CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 maggio 2021, n. 14250
Tributi – IRPEF – Accertamento – Redditometro – Standard di vita superiore al budget familiare – Beni indice di capacità contributiva – Spese di mantenimento dei beni
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Campania, in riforma della decisione di primo grado, ha confermato l’avviso di accertamento n. TF7010902343/2012 relativo a recupero a tassazione del maggiore reddito accertato a fini Irpef nei confronti di D.N. sulla base della contestazione del possesso di beni indice ai sensi dell’art. 38, commi 4, 5 e 6 del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’anno di imposta 2007.
2. Ha rilevato il giudice di appello che, attenendo la contestazione erariale non solo all’importo delle spese vive per l’acquisto dei beni indice (una vettura e quattro immobili), ma anche a quelle necessarie al loro mantenimento, la rettifica in aumento del reddito dichiarato appariva perfettamente legittima, anche tenendo conto dell’apporto di terzi al budget familiare, comunque insufficiente a garantire lo standard di vita rilevato dall’Ufficio.
3. Per la cassazione della citata sentenza D.N. ha proposto ricorso affidato a tre motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. Il ricorso lamenta:
a. «In via preliminare si evidenzia l’efficacia preclusiva ex art. 2909 c.c. della sentenza n. 451/50/2015, passata in giudicato, che rigettava l’appello proposto dall’Ufficio per il periodo di imposta 2008».
b. «1) Error in procedendo ex art. 360, comma 1, n° 4 c.p.c.», deducendosi l’approssimazione del giudice di seconde cure nell’apprezzamento delle prove che, se rettamente valutate, avrebbero condotto a ritenere del tutto giustificato il possesso dei beni indice contestato al contribuente.
c. «2) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, n° 5 c.p.c.», deducendosi l’omesso esame dei fatti dedotti dal contribuente per dimostrare la congruità del proprio reddito e la provenienza di alcune somme da terzi (genitori).
d. «3) Error in iudicando ex art. 360, primo comma, n° 3 c.p.c. violazione dell’art. 38 del DPR 600/73, DM 10.9.1992, art. 115 del c.p.c. ed art. 53 della Costituzione» deducendosi l’errore di valutazione da parte del giudice di secondo grado della documentazione offerta dal contribuente al fine di dimostrare l’esclusione di alcuni beni dal computo della capacità contributiva.
2. La controricorrente argomenta l’infondatezza dell’avverso ricorso, di cui chiede il rigetto con il favore delle spese.
3. Il ricorso va respinto.
4. Il ricorrente sollecita questa Corte a verificare l’efficacia preclusiva sul giudizio in corso del passaggio in giudicato della sentenza n. 451/50/2015, emessa tra le parti dalla Commissione tributaria regionale della Campania, in relazione all’anno di imposta 2008. Rileva la Corte, in primo luogo, che la citata sentenza n. 451/50/2015 non risulta prodotta dall’indice del ricorso e non se ne può quindi neppure accertare la definitività con l’attestazione ex art. 124 disp. att. cod. proc. civ. (Cass., Ordinanza n. 20974 del 23/08/2018; id., Sentenza n. 6024 del 09/03/2017). Tuttavia, la circostanza che detta sentenza sia passata in cosa giudicata è da ritenersi accertata, atteso che la stessa Agenzia delle Entrate dichiara espressamente tale circostanza (vedi Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 4803 del 01/03/2018), collocando l’evento, come conseguenza della mancata impugnazione in Cassazione della riferita sentenza e indicando la data del passaggio in giudicato nel giorno 20 luglio 2015 (cfr. pag. 2 del controricorso). Passando alla valutazione della stessa, va rilevato che la sentenza passata in giudicato riguarda, come parimenti è pacifico tra le parti, le medesime contestazioni mosse al contribuente nel presente giudizio, tanto in relazione ai presupposti dell’accertamento che alle sue concrete modalità (identici i beni indice e l’accertamento presuntivo effettuato). Unica differenza è il periodo di imposta di riferimento, che nel presente giudizio è l’anno 2007, mentre in quello oggetto della pronuncia passata in giudicato è l’anno 2008.
In tale contesto, va rilevato che questa Corte ha costantemente affermato che l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti gli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente, mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo (Sez. 5, Sentenza n. 25516 del 10/10/2019; id., Sentenza n. 31084 del 28/11/2019). L’applicazione di tale principio al caso di specie conduce, quindi, a ritenere la non estensibilità del giudicato relativo all’annualità 2008 rispetto al presente giudizio relativo all’annualità 2007. Ed invero, pur essendo identici i parametri normativi di riferimento inerenti alla contestazione e, pur essendo identici i beni indice posti a base dell’accertamento, si tratta pur sempre di valutare la capacità contributiva del contribuente, che è elemento per sua natura variabile e che non può quindi determinare effetti al di fuori del singolo anno di imposta nel quale è stata considerata (Cass., Sentenza n. 13498 del 01/07/2015; Cass. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006).
5. Nel merito, il ricorso è inammissibile.
6. Il motivo n. 1) è inammissibile poiché, pur formalmente allegando un error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., si risolve in effetti in una contestazione circa l’apprezzamento del giudice sulle prove, che non è in alcun modo riconducibile alla violazione del parametro indicato come leso.
7. Il motivo n. 2 è inammissibile. Alla presente controversia, risultando la sentenza impugnata depositata in data 15 giugno 2015, si applica l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. nella formulazione introdotta a seguito dell’entrata in vigore della legge 7 agosto 2012, n. 134. Ciò comporta che il citato vizio è denunciabile in cassazione ai sensi del suddetto articolo solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). L’irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell’applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018). L’applicazione di tali principi al caso di specie comporta la declaratoria di inammissibilità della censura che non solo non identifica i fatti storici omessi, ma si risolve in una diversa e non ammissibile diversa analisi del materiale probatorio versato in atti ed esaminato dal giudice di secondo grado.
8. Il motivo n. 3 è inammissibile poiché, pur formalmente rubricato come violazione o falsa applicazione di legge, si risolve nella mera affermazione dell’erroneità dell’interpretazione delle prove compiuta dal giudice di secondo grado e sollecita, quindi, implicitamente questa Corte a rivedere nel merito il ragionamento probatorio, ciò che in questa fase di sola legittimità non è consentito, una volta che, come nella specie, la sentenza abbia reso sul punto una motivazione riconoscibile come tale, laddove nessun riscontro è dato all’affermazione che i fatti citati come mal interpretati fossero da ritenersi incontestati tra le parti, anche alla luce della precise e puntuali controdeduzioni mosse sul punto dell’Agenzia delle Entrate.
9. La soccombenza regola le spese, liquidate come in dispositivo.
10. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna D.N. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese della presente fase di legittimità, che liquida in euro 1.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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