CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 maggio 2021, n. 14419
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Sproporzione delle spese di disinfestazione, pulizia e derattizzazione – Antieconomicità – Indeducibilità
Rilevato che
1. V. srl proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento, notificato in data 30.9.2016, con il quale l’Ufficio, sulla scorta delle risultanze del PVC che evidenziava spese eccessive di <<disinfestazione, pulizia e derattizzazione>>, recuperava a tassazione la maggiore imposta Ires, Irap ed Iva dell’anno 2012 per un importo di € 176.042,00.
2. La Commissione Provinciale rigettava il ricorso.
3. La sentenza veniva impugnata dalla contribuente e la Commissione Regionale della Sicilia rigettava l’appello rilevando l’avviso di accertamento era basato sulla antieconomicità e la sproporzione delle spese di disinfestazione, pulizia e derattizzazione rispetto alle superfici di locali senza che le stesse fossero giustificate dal ricorrente.
4. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione lamenta la contribuente violazione dell’art. 109 del dPR/86, in relazione all’art. 360, comma 1° nr. 3; si sostiene che la CTR abbia erroneamente applicato il principio di inerenza dei costi sulla base di una dimensione quantitativa, per cui il costo potrebbe essere inerente anche solo in parte, e non qualitativa indipendentemente dalla congruità del costo.
1.1 Con il secondo motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 19, comma 1°, dPR 633/1972, in relazione all’art 360, comma 1° nr. 3 c.p.c. per avere la CTR in materia di IVA considerato indetraibile la fattura per operazioni che non rivestivano i caratteri della macroscopica ed evidente antieconomicità.
2.1 motivi, da esaminare congiuntamente stante la loro connessione sono infondati.
2.1 La CTR condividendo i rilevi dell’avviso di accertamento ha così motivato <<in realtà, la sentenza impugnata, ancorché in modo effettivamente generico, si è rifatta in proposito all’avviso di accertamento, il quale mette in evidenza soprattutto la antieconomicità e sproporzione delle spese di disinfestazione, pulizia e derattizzazione, ammontanti a ben 176.042,90, in relazione alle superfici a disposizione dell’odierna appellate di cui alle risultanze catastali indicate.
A ciò si aggiungono le anomalie riscontrate sul soggetto (G.S.) che ebbe ad emettere le fatture per tale così rilevante importo complessivo e i confronti effettuati con l’attività svolta dal medesimo in relazione a contratti con i Comuni di Borgetto e di Giardiniello e con l’A.( elemento specificamente e, quindi, valorizzato dal primo giudice).
A fronte di ciò, nulla, in concreto è stato opposto dall’appellante neppure in questa sede. …Ad analoga conclusione deve pervenirsi, poi, anche per il sesto motivo di gravame concernente la dedotta erroneità della rettifica ai fini Iva, dal momento che la tesi dell’appellante secondo cui le presunzioni fondate sulla non congruità del costo non consentirebbero la rettifica anche ai fini Iva, in realtà è stata respinta dalla Suprema Corte con la sentenza già sopra citata (Cass. 17 luglio 2018 nr 18904) che questa Commissione ritiene di condividere>>.
2.2 A fronte di tale accertamento in punto di antieconomicità ed incongruità dei costi, non contestato dal contribuente, non è ravvisabile la dedotta violazione di legge, avendo i giudici di merito fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui << in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili” e, a tal fine, non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass. 17701/2019, 13300/2017 e 21184/2014) ed inoltre <<occorre al riguardo rammentare che la norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), legittima la presunzione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla base di elementi indiziari dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c.. In presenza di tale presupposto la norma non impone altro onere all’amministrazione ma piuttosto faculta (e onera) il contribuente a offrire la prova contraria, in particolare, quella dell’esistenza di costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi. Inoltre, poiché nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi>> (cfr. Cass. 10269/2017).
2.3 Nell’ulteriore evoluzione giurisprudenziale si è precisato che anche a voler intendere, come sostenuto dal ricorrente, il principio di inerenza quale espressione di una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, il giudizio quantitativo o di congruità lungi dall’essere del tutto irrilevante si colloca sul diverso piano logico e strutturale dell’onere della prova dell’inerenza del costo, che, secondo la costante giurisprudenza di cui sopra si è dato conto, incombe sul contribuente, mentre spetta all’Amministrazione la prova della maggiore pretesa tributaria, sicché la dimostrata sproporzione assume valore sintomatico, di indice rivelatore, in ordine al fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è diverso ed estraneo all’attività d’impresa, ossia che l’atto, in realtà, non è correlato alla produzione ma assolve ad altre finalità e, pertanto, il requisito dell’inerenza è inesistente (cfr. Cass. nr 18904/2018).
2.4 Analoghe considerazioni vanno fatte con riguardo alla ripresa dell’I.V.A.
2.5 La detrazione di cui il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, richiede che l’I.V.A. sia effettivamente dovuta, e cioè che tale imposta corrisponda ad operazioni effettivamente poste in essere ed ad essa soggette, in coerenza con quanto prescritto della sesta Dir. del Consiglio CEE n. 388 del 1977, artt. 17 e 20, e dei principi affermati dalla Corte di Giustizia (sentenza 13 dicembre 1989, C- 342/87).
2.6 La consolidata giurisprudenza unionale e nazionale (cfr. tra le tante Corte di Giustizia, 9 giugno 2011, C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio, Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, in C- 263/15, Lajvèr e Cass. n. 2875 del 03/02/2017; da ultimo v. Cass. n. 2240 del 30/01/2018) ha affermato il principio secondo il quale <<la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, non condiziona, né esclude il diritto a detrazione, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, e dunque esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, sia tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad Iva>>.
2.7 Nel caso in esame il giudice d’appello ha posto in evidenza la sostanziale alterità della spesa individuando nell’evidente antieconomicità e incongruità un significativo indice rivelatore della mancanza di inerenza.
3. Il ricorso va quindi rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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