CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 settembre 2018, n. 22675
Lavoro – Sussistenza di una interposizione fittizia nell’appalto – Accertamento delle condizioni compatibili con la genuinità dell’appalto
Rilevato
Che la Corte di appello di Roma con la sentenza n. 9325/2012, accoglieva gli appelli proposti da S. Spa e A.C. spa avverso la sentenza pronunciata dal locale tribunale su ricorso di C.C., M.I.,G.M., A.A., A.S., G.G., S.L., F.S., M.P.; che il tribunale aveva dichiarato che i suddetti lavoratori, già dipendenti di A. spa, avevano in concreto prestato la attività direttamente alle dipendenze della S. spa, valutando la sussistenza di una interposizione fittizia nell’appalto stipulato tra le società;
che in particolare la corte territoriale aveva ritenuto preliminarmente fondata la eccezione di inammissibilità del ricorso nei confronti di L.S., per intervenuta risoluzione del rapporto per dimissioni della stessa in data 14 marzo 2007;
che le volontarie dimissioni risultavano assorbenti e preclusive rispetto all’eventuale riconoscimento del rapporto di lavoro con S.;
che, comunque, le condizioni di fatto del rapporto in questione portavano ad escludere la fittizia interposizione (non vi era commistione con i dipendenti S. che operavano in locali differenti e neppure possibilità di interferenza nel lavoro da parte di S.; l’organizzazione del servizio era a carico di Cos- A. quanto a numero di lavoratori necessari, turni, orari, controlli;
Cos- A. aveva assunto tutto il rischio di impresa); che avverso detta decisione proponevano ricorso i lavoratori affidandolo a due motivi anche confortati da successiva memoria, cui resistevano con controricorso e successive memorie A.C. spa e S. spa;
Considerato
1) – che con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 1369/60, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per aver, la Corte, disapplicato l’orientamento giurisprudenziale del giudice di legittimità con riguardo alla operatività della presunzione di cui all’art. 1, comma 3, l. n. 1369/60 e per non aver motivato sulle ragioni che l’avevano portata ad escludere la dedotta interposizione.
I due profili della doglianza sono entrambi diretti a censurare la valutazione e decisione della corte territoriale circa gli elementi di fatto che, a parere della stessa, l’avevano portata ad escludere la sussistenza di un diretto rapporto di subordinazione con la S.
Il motivo risulta inammissibile.
Come già in molte occasioni affermato “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e v circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 16056/2016).
La valutazione richiesta non può neppure trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.
Deve peraltro evidenziarsi che le circostanze relative alla inesistenza del rischio economico, denunciate da parte ricorrente quale elemento di errata valutazione della Corte territoriale è profilo strettamente attinente al merito della controversi, non esaminabile in questa sede.
A tali ragioni di inammissibilità deve peraltro soggiungersi ed evidenziarsi un chiaro vizio di autosufficienza del motivo non essendo in esso riportate le differenti circostanze che parte ricorrente ritiene non considerate.
Il ricorso dinanzi alla Corte di cassazione deve riportate e contenere specifici motivi che, corredati dei necessari elementi di fatto e di diritto, anche relativi a tutto l’iter processuale precedente, di cui si lamenti il vizio, deve rendere possibile l’esame delle ragioni sottoposte al vaglio della Corte.
2) che con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., e contraddittorietà della motivazione, in riferimento alla ritenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso.
Lamentano i ricorrenti che la motivazione della Corte territoriale sia contraddittoria in quanto non può consensualmente risolversi un rapporto giuridico con S., mai esistito, in quanto le dimissioni erano state rassegnate nei confronti di C. in data successiva alla cessazione dell’appalto.
Giova rilevare che, se pur la Corte territoriale abbia motivato la decisione assunta anche alla luce delle dimissioni di tre dei lavoratori ricorrenti, deducendo la cessazione del rapporto per volontà degli stessi, tale argomento non sia stato determinante nella valutazione della controversia, invece fondata, come detto, sull’accertamento di condizioni compatibili con la genuinità dell’appalto ed escludenti l’interposizione denunciata. Il motivo, che effettivamente mira a ben individuare i soggetti interessati dalle dimissioni (la Cos- A. e non la S.), risulta peraltro inconferente rispetto alla decisione. Il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 7.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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