CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 luglio 2022, n. 23183
Lavoro – Infermieri – Demansionamento – Lesione dell’immagine professionale e della dignità personale – Risarcimento del danno non patrimoniale
Rilevato che
1. La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza del 29 giugno 2015, confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la domanda proposta dagli attuali controricorrenti – dipendenti dell’Azienda U.S.L. nr. 8 (in prosieguo: la Azienda), inquadrati nella categoria D del CCNL di comparto con profilo di collaboratore professionale sanitario – ed aveva accertato l’illegittimità della loro assegnazione a svolgere mansioni inferiori di natura alberghiera e di igiene dei pazienti allettati, proprie del personale ausiliario delle categorie A e BS.
2.La Corte territoriale esponeva che gli appellati, in servizio presso la divisione di geriatria del presidio ospedaliero SS. T., erano stati adibiti con una certa frequenza anche a mansioni di competenza del personale operativo ed ausiliario addetto all’assistenza dei pazienti ricoverati, per la maggior parte non autosufficienti.
3. Riteneva infondate le difese della Azienda, secondo cui la insufficiente assegnazione di personale di supporto era dovuta ad una impossibilità oggettiva sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile, condividendo la valutazione del Tribunale secondo cui tale eccezione non era sorretta da alcuna prova.
4. Da ultimo, il giudice dell’appello respingeva il motivo di gravame con il quale la Azienda lamentava la mancanza di allegazione e di prova, da parte degli originari ricorrenti, del danno all’immagine professionale ed alla dignità personale, ravvisato dal primo giudice.
5. Osservava che la assegnazione quotidiana di mansioni inferiori mortificanti – che era pubblica all’interno ed all’esterno della Azienda – aveva determinato una lesione dell’immagine professionale e della dignità personale degli infermieri che non aveva bisogno di specifica prova.
6.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la Azienda, affidato ad un unico motivo di censura, cui gli intimati hanno opposto difese con controricorso, illustrato con memoria.
Considerato che
1.Con l’unico motivo di ricorso la Azienda ha denunciato – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.- la violazione dell’articolo 2697, comma uno, cod.civ.; oggetto di censura è la statuizione resa sul terzo motivo di appello, con il quale era stata dedotta la mancanza di allegazione e di prova del danno subito dagli originari ricorrenti per effetto della assegnazione delle mansioni inferiori.
2.Si assume che la Corte territoriale avrebbe riconosciuto la sussistenza di un danno non patrimoniale all’immagine professionale ed alla dignità personale dei lavoratori nonostante il mancato assolvimento del relativo onere probatorio e si fa leva sulla testuale affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’evento lesivo «non ha bisogno di specifica prova».
3.Si deduce che il danno non patrimoniale costituisce un danno-conseguenza che richiede specifica prova da parte di chi ne chiede il risarcimento e si richiama il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 24 marzo 2006 nr. 6572, secondo il quale il danno derivante dal demansionamento – che può assumere aspetti diversi sia di carattere patrimoniale che di carattere non patrimoniale – non può prescindere da una specifica allegazione della natura e delle caratteristiche del pregiudizio sofferto e dalla relativa prova.
4.Si assume, altresì, che il danno richiederebbe la prova dei concreti cambiamenti che l’illecito ha apportato nella qualità della vita del danneggiato.
5. Il ricorso è infondato.
6. In limine la Corte rileva che non appare pertinente la deduzione della violazione dell’articolo 2697 cod. civ.
7. La norma richiamata viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte cui fa carico l’onere della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione dello stesso onere.
8. Nella fattispecie di causa, invece, il giudice dell’appello ha ritenuto sussistere il danno in ragione del carattere quotidiano della assegnazione delle mansioni inferiori e della sua evidenza all’interno ed all’esterno della Azienda. Sulla individuazione della parte soccombente, non ha influito, dunque, la ripartizione dell’onere probatorio.
9. Nel resto, le conclusioni raggiunte nella sentenza impugnata costituiscono una tipica valutazione di merito; la Corte territoriale ha accertato il verificarsi del danno non patrimoniale alla immagine professionale ed alla dignità dei lavoratori attraverso la prova per presunzioni, fondata sulle circostanze concrete del demansionamento e, in particolare, sulla sua frequenza e sul carattere pubblico.
10. La espressione letterale contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il danno «non ha bisogno di specifica prova», nel contesto espositivo in cui è inserita (pagina 6 della sentenza, capoverso terzo), si riferisce, infatti, in maniera evidente alla possibilità di provare il danno non patrimoniale in via presuntiva.
11. Da ultimo, non coglie nel segno la censura relativa alla mancanza di prova del cambiamento delle abitudini di vita, venendo in rilievo il danno all’immagine professionale e non un danno di tipo esistenziale.
12. Il ricorso deve essere, in definitiva, respinto.
13. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
14. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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