CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 marzo 2019, n. 8334
Tributi – Irrogazione sanzioni – Modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015 – Favor rei – Applicazione generalizzata – Esclusione
Rilevato che
la società W. C. S.r.L. ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Calabria aveva respinto l’appello proposto avverso la sentenza n. 3654/2015 della Commissione tributaria provinciale di Cosenza in rigetto del ricorso proposto dalla società avverso avviso di accertamento IRES IRAP 2010;
la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
con il primo motivo ha denunciato <<violazione e falsa applicazione dell’art. 57 D.Lgs. 546/1992 – errata motivazione da parte dei Giudici>> ;
con il secondo motivo ha denunciato << violazione e falsa applicazione degli artt. 92 e 93 del DPR 917/1986 … inversione dell’onere della prova>>;
con il terzo motivo ha denunciato <<omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione del favor rei in termini sanzionatori>>;
l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso
Considerato che
1.1. con il primo motivo di ricorso si lamenta che la CTR avrebbe dichiarato inammissibile il motivo di appello teso alla riforma della sentenza di primo grado, che aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato per difetto di sottoscrizione, affermando che sarebbe stato “volto ad introdurre surrettiziamente nel giudizio di appello, fatti e circostanze non emerse nel giudizio di primo grado e non proposte con il ricorso introduttivo di primo grado, in applicazione del divieto di jus novorum in appello”;
1.2. la censura risulta inammissibile atteso che la ricorrente non ha riprodotto o allegato la parte del ricorso in primo grado in cui sarebbe stata dedotta la questione oggetto di censura, con conseguente violazione, sul punto, del principio dell’autosufficienza del ricorso, essendosi limitata a riportare uno stralcio della sentenza di primo grado del seguente tenore:<<… l’eccezione relativa alla mancata rappresentanza del dirigente sottoscrittore non può essere presa in considerazione, poiché questo non incide sull’efficacia dell’atto>>;
1.3. a fronte delle difese dell’Agenzia delle Entrate in controricorso, secondo cui la ricorrente avrebbe proposto la suddetta censura per la prima volta nelle memorie depositate nel corso del giudizio di primo grado, si osserva infatti che, nel processo tributario, è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 19616/2018);
1.4. la ricorrente non ha dunque dato prova di aver tempestivamente sollevato nel ricorso introduttivo l’eccezione dianzi illustrata, cosicché non può ritenersi viziata la sentenza della CTR laddove ha dichiarato inammissibile la domanda in quanto tardiva;
2.1. con il secondo motivo si lamenta che, stante l’illegittimità della rettifica operata dall’Ufficio per aver <<confuso il concetto di acconto con quello di rimanenza ex artt. 92 e 93 del TUIR e … considerato il valore delle rimanenze al lordo dell’IVA>>, alcuna prova doveva essere fornita dal contribuente, come invece affermato dalla CTR;
2.2. sul punto la sentenza impugnata così motiva:<< … nel caso di specie la prova della infondatezza della pretesa creditoria non è stata fornita dal ricorrente, poiché egli ha richiamato nel ricorso di primo grado l’esistenza di documentazione a comprova della circostanza – ritenuta risolutiva dal contribuente – per la quale l’Ufficio avrebbe confuso gli acconti con i saldi degli stati di avanzamento, rappresentata … dai relativi contratti di appalto, mai prodotti in giudizio>;
2.4. ne consegue che la CTR non ha fatto erronea applicazione dell’onere della prova previsto dalle norme dianzi indicate, avendo piuttosto rilevato il difetto di prova, da parte del contribuente, circa la pretesa illegittimità dell’accertamento per indebita confusione tra acconto sul prezzo e saldo a completamento dei lavori;
2.5. nel silenzio della sentenza impugnata sul punto e non essendo stato riprodotto l’atto di appello, in parte qua, non può inoltre vagliarsi la doglianza circa la pretesa erronea valutazione delle rimanenze al lordo dell’IVA, mancando la prova che tale censura alla sentenza di primo grado sia stata ritualmente riproposta in appello;
3.1. col terzo motivo si deduce violazione di legge in tema di sanzioni per mancata riduzione delle sanzioni, in violazione del principio del favor rei introdotto dal d.lgs. n. 158 del 2015, deducendo la ricorrente di aver formulato la suddetta richiesta con le <<memorie illustrative prodotte nel corso del giudizio di secondo grado>>;
3.2. va dunque evidenziato che la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non solo ha del tutto omesso di trascrivere, almeno in parte qua, le suddette memorie (neppure allegate al ricorso) ma non ha neppure richiamato le pagine dell’avviso di accertamento concernenti l’irrogazione delle sanzioni, al fine di evidenziare la misura minima e massima della sanzione comminata in applicazione del regime sanzionatorio prò tempore vigente nonché il riferimento legislativo di ciascuna imposta;
3.3. deve pertanto farsi applicazione del principio, qui condiviso espresso, dalla Corte, con principio (cfr. Cass. nn. 9505 del 12/04/2017, n. 28061 del 24/11/2017), secondo cui le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, in tema di sanzioni tributarie, non operano in maniera generalizzata in “favor rei”, rendendo la sanzione irrogata illegale, dovendosi conseguentemente escludere che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno “ius superveniens” più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non solo in ragione della necessaria specificità dei motivi di ricorso ma, soprattutto, per il principio costituzionale di ragionevole durata del processo;
4. va, conseguentemente respinto integralmente il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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