CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 luglio 2018, n. 19792
Socio di società in nome collettivo – Iscrizione nella Gestione Commercianti – Esercizio dell’attività commerciale in modo abituale e prevalente – Contribuzione
Rilevato
che, con l’impugnata sentenza, la Corte di Appello di Firenze confermava la decisione del Tribunale in sede di accoglimento dell’opposizione proposta da V.B. avverso l’avviso di addebito col quale l’INPS aveva chiesto la contribuzione asseritamente da esso opponente dovuta in qualità di socio della B.N.B. di B.P., M. e B. s.n.c. per gli anni 2013 e 2014 (prima e seconda rata);
che la Corte di merito – per quello ancora di rilievo in questa sede – osservava che la predetta società non esercitava un’attività commerciale essendosi limitata a percepire il canone riveniente dall’affitto del capannone di cui era proprietaria e, quindi, che l’attività svolta dal B. quale socio illimitatamente responsabile necessariamente non poteva aveva un minimo di consistenza e di abitualità come attività commerciale;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’istituto, in proprio e nella qualità di procuratore speciale della SCCI s.p.a., affidato a due motivi cui resiste con controricorso il B.; che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
Considerato
che:
– con il primo motivo del ricorso viene dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 L. 22 luglio 1966 n. 613, nonché degli artt. 1 legge 27 novembre 1960 n. 1397 come modificato dall’art. 1, commi 203 e ss., legge 27 dicembre 1996 n. 662, 2 legge n. 1397/1960, 2291, 2298 e 2697 cod. civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) assumendosi: che, contrariamente a quanto sostenuto nella impugnata sentenza, il socio di una società in nome collettivo era per ciò stesso, in quanto soggetto abilitato a compiere atti in nome della società, tenuto alla iscrizione nella Gestione Commercianti perché l’esercizio dell’attività commerciale in modo abituale e prevalente era “in re ipsa”, ossia immediatamente e direttamente correlato all’essere socio con poteri di gestione della società; che l’attività di riscossione di canoni di locazione di immobile, rientrando in quella più ampia di gestione del patrimonio immobiliare, aveva natura commerciale;
– con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 202, legge 23 dicembre 1996 n. 662 e 49, comma 1, lett. D) L. 9 marzo 1989 n. 88 (in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) in quanto, pur volendo accedere all’ipotesi secondo cui la società in questione non svolgeva attività commerciale, comunque, il socio della stessa, espletando attività di lavoratore autonomo avrebbe dovuto essere iscritto nelle liste dei commercianti esercitando una delle attività di cui all’art. 49, comma 1, lett. D) cit. posto che quella della locazione di immobili era un’attività ricompresa fra quelle d’intermediazione e prestazione di servizi cui detta norma si riferisce;
che entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati in quanto presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è – per il disposto dalla legge 23 dicembre 1996 n. 662, art. 1 comma 203 – la prova dello svolgimento di un’attività commerciale che, nella specie, risulta essere stato escluso con un accertamento in fatto da parte della Corte territoriale supportato da una motivazione adeguata ed immune dai denunciati vizi; nell’impugnata sentenza, infatti, è stato rilevato che la B.N.B. di B.P., M. e B. s.n.c. di cui il B. era socio non svolgeva alcuna attività diretta all’acquisto ed alla gestione di beni immobili limitandosi alla riscossione del canone relativo alla locazione del capannone di cui era proprietaria;
che tale decisione è il linea con il principio già espresso da questa Corte secondo cui la società di persone che svolga una attività destinata alla locazione di immobili di sua proprietà ed a percepire i relativi canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali a meno che detta attività non si inserisca in una più ampia di prestazione di servizi quale l’attività di intermediazione immobiliare (Cass. n. 3145 dell’11 febbraio 2013 e ribadito di recente in Cass. n. 17643 del 6 settembre 2016); peraltro, è evidente che dovendosi considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale non rileva il contenuto dell’oggetto sociale;
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio, seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo con attribuzione all’avv. M.T.G. per dichiarato anticipo fattone; che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 1.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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