CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 novembre 2021, n. 36606
Tributi – Accertamento – Attività di rivendita di auto – Auto storiche – Qualificazione come immobilizzazioni – Esclusione – Beni merce – Legittimità
Rilevato che
– con sentenza n. 97/03/12, depositata in data 11 dicembre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale delle Marche accoglieva l’appello proposto da S.A.M. CAR s.r.l., in persona del legale rappresentante prò tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, avverso la sentenza n. 51/03/11 della Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento n. R9H030400888/2009 con il quale l’Ufficio, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994, aveva recuperato a tassazione maggior reddito imponibile, ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno 2004, riqualificando come immobilizzazioni il parco auto storiche contabilizzate dalla società come beni merce;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che, pur rilevando la permanenza temporale delle auto storiche nel monte merci della società – avente ad oggetto sociale anche la rivendita di auto – non poteva non considerarsi che le dinamiche commerciali delle auto storiche erano assolutamente svincolate dalle normali vendite di autovetture destinate alla libera circolazione stradale; infatti, proprio perché il fattore tempo trascorso dalla prima immatricolazione costituiva un elemento caratterizzante le autovetture in questione, tali particolari beni merce non dovevano essere necessariamente venduti nell’esercizio, potendo permanere per un periodo di tempo molto più lungo, al pari degli oggetti di antiquariato, non essendo, per ciò solo, suscettibili di essere qualificati come immobilizzazioni; -avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, la contribuente;
– la contribuente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1.c.p.c.;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR rilevato la mancata produzione in giudizio del p.v.c. – con impossibilità del giudice di apprezzarne gli elementi in esso contenuti – senza che tale circostanza fosse mai stata dedotta dalla contribuente nel corso del giudizio di merito;
– il motivo si profila inammissibile in quanto non coglie il decisum, risolvendosi in un non-motivo; infatti la CTR, lungi dal fondare la decisione sulla pur richiamata mancata produzione in giudizio del p.v.c., ha ritenuto illegittimo l’accertamento di “società non operativa” in capo alla contribuente per avere l’Ufficio erroneamente riqualificato le autovetture storiche, contabilizzate tra i beni- merce, come immobilizzazioni;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 della legge n. 724 del 1994, 41 e 53 Cost. per avere la CTR ritenuto, da un lato, l’accertamento
– operato in base alla disciplina delle c.d. società non operative – concretare una “surrettizia sanzione” volta “a scoraggiare l’utilizzo dello strumento societario”, e, dall’altro, la sottrazione, per la sua stessa natura, del settore delle auto d’epoca dall’ambito di applicazione dell’art. 30 cit., senza che la società avesse assolto all’onere della prova a contrario secondo le prescrizioni del medesimo articolo;
– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2424-bis c.c. nonché dei principi contabili n. 13 e n. 16 dell’Organismo Italiano di Contabilità per avere la CTR ritenuto illegittima la riqualificazione operata dall’Ufficio delle auto storiche da beni merce a immobilizzazioni atteso che la classificazione delle stesse come rimanenze risultava da bilanci regolarmente approvati secondo un criterio invariato nel corso degli anni e, comunque, ove fossero state considerate dalla società come immobilizzazioni, non sarebbe stata condivisa una possibile diversa contestazione del Fisco di indeducibilità degli ammortamenti delle vetture; ciò, ad avviso dell’Agenzia, in contrasto con i principi contabili n. 13 e n. 16 dell’OIC, non essendo stata l’acquisizione delle autovetture strumentale alla loro immediata o sollecita rivendita, bensì al loro mantenimento presso la società al fine di costituire un “parco macchine” più consistente;
– i motivi secondo e terzo- da trattare congiuntamente per connessione- sono infondati;
– occorre rammentare, in via preliminare, che in base all’art. 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994, sono considerate non operative le società il cui conto economico presenta un ammontare complessivo di ricavi, incrementi delle rimanenze e proventi ordinari inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti a taluni asset patrimoniali, e precisamente: a) il 2 per cento al valore dei beni indicati nell’art. 85, comma 1, lett. c), d) ed e) del t.u.i.r. e delle quote di partecipazione in società di persone commerciali, aumentato del valore dei crediti; b) il 6 per cento al valore delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e dai beni indicati nell’art. 8-bis, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1972, anche in locazione finanziaria; c) il 15 per cento al valore delle altre immobilizzazioni materiali e immateriali, anche in locazione finanziaria;
– come chiarito da questa Corte “In materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del dl. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14993 del 2020; n. 13699 del 2016; n. 21358 del 2015); il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando, secondo il testo della disciplina applicabile ratione temporis, sopra riportato, l’esistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario”, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto;
– ai fini del calcolo dei ricavi minimi presunti, rilevano i beni solo ed esclusivamente se iscritti in bilancio fra le immobilizzazioni materiali, in quanto utilizzati come strumenti di produzione o destinati all’investimento durevole, mentre non assumono rilevanza a tali fini i beni cd. merce, ossia quelli che, in quanto destinati alla vendita, sono iscritti nell’attivo circolante fra le rimanenze, a condizione che la classificazione degli stessi sia improntata a corretti principi contabili (da ultimo, con riferimento ai beni immobili di cui alla lettera b) del comma 1 dell’art. 30, Cass. n. 2785 del 2021 e n. 3103 del 2021);
– nella specie, la contestazione della c.d. “non operatività” della società con rideterminazione del reddito minimo imponibile alla luce delle modalità di calcolo di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994, si basava sulla avvenuta riqualificazione ad opera dell’Ufficio delle auto storiche contabilizzate tra i beni merce come immobilizzazioni materiali, in quanto utilizzati come strumenti di produzione o destinati all’investimento durevole; la Commissione regionale, nell’annullare l’avviso di accertamento impugnato, ha ritenuto che società contribuente non dovesse essere sottoposta al regime di tassazione delle società c.d. “non operative”, atteso che le autovetture storiche erano state correttamente classificate dalla contribuente quali rimanenze, trattandosi di beni destinati al mercato della compravendita ed essendo la permanenza temporale degli stessi nel monte merci della società giustificata dalla loro peculiarità, per cui, al pari degli oggetti di antiquariato, non dovevano essere necessariamente venduti nell’esercizio ma potevano permanere per un periodo di tempo più lungo, essendo le loro dinamiche commerciali svincolate dalle normali vendite di autovetture destinate alla libera circolazione stradale; questo rilievo assorbente – a prescindere dalla pur richiamata classificazione effettuata dalla società in bilanci “regolarmente approvati” e dall’argomentazione a contrario svolta dalla CTR in ordine all’ipotesi di una contestazione di indeducibilità degli ammortamenti, qualora le autovetture fossero state qualificate dalla società come immobilizzazioni- risulta conforme ai principi di cui ai nn. 13 e 16 dell’OIC; mentre il principio contabile di cui al n. 13 dispone che le “rimanenze di magazzino includono i beni destinati alla vendita o che concorrono alla loro produzione nella normale attività di impresa”, quello di cui al n. 16, definisce “le immobilizzazioni materiali” “beni di uso durevole, impiegati normalmente come strumenti di produzione del reddito della gestione tipica o caratteristica, come tali non destinati né alla vendita, né alla trasformazione per l’ottenimento dei prodotti dell’impresa”; correttamente, pertanto, la CTR ha ritenuto improntata ai principi contabili la classificazione operata dalla società, delle auto storiche tra i beni del circolante – in quanto tali non rientranti nel test di operatività ai fini del calcolo dei ricavi minimi presunti – anziché fra le immobilizzazioni, motivandola in base alla effettiva destinazione dei beni alla, sebbene non immediata, rivendita, rientrante nell’oggetto sociale della società contribuente;
– con il quarto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, per avere la CTR ritenuto illegittimo l’accertamento tributario di “società non operativa” in capo alla contribuente avuto riguardo al peculiare settore del commercio delle auto storiche e alla asserita regolarità della classificazione contabile delle vetture, senza considerare i molteplici elementi (crescita esponenziale delle vetture a partire dal 1998, valore economico- finanziario significativo di siffatti beni; limitatezza dell’attività commerciale espletata in quel periodo, etc.) evidenzianti la finalità dei consistenti acquisti di autovetture, fatti nel decennio di riferimento (1998-2008), di costituzione di un consistente “parco macchine” da non commercializzare nell’immediato, ma creato per fornire alla società una immagine adeguata nel settore di pertinenza delle autovetture d’epoca;
– con il quinto motivo si denuncia, in subordine, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, avendo la CTR annullato l’avviso di accertamento senza considerare i molteplici elementi – sopra indicati nel quarto motivo di ricorso – indiziari della evidente finalità dell’acquisto delle autovetture di costituzione di un “parco macchine” di significativa consistenza, non destinato alla immediata rivendita commerciale;
– i motivi quarto e quinto- da trattare congiuntamente per connessione- sono inammissibili;
– il quarto motivo è inammissibile, denunciando il difetto di motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio in quanto trattasi di vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 n.5 c.p.c., come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 11 dicembre 2012 (v. nello stesso senso, Cass. n. 30948 del 2018; n. 16823 del 2020);
– ugualmente inammissibile si profila il quinto motivo in quanto il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma di profili – concernenti la correttezza della riqualificazione del parco auto come immobilizzazioni – attinenti a «questioni» o «argomentazioni» che, pertanto, risultano irrilevanti (v. in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. 6-1, Ord. n. 22397 del 06/09/2019);
– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della società controricorrente delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessive 5.600,00, euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge;