CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 novembre 2020, n. 26789
Tributi – IRAP – Tardivo versamento – Irrogazione sanzione – Ritardo di un giorno – Favor rei – Valutazione del giudice
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate notificò alla E. s.r.l. una cartella di pagamento, ex art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, portante sanzioni ed interessi, relativi al tardivo versamento del secondo acconto dell’Irap di cui all’anno d’imposta 2006, per complessive euro 21.266,57.
Avverso la cartella la contribuente propose ricorso, chiedendone l’annullamento, deducendo di avere tardato soltanto un giorno nel versare la seconda rata di acconto dell’Irap e di aver comunque versato la contestata sanzione, in misura ridotta, essendosi avvalsa del ravvedimento operoso di cui all’art. 13, primo comma, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ed ignorando che tale facoltà le era preclusa dall’art. 1, primo comma, d.l. 7 giugno 2006, n. 206, convertito con modifiche dalla legge 17 luglio 2006, n. 234, il quale prevede che « In caso di violazione dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, relativo al periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, non si applicano le disposizioni in materia di riduzione delle sanzioni previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, nonché dall’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, e successive modificazioni.». L’adita Commissione tributaria provinciale di Perugia rigettò il ricorso.
2. Proposto appello dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale dell’Umbria, con la sentenza n. 123/1/12, depositata il 10 luglio 2012, ha accolto l’impugnazione, ritenendo la sanzione inapplicabile sia per difetto dell’«intenzionalità» della contribuente nel commettere l’illecito; sia per la sua «obiettiva illogicità» per la trasgressione che si è esaurita in un solo giorno di ritardo. Pertanto la CTR, in riforma della sentenza appellata, ha accolto il ricorso introduttivo della contribuente, annullando integralmente la cartella controversa.
3. L’Agenzia delle Entrate propone ora ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidato ad un solo motivo.
4. La contribuente resiste con controricorso.
5. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e la decisione del merito, con l’applicazione dello ius superveniens di cui all’art. 13, primo comma, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
6. La controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. Con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate deduce la violazione dell’art. 1, primo comma, d.l. 7 giugno 2006, n. 206, convertito con modifiche dalla legge 17 luglio 2006, n. 234; dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472; e dell’art. 5, quinto comma, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Assume infatti l’Ufficio ricorrente che il giudice a quo ha, innanzitutto, erroneamente ritenuto necessario l’accertamento di una specifica intenzione, da parte del contribuente, nel commettere l’illecito sanzionato, essendo sufficiente l’elemento soggettivo della colpa, peraltro presunta a carico del trasgressore. Inoltre, l’ufficio critica la sentenza impugnata laddove ha ritenuto illogica ed ha annullato la sanzione perché applicata al ritardo di un solo giorno nell’adempimento, mentre la ratio delle norme applicabili non giustificava la non punibilità in ragione della minima durata dell’inadempimento.
Aggiunge poi l’Agenzia che la CTR ha, sempre erroneamente, disapplicato l’art. 1, primo comma , d.l. 7 giugno 2006, n. 206, convertito con modifiche dalla legge 17 luglio 2006, n. 234, il cui chiaro tenore letterale disponeva l’inapplicabilità dell’istituto del ravvedimento di cui all’art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997 in caso di violazione dell’obbligo di versamento, a saldo o in acconto, dell’Irap per l’annualità 2006.
1.1. La censura relativa alla pretesa necessità dell’ «intenzionalità» della contribuente nel commettere l’illecito attinge una delle rationes deciderteli sulle quale si basa la decisione impugnata ed è fondata, atteso che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, è sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso.» (Cass. 13/09/2018, n. 22329, ex plurimis). Né potrebbe ritenersi, nel caso di specie, che la contribuente abbia fornito la dimostrazione dell’assenza della sua colpa meramente allegando la pretesa ignoranza in ordine all’esistenza ed al contenuto del predetto art. 1, primo comma, d.l. n. 206 del 2006. Infatti, quest’ultima disposizione non è la fonte né dell’obbligo la cui omissione è stata sanzionata, né della relativa sanzione, per cui la sua conoscenza è, anche logicamente, indifferente rispetto al momento nel quale è stato commesso l’illecito de quo. Inoltre, non giova comunque, ai fini dell’eventuale disapplicazione della sanzione, la mera ignoranza della norma tributaria, che non si traduca in un errore dipeso da obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa (Cass. 14/07/2016, n. 14402, ex plurimis), nel caso di specie neppure allegata.
1.2. Così pure è fondata la censura dell’Ufficio ricorrente avverso l’affermazione, invero generica, della sentenza impugnata in ordine alla pretesa «obiettiva illogicità» della sanzione, con riferimento a parametri costituzionali non sufficientemente specificati, la cui ipotetica violazione non ha comunque condotto la CTR a rimettere eventualmente alla Corte Costituzionale alcuna questione incidentale di legittimità costituzionale.
1.3. Quanto poi alla censura, essenziale ai fini di questa decisione, relativa all’ assunta erronea mancata applicazione dell’art. 1, primo comma , d.l. n. 206 del 2006, che disponeva l’inapplicabilità dell’istituto del ravvedimento di cui all’art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997 in caso di violazione dell’obbligo di versamento, a saldo o in acconto, dell’Irap per l’annualità 2006, deve rilevarsi quanto segue.
Sulla questione controversa questa Corte – sia pur a proposito della disposizione, di analogo contenuto, di cui all’art. 1, terzo comma, d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito dalla legge 31 luglio 2005, n. 156 – ha già avuto modo di chiarire che «In materia d’IRAP, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del d.l. n. 106 del 2005, conv. nella l. n. 156 del 2005, la riduzione delle sanzioni, prevista in caso di ravvedimento dagli artt. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997 e 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997, non trova applicazione, limitatamente al periodo d’imposta 2004, nell’ipotesi di violazione dell’obbligo di versamento a saldo, da intendersi sia quale pagamento omesso sia quale pagamento incompleto, atteso che la “ratio” della disposizione non giustifica l’individuazione di un discrimine arbitrario tra inadempimento totale e parziale.» (Cass. 30/06/2016, n. 13390; conformi Cass. 25/10/2017, n. 25287; Cass. 20/03/2019, n. 7826).
Secondo i citati precedenti di legittimità, la norma di cui all’art. 1, terzo comma, d.l. n. 106 del 2005, « testualmente riferita a un periodo di imposta limitato e ben definito (Irap dovuta per l’anno 2004 e versamenti in acconto e a saldo dovuti per la stessa imposta nell’anno successivo) era correlata nella sua genesi alla contingente pendenza della questione pregiudiziale rimessa avanti la Corte di Giustizia C.E. in ordine alla compatibilità dell’IRAP con l’ordinamento comunitario onde si riteneva evidentemente da parte del legislatore che l’attesa o la speranza di una pronuncia della Corte europea che ne sancisse l’illegittimità potesse spingere alla violazione dell’obbligo di imposta e con la prevista esclusione dell’applicabilità della riduzione delle sanzioni ex art. 13 d.lgs. n. 472/97 si voleva a tanto contrapporre un disincentivo» (Cass. 20/03/2019, n. 7826, cit., in motivazione).
L’art. 1, primo comma, d.l. n. 206 del 2006, che interessa la fattispecie sub iudice, condivide con l’art. 1, terzo comma, d.l. n. 106 del 2005 sia il contenuto che la ratio, e non giustifica pertanto, di per sé solo, una differente interpretazione, rispetto a quella già adottata da questa Corte, nel senso dell’inapplicabilità originaria del ravvedimento operoso.
7. Tanto premesso, deve altresì considerarsi, in conformità alle deduzioni della contribuente nella memoria e del Procuratore generale, che, in materia, sono sopravvenute diverse modifiche legislative, costituenti ius superveniens, la cui rilevanza deve essere valutata ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 472 del 1997.
Si fa riferimento, innanzitutto, all’art. 23, comma 31, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, invero menzionato dalla stessa CTR nella motivazione, a seguito della relativa eccezione della contribuente, ma solo quale mero elemento interpretativo di supporto alla ritenuta «obiettiva illogicità» della sanzione amministrativa controversa, senza valutarne invece l’applicabilità, ed eventualmente gli effetti, al caso di specie. Infatti, la norma appena citata disponeva che « Per coordinare l’entità delle sanzioni al ritardo dei versamenti, all’articolo 13, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 471, sono soppresse le seguenti parole: “riguardanti crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge o riconosciute dall’amministrazione finanziaria,”.». Nell’interpretazione che ne ha fornito la prassi della stessa Amministrazione (Circolare dell’ Agenzia delle Entrate del 5 agosto 2011, n.41/E, § 10, citata ed in parte riprodotta dalla controricorrente), « Il comma 31 dell’articolo 23 del decreto, nel modificare l’articolo 13, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ha esteso la riduzione delle sanzioni in presenza di lievi ritardi negli adempimenti alla generalità dei versamenti dei tributi. Nel testo previgente, infatti, il citato articolo 13 – che prevede la sanzione del 30 per cento per il ritardato od omesso versamento dei tributi – riconosceva ai versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni una diminuzione della sanzione amministrativa pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo solo se gli stessi erano relativi ai crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge o riconosciute dall’amministrazione finanziaria. In virtù, quindi, dell’eliminazione dell’inciso che limitava il suddetto beneficio ad una specifica fattispecie, si prevede, allo stato, una nuova misura della sanzione applicabile alla generalità dei versamenti che vengono eseguiti entro quindici giorni dalla ordinaria scadenza. Come chiarito dalla relazione governativa al decreto “la modifica assolve […] alla finalità di rendere il sistema sanzionatorio più graduale rafforzando l’aderenza della sanzione stessa alla gravità dell’inadempimento […] La nuova previsione, in virtù del principio sancito dall’articolo 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, trova applicazione anche alle violazioni commesse precedentemente all’entrata in vigore del decreto, salvo che il provvedimento di irrogazione della sanzione sia divenuto definitivo. […] come chiarito dalla circolare n. 138/E del 5 luglio 2000, la diminuzione in esame spetta “indipendentemente dal verificarsi delle condizioni richieste per il ravvedimento”. Ciò significa che anche nei casi in cui non opera il ravvedimento operoso l’ufficio applicherà la sanzione di cui all’articolo 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 tenendo conto, al verificarsi dei presupposti, della riduzione ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.». Inoltre, si fa riferimento all’art. 15, comma 1, d.lgs. 24 settembre 2015, n.158, che, sopravvenuto alla proposizione del ricorso per il quale si procede, ha ulteriormente modificato l’art. 13 d.lgs. n.471 del 1997, che, per quanto qui interessa, nel secondo periodo del primo comma dispone ora che: « Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.» .
Pertanto, in conformità a quanto già avvenuto riguardo a fattispecie analoga (cfr. la cit. Cass. 20/03/2019, n. 7826), va rimessa all’accertamento del Giudice del rinvio l’applicabilità del principio del favor rei, sulla base dello ius superveniens in questione, al fine di determinare la misura della sanzione applicabile, nonché di accertare la sufficienza, o meno, degli importi che si accertino comunque già pagati dalla contribuente a titolo di sanzione.
P.Q.M.
Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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