CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 luglio 2022, n. 23153
Pubblico impiego – Ferie non godute – Esigenze di servizio impeditive alla fruizione del riposo – Diritto all’indennità sostitutiva
Rilevato che
Con sentenza n. 342 del 2015, la Corte di Appello di Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di M.D.D., dipendente del Comune di Campomarino fino al 31.12.2011, data in cui il rapporto veniva risolto, di monetizzazione di 138 gg. di ferie non godute, per complessivi € 17.897,81.
Nello specifico, la Corte territoriale osserva che la mancata fruizione dei periodi di riposo annuali da parte del D.D. era imputabile allo stesso che non aveva tenuto nei confronti del datore un comportamento improntato a buona fede, non predisponendo il piano ferie che pure gli era stato richiesto in data 18.10.2011, adducendo, con la risposta resa in data 16.11.2011, che la fruizione di un lungo periodo di vacanze nell’imminenza del collocamento a riposo avrebbe cagionato gravi e irreparabili problemi al funzionamento del servizio amministrativo.
Ritiene la Corte, inoltre, che la domanda di condanna al pagamento della indennità sostitutiva non possa essere accolta incombendo sul ricorrente la prova delle documentate esigenze di servizio che gli avrebbero impedito il godimento delle ferie.
Propone ricorso per cassazione avverso la decisione M.D.D. con sette motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Campomarino.
Considerato che
1.Con la prima censura si lamenta la violazione degli artt. 116 c.p.c.e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per aver la Corte territoriale ritenuto gravare sul D.D., l’onere della prova delle esigenze di servizio impeditive alla fruizione del riposo, laddove questi non rivestiva la qualifica dirigenziale e non aveva alcun potere di autoassegnarsi le ferie.
2. Con il secondo mezzo si deduce la violazione degli artt. 115 c.p.c.e 416 c.p.c., 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., stante la mancata valorizzazione nella sentenza di appello di circostanze pacifiche, quali la presenza di pesanti carichi di lavoro e di esigenze di servizio che avevano impedito la fruizione dei periodi di riposo.
3. Con il terzo motivo si rappresenta la violazione dell’art. 36 della Costituzione, dell’art. 2109 c.c., dell’art. 7 della Direttiva n. 88/2003 del Parlamento e del Consiglio Europeo, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver il giudice di secondo grado negato il diritto del lavoratore a percepire l’indennizzo per le ferie non godute ritenendo erroneamente che lo stesso avesse un potere di autodeterminarle e che la mancata fruizione fosse addebitabile al comportamento del lavoratore.
4. Con la quarta critica si rileva l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., e, nel dettaglio, del prospetto orario – cartellino timbrature del dipendente rilasciato dal datore di lavoro, aggiornato al momento del collocamento in quiescenza (31.12.2011) e attestante un numero di ferie non godute pari a 203 gg. Tale documentazione, si soggiunge, fa piena prova del numero di ferie maturate e non godute e conferma che il datore aveva il pieno potere di controllo sulle stesse.
5. Con il quinto mezzo si censura l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., specificatamente, la richiesta e la concessione di 47 gg. di ferie da parte del dipendente, in data 20.10.2011, ovvero in prossimità della cessazione del rapporto, periodo nel quale il lavoratore non avrebbe potuto essere collocato in ferie d’ufficio, fatto quest’ultimo che contrasta il rilievo, contenuto nella sentenza di appello, di un comportamento scorretto e contrario a buona fede del D.D..
6. Con la sesta critica, sempre in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., si lamenta che il lavoratore non aveva alcun potere di gestire in autonomia il periodo di ferie attribuendoselo da solo, essendo sottoposto al potere gerarchico del Direttore Generale, secondo quanto emerge anche dai documenti prodotti in causa.
7. Con il settimo ed ultimo motivo si censura la sentenza di appello, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. non essendosi il giudice di merito pronunziato sulle richieste istruttorie articolare in primo grado.
8. Il primo ed il terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente, stante l’intima connessione, sono fondati e vanno accolti.
9. Di recente la S.C. ha affermato (si vedano Cass. n. 21609/2022 e Cass. n. 21780/2022, nonché la precedente Cass. n. 14268/2022) che va operata una (re)interpretazione del diritto interno in materia di ferie retribuite e della corrispondente indennità sostitutiva che si conformi ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle tre sentenze della Grande Sezione del 6 novembre 2018 (in cause riunite C-569 e C-570 S.W.; in causa C-619/2016 S.W.K. e in causa C-684/2016 M.P.).
10. La giurisprudenza della S.C. aveva infatti in passato affermato (si vedano tra le tante Cass. n. 10701/2015; Cass. n. 8791/2015 e Cass. n. 4855/2014) che incombe a carico del lavoratore che agisce in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie un duplice onere della prova: 1) dell’esecuzione della prestazione lavorativa nei giorni destinati al riposo; 2) della sussistenza di eccezionali e motivate esigenze di servizio o cause di forza maggiore alla base del mancato godimento del periodo di riposo annuale.
10.1. Nello specifico, quanto al primo aspetto (onere della prova della esecuzione della prestazione lavorativa nei giorni destinati al riposo), si rappresentava (cfr. Cass. n. 9791/2020, ma anche Cass. n. 7696/2020) che esso era da ritenersi sussistente in capo al lavoratore, in quanto fatto costitutivo della indennità per ferie non godute, sicché occorreva che il prestatore provasse l’espletamento della prestazione anche nel periodo destinato alle ferie, mentre sul datore incombeva l’opposto onere di offrire prova del pagamento.
10.2. In relazione alla prova delle ragioni di servizio ostative al godimento delle ferie (eccezionali e motivate esigenze, cause di forza maggiore), alla stessa stregua si è ritenuto, nei rapporti di lavoro con le PP.A.A., che esse andassero provate dal prestatore (cfr. Cass. n. 20091/2018; Cass. n. 4855/2014).
10.3. Ritiene il Collegio, invece, di dare continuità alle pronunzie già innanzi ricordate (le già citate Cass. n. 21609/2022 e Cass. n. 21780/2022, nonché Cass. n. 14268/2022), alle cui motivazioni ci si riporta anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., condividendo la necessità e gli esiti della operata rilettura dello statuto delle ferie in armonia con l’interpretazione del diritto dell’Unione – nello specifico dell’art. 7 della Direttiva 2003/1988/CE e dell’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – offerta dalla Curia Europea (il rinvio è ancora alle tre sentenze della Corte di Giustizia del 6 novembre 2018: in cause riunite C-569/2016 e C-570/2016; in causa C-619/2016; in causa C684/2016).
10.4. In piena consonanza con gli approdi delle pronunzie richiamate al punto che precede, va quindi ribadito che i lavoratori non possono perdere il diritto alla indennità finanziaria per le ferie non godute, senza previa verifica del fatto che il datore li abbia effettivamente posti in condizione di esercitare il proprio diritto alla fruizione del riposo annuale, anche attraverso una informazione adeguata.
Insomma, è il datore che deve provare di essersi assicurato che il lavoratore eserciti il diritto alla fruizione delle ferie: 1) informandolo in modo accurato ed in tempo utile del diritto al riposo, garantendo in tal modo che esso risponda all’effettivo scopo cui è preposto, quello di apportare all’interessato riposo e relax; 2) invitandolo, se necessario formalmente, al godimento delle ferie medesime.
10.5. La Suprema Corte ha conclusivamente affermato (così Cass. n. 21780/2022 cit.) che l’interpretazione del diritto interno (ivi compreso dell’art. 5, comma 8 del d.l. n. 95 del 2012, conv. con modif. in l. n. 135 del 2012, peraltro non applicabile ratione temporis) conforme al diritto dell’Unione comporta che:
“a) le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunziabile del lavoratore e correlativamente un obbligo del datore di lavoro; il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro è intrinsecamente collegato alle ferie annuali retribuite;
b) è il datore il soggetto tenuto a provare di avere adempiuto al suo obbligo di concedere le ferie annuali retribuite, dovendo sul punto darsi continuità al principio da ultimo affermato da Cass. n. 15652/2018);
c) la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente -; di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad assicurare il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.
11. Tanto premesso, è evidente che il primo ed il terzo motivo sono fondati, in quanto erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto gravare sul D.D. (che peraltro secondo quanto emerge dalla sentenza di appello nemmeno rivestiva una posizione apicale) l’onere della prova dell’impossibilità della fruizione delle ferie (per esigenze di servizio o per cause di forza maggiore), senza valorizzare che il riposo è un diritto irrinunziabile del lavoratore cui il datore deve apprestare adeguata tutela, concedendo le ferie, se del caso anche d’ufficio ed indipendentemente da una richiesta del prestatore.
12. Gli altri motivi restano evidentemente assorbiti.
13. Alla luce di quanto precede, non essendosi la sentenza di appello conformata a quanto innanzi affermato, il ricorso va accolto.
14. La sentenza va quindi cassata con rinvio alla Corte di appello di L’Aquila che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il terzo motivo, assorbiti tutti gli altri, cassa e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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