con sentenza in data 29 novembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 16523/20/15 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso di P. P., P. P. e P. F. P., in proprio e quali associati dello Studio Avv. A. P., associazione professionale, contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008. La CTR osservava in particolare che la sentenza appellata era del tutto corretta in punto statuizione di invalidità dell’atto impositivo impugnato perché emesso ante tempus ossia prima dello scadere del termine dilatorio, di 60 giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica/consegna del PVC, di cui all’art. 12, comma 7, legge 212/2000, specificamente confermando il giudizio di non fondatezza del motivo dell’approssimarsi del termine decadenziale di emissione dell’atto impositivo medesimo, allegato dall’Ente impositore quale ragione di urgenza derogatoria del primo termine.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.
Resistono con controricorso i contribuenti.
Considerato che
Con l’unico motivo dedotto —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione dell’art. 12, comma 7, legge 212/2000, poiché la CTR ha escluso che l’imminente scadenza del termine decadenziale di emissione dell’avviso di accertamento possa configurare un valido motivo di deroga del termine dilatorio previsto da detta disposizione legislativa.
La censura è inammissibile.
Va premesso che “In tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, c.p.c., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”” (Sez. U, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017, Rv. 643549 -01)
Va poi ribadito che “In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall’Amministrazione finanziaria, consentono l’inosservanza del termine dilatorio di cui alla legge n. 212 del 2000, devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell’ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 22786 del 09/11/2015, Rv. 637204; più in generale, v. Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013, Rv. 627474 – 01).
La censura non induce ad una rivalutazione di tale ultimo, consolidato, principio di diritto, sicché se ne ingenera una causa di inammissibilità “meritale” del ricorso agenziale.
Basti in questo senso considerare che, come accertato in fatto dal giudice tributario di appello, la verifica fiscale de qua è iniziata il 19 aprile 2012 ed è terminata il 21 novembre 2013, senza che l’agenzia fiscale abbia dato una ragionevole spiegazione di consimile durata e quindi della non imputabilità alle disfunzioni organizzative dell’apparato amministrativo tributario la concreta impossibilità di rispettare il termine dilatorio in questione, tenuto conto della scadenza del termine decadenziale per l’emissione dell’avviso di accertamento al 31 dicembre 2013.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater.; d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600 oltre euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.
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