CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 maggio 2021, n. 14420
Tributi – IRPEF – Indennità di esproprio – Diritto al pagamento antecedente alla Legge n. 413/1991 – Pagamento successivo – Ritardo imputabile all’Amministrazione espropriante – Ritenuta d’acconto – Diritto al rimborso
Rilevato che
1. B.I. proponeva ricorso avverso il diniego di accoglimento delle istanze di rimborso delle ritenute Irpef applicate ai sensi dell’art. 11 L. 413/1991 sulle indennità di esproprio, in forza di ordinanza del Sindaco del Comune di Palermo emessa in data 11.2.1980 e di decreto dell’Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Palermo nr. 1503 del 7/9/1978 e nr 1764 del 30/10/1978, corrisposte il 7/11/1995 e il 24/7/2004.
2. La Commissione Provinciale di Palermo accoglieva il ricorso.
3. La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e la Commissione Regionale della Sicilia rigettava l’appello rilevando che il versamento delle somme a favore dell’espropriato dopo l’entrata in vigore della L. 413/91 era imputabile al comportamento della pubblica amministrazione con la conseguenza che l’importo corrisposto non andava sottoposto a tassazione.
4. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un unico motivo. B.I. si è costituito depositando controricorso.
5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con un unico motivo l’Ufficio lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 commi 5, 6 e 7 della I. 413/1991 in relazione all’art. 360 1 comma nr. 3 cpc per non avere applicato il principio di cassa, riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza, che assoggetta a tassazione e a ritenuta ogni pagamento che realizzi una plusvalenza conseguito dopo l’entrata in vigore della L. 413/1991. Contesta la ricorrente la sussistenza di un ritardo nei pagamenti imputabile alla Pubblica Amministrazione.
2. Il motivo è infondato.
2.1 La L. 30 dicembre 1991, n. 413, art 11, commi 5°, 6° e 7° confluito nel D.P.R. giugno 2001, n. 327, n. 8, art. 35, stabilisce quanto segue <<per le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonchè di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,e successive modificazioni, introdotta dal comma 1, lettera f), del presente articolo. Le indennità di occupazione e gli interessi comunque dovuti sulle somme di cui al comma 5 costituiscono reddito imponibile e concorrono alla formazione dei redditi diversi di cui all’articolo 81 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, come modificato dal comma 1 del presente articolo. Gli enti eroganti, all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6, comprese le somme per occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento. E’ facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto».
2.2 E’ ben vero che, come affermato dall’indirizzo giurisprudenziale segnalato dalla ricorrente << in tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1 gennaio 1989. Nè tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sul rilievo che essa determinerebbe una ingiustificata differenziazione di situazioni omogenee o una lesione del diritto di difesa rispetto alle espropriazioni che, invece, rimarrebbero indenni da tassazione, solo perchè l’Amministrazione ha corrisposto indennità prima del 31 dicembre 1991 o perchè l’eventuale giudizio si sia chiuso a quella data, in quanto, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso costituisce, di per sè, elemento diversificatore>> (cfr. Cass. n. 2194/2012; n. 5962/2015; Cass. n. 9173/2015; Cass. n. 9441/2015; Cass. 910/2016 Cass 8287/2018)
2.3 Va tuttavia rilevato che il soprariportato principio di cassa quale criterio di tassazione delle plusvalenze da esproprio è stato meglio puntualizzato da questa Corte con un indirizzo, inaugurato con la sentenza nr. 1429/13 cui è stata data continuità con altre e più recenti pronunce (cfr. Cass. 265/2016 e 16629/2020).
2.4 In particolare, pur non rimettendosi in discussione, quale momento rilevante ai fini della tassabilità, il criterio della percezione delle indennità da esproprio, in qualità di redditi diversi, a prescindere dalla eventuale anteriorità del titolo che le ha generate, si è posto l’accento su situazioni peculiari connotate da un ingiustificato ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nella corresponsione dell’indennità di esproprio, laddove il soggetto espropriato possa avere subito un danno in conseguenza della modifica normativa nel frattempo intervenuta e che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine “ragionevole” di definizione dei procedimenti amministrativi
2.5 E’ stato, quindi, affermato il principio di diritto secondo cui <<qualora gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva, siano intervenuti prima del 31 dicembre 1989, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza>>.( cfr Cass. 1429/2013).
2.6 Una diversa interpretazione risulterebbe in contrasto con i principi costituzionali: a) di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non potendosi consentire che lo Stato, sempre inteso quale Stato “apparato”, nella sua veste di debitore, possa trarre vantaggio dal proprio inadempimento costituito dall’aver tardato ingiustificatamente di corrispondere il dovuto; b) degli obblighi internazionali come limite generale di validità della legislazione statale e regionale (art. 117 Cost.); c) del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) , dovendosi evitare che il contribuente, già danneggiato dal comportamento dilatorio della P.A., sia costretto a un iter giudiziario e i tempi di tale iter lo sottopongano ad ulteriori oneri fiscale.
2.7 Vanno, inoltre, valorizzati i principi della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (si vedano, tra i numerosi precedenti, Gasus Dosier -und Fordertechnik GgmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, p. 62, e N. K.M. c. Ungheria, in causa n. 66529/11, p. 42, del 14 maggio 2013), richiamati da questa Corte (cfr. Cass. 16629/2020 e 1429/2010) secondo i quali << un’ingerenza, anche derivante da una misura finalizzata ad assicurare il pagamento delle imposte, deve pervenire ad un “giusto equilibrio” tra le esigenze degli interessi generali della collettività e le esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona, atteso che la necessità di conseguire tale equilibrio trova riscontro nella struttura complessiva dell’art. 1, del Protocollo n. 1, (che recita: “Ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”).». ed ancora la Cedu nella causa Di Belmonte contro Italia ric. 72638/2010 <<l’obbligazione finanziaria del prelevamento di imposte può dirsi in contrasto con la garanzia sancita da questa disposizione (CEDU, art. 1, Protocollo 1), se essa impone alla persona in oggetto un carico eccessivo”, risulta evidente che qualora venga riscontrato un comportamento negativo della Pubblica Amministrazione nell’erogazione dell’indennità, il cui ritardo abbia inciso sull’applicazione del regime fiscale, deve ritenersi violato CEDU, art. 1, Protocollo 1, in quanto “l’applicazione retroattiva della L. n. 413 del 1991, non ha garantito quel giusto equilibrio fra l’interesse generale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo».
2.8 Nella fattispecie in esame il giudice di merito,
uniformandosi alla giurisprudenza comunitaria recepita da questa Corte e ai precetti costituzionali, ha ritenuto la sussistenza del ritardo ingiustificato in quanto il debito della Amministrazione era sorto ben prima della data di riferimento – l’indennità sarebbe spettata nel 1978 e 1980 ed è stata corrisposta nel 1995 e nel 2003 – e solo la resistenza, anche in giudizio, della Amministrazione stessa ha determinato un considerevole ritardo nel pagamento.
3. Il ricorso va quindi rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate alla refusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 5.600,00 oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15% dei compensi ed accessori di legge.
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