CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 maggio 2018, n. 13144
Tributi locali – ICI – Accertamento – Attività alberghiera – Categoria catastale – immobili di interesse storico-artistico
Ritenuto in fatto
Con l’impugnata sentenza n. 470/50/13, depositata il 11.11.2013 la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello del Comune di Ischia e confermava la decisione n. 349/23/12 depositata in data 18.6.2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente B.K. avverso l’avviso di accertamento ai fini ICI per l’anno di imposta 2005 notificato il 8.3.2010.
Il Comune di Ischia ritiene che all’immobile di proprietà della B., adibito all’esercizio di attività alberghiera e iscritto in catasto alla categoria D/2, non sia applicabile l’imposta agevolata inerente gli immobili di interesse storico-artistico.
Contro la sentenza della CTR, il Comune di Ischia ha proposto ricorso per cassazione notificato in data 6.5.2014, affidato a un motivo.
B.K. ha resistito con controricorso.
Ritenuto in diritto
1. Con I ‘unico motivo di ricorso, la sentenza viene censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendosi, in rubrica, “error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 5 commi 2, 3 e 4 del D.Lgs. n. 504/1992, dell’art. 1 comma 2 l. n. 413/91, nonché dell’art. 2 comma 5 del D.L. n. 16/1993, convertito in legge n. 75/93 e ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per insufficiente motivazione.
2. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
2. a. È incontestato che il fabbricato di cui si tratta è soggetto ad un vincolo storico-artistico, secondo le disposizioni di cui alla L. n. 1089 del 1939, art. 3, (ed attualmente secondo le disposizioni cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10 e ss.).
La base imponibile ai fini ICI è determinata da apposita norma contenuta nel il D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, (convertito con L. n. 75 del 1993).
Tale norma stabilisce: “Per gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3, e successive modificazioni, la base imponibile, ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), è costituita dal valore che risulta applicando alla rendita catastale, determinata mediante l’applicazione della tariffa d’estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato, i moltiplicatori di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 2”. Della norma in questione il legislatore ha dato una interpretazione autentica con la L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 6, stabilendo che “le disposizioni di cui al D.L. 23 gennaio 1992, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, si interpretano nel senso che, ai soli fini del medesimo decreto, tra le imposte dirette è inclusa anche l’imposta comunale sugli immobili (ICI)”.
3. Con orientamento consolidato, questa Corte ha affermato che la norma di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, “individua per gli immobili storico-artistici una sorta di regime tributario sostitutivo prevedendo non un’esenzione o una riduzione di imposta (secondo una fissata percentuale), bensì una peculiare modalità di imposizione astrattamente determinata senza alcun rapporto con il valore reale (locativo o fondiario) del bene tassato, dato che il reddito dei predetti immobili è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato” (Cass. 2332/2009).
4. Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU 5518/2011) hanno osservato che “dalla lettera della norma, appare immediatamente evidente che l’oggetto dell’imposizione è individuato tout court negli immobili soggetti a vincolo storico-artistico, senza che sia aggiunta alcuna altra aggettivazione o qualificazione che autorizzi l’interprete a darne una specificazione, ulteriore rispetto alla qualità – carattere storico-artistico – che il legislatore ha ritenuto determinante al fine di sottoporre gli immobili in questione ad uno speciale regime impositivo, tanto più che la norma in questione espressamente dispone che tale regime si applica “in ogni caso”. La scelta del legislatore di far riferimento ad un criterio astratto “in ogni caso il reddito… è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato” -, non consente all’interprete di introdurre una limitazione all’applicabilità della norma che ridurrebbe il valore dell’espressione “in ogni caso” utilizzata dal legislatore e svaluterebbe anche la qualità, il carattere storico-artistico dell’immobile, che rappresenta, nell’insindacabile scelta legislativa, l’unica ragione giustificatrice dell’applicazione di un regime impositivo speciale.
5. La Corte costituzionale nella sentenza n. 346 del 2003, ha affermato che la scelta del legislatore appare “tutt’altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9 Cost., comma 2”. Ed è chiaro che questo “complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9 Cost., comma 2”, non muta, né nella sostanza, né nella gravosità, a seconda della destinazione, ad uso abitativo o ad uso diverso, o anche della categoria catastale di classificazione dell’immobile che ne sia specificamente oggetto, costituendo gli immobili di interesse storico-artistico, sotto l’indicato aspetto, una categoria omogenea.
Da tali posizioni, significative della complessità del tema, si ricava che la ratio legis della disposizione di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, è data dalla necessità di tenere conto del fatto che i proprietari degli immobili appartenenti alla tipologia considerata dalla norma in questione debbono affrontare, nell’interesse pubblico alla conservazione dei beni culturali, costi di manutenzione così rilevanti da rendere non sicuramente determinabile il reddito effettivo.
6. Questa Corte ha altresì affermato, con orientamento dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, che “non avrebbe senso logico introdurre, all’interno dell’unitaria categoria degli immobili di interesse storico-artistico, una distinzione tra detti immobili secondo la loro destinazione d’uso o la loro classificazione catastale: né l’interesse pubblico alla conservazione dell’immobile di interesse storico-artistico, né i costi di manutenzione, finalizzati alla tutela di tale interesse, né l’incertezza sulla determinazione del reddito effettivo che l’incidenza di tali costi causa, dipende (né può dipendere) dalla diversa destinazione, abitativa o meno, o dalla diversa classificazione catastale dell’immobile. Sicché limitare l’applicazione della disposizione di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, ai soli immobili di interesse storico-artistico destinati ad uso abitativo o a quelli classificati in una determinata categoria catastale (ad es. la categoria “A”), significherebbe introdurre nel sistema una distinzione non ragionevole – tenuto conto della ratio legis della norma speciale – e optare, di conseguenza, per un’interpretazione della stessa norma che non sarebbe costituzionalmente orientata” (Cass. n. 14149 del 2009, in motivazione).
7. Alla luce del D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, (convertito con L. n. 75 del 1993) – che disciplina la tassazione dei predetti immobili ai fini ICI e della ricordata norma di interpretazione autentica – la L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 6, – di tale disposizione, anche ai fini ICI, la tassazione degli immobili risponde ad una regola “speciale” che istituisce un “regime tributario sostitutivo” di quello cui soggiacciono gli immobili che non abbiano quella particolare “qualità” – il vincolo di interesse storico o artistico -, costitutiva della ratio della specialità della disciplina.
Da quanto sopra esposto deve ritenersi che ai fabbricati (anche strumentali) di interesse storico/artistico posseduti da imprese/società si applichi la previsione di cui all’art. 11, comma 2 della L. 413/1991.
8. È inoltre da rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute e, di fronte alle norme tributarie, essa ed il contribuente si trovano su di un piano di parità, per cui la c.d. “interpretazione ministeriale”, contenuta in circolari o risoluzioni, non vincola i contribuenti né i giudici e non costituisce fonte di diritto, con la conseguenza che a tali atti ministeriali non si estende il principio iura novit curia, né il controllo di legittimità esercitato dalla Corte di Cassazione (ex art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c.), non essendo essi manifestazione di attività normativa, bensì atti interni della medesima Pubblica Amministrazione destinati ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti ma inidonei ad incidere sul rapporto tributario (v. tra le altre cass. n. 21154 del 2008 e n. 14619 del 2000).
Da quanto esposto discende, per un verso, che il motivo in esame difetta – in ciascuna delle censure in cui si articola – di autosufficienza, facendo esso riferimento ad un atto dell’amministrazione il cui testo non viene riportato in ricorso e, per altro verso, che esso fonda sul contenuto di una circolare ministeriale che non può valere ad integrare o interpretare il testo di una disposizione di legge. È infine da aggiungere che (anche prescindendo dalle considerazioni precedenti in ordine alla inconfigurabilità, nella specie, del denunciato vizio di motivazione) una circolare ministeriale, attese le caratteristiche della medesima evidenziate dalla giurisprudenza richiamata, non costituirebbe in ogni caso quel “fatto decisivo” (secondo la disciplina applicabile ratione temporis) la cui considerazione (omessa dai giudici di merito) avrebbe sicuramente condotto ad una decisione diversa da quella adottata.
9. Il denunciato vizio di motivazione deve essere dichiarato inammissibile, essendo formulato in relazione alla previgente formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., laddove alla presente controversia, relativa a proposizione di ricorso per cassazione avverso sentenza di Commissione tributaria regionale depositata l’il novembre 2013, risulta applicabile il testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., quale sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134/2012, che non consente più, nell’interpretazione offertane dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 7 aprile 2014, n. 8053) e successiva giurisprudenza conforme, il controllo della motivazione nei casi di motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che la contraddittorietà non si manifesti nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, la qualcosa, ad ogni evidenza, non ricorre nella fattispecie in esame.
Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
10. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, inammissibilità/rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17,della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro €2.300,00 oltre spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma dello stesso articolo 13.
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