CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 settembre 2018, n. 22691
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Esigenza di ristrutturazione aziendale – Violazione del criterio di correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore da licenziare – Accertamento
Rilevato
1. che la Corte d’appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo, in riforma della sentenza di primo grado, accertata la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a M. P. da A. s.r.l., ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra le parti con effetto dal 30.6.2014 e condannato la società datrice di lavoro alla corresponsione dell’indennità risarcitoria pari a diciotto mensilità parametrate all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;
1.1. che la Corte territoriale, esclusa la assenza di specificità dei motivi di reclamo, ha ritenuto l’intimato licenziamento non rispondente a criteri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. Ferma, infatti, la effettività della esigenza di ristrutturazione aziendale, funzionale ad una diversa articolazione dell’orario di lavoro, la scelta datoriale, in quanto destinata ad incidere su posizioni omogenee e fungibili, doveva essere effettuata, come, invece, non avvenuto, nel rispetto del principio di cui all’art. 1175 cod. civ. e, quindi, con applicazione, in via analogica, del criterio di cui all’art. 5 Legge 23/7/1991 n. 223;
1.2. che è stata ritenuta applicabile la tutela indennitaria e non reintegratoria in difetto del presupposto rappresentato dalla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”;
1.3. che la misura della indennità risarcitoria, stabilita in diciotto mensilità della retribuzione globale di fatto, è stata determinata in ragione della complessiva anzianità di lavoro del dipendente, delle dimensioni dell’azienda in rapporto alle unità occupate (diciassette lavoratori a tempo pieno e diciotto a tempo parziale) e della contrarietà a buona fede della condotta datoriale;
1.4. che il giudice del reclamo ha ritenuta assorbita la questione della illegittimità del licenziamento disciplinare intimato nel luglio 2014 e improponibili le domande di indennità di mancato preavviso e di risarcimento del danno in quanto fondate su fatti costitutivi diversi da quelli posti a base della impugnativa di licenziamento;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A. s.r.l sulla base di tre motivi ;
2.1. che la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi;
Considerato
1. che con il primo motivo di ricorso principale la società ricorrente deduce violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché dell’articolo 1175 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto necessaria la comparazione della posizione del P. con quella di altri lavoratori occupati in posizioni lavorative omogenee e fungibili. Sostiene che secondo quanto risultante da circostanze non contestate da controparte, dalla documentazione prodotta ed, in particolare, dall’impegno assunto dalla società in sede di gara indetta dal Comune di Ischia, proprietario dell’immobile, nel quale veniva espletata l’attività di gestione del centro termale svolta dalla A. s.r.l., i lavoratori impiegati presso il centro termale erano stati tutti assunti con contratto a tempo determinato di talché non era possibile procedere alla comparazione delle posizioni di questi con quella del P. il quale, con un escamotage, rifiutandosi di restituire la copia sottoscritta del contratto a tempo determinato, si era ” autoassunto a tempo indeterminato”;
2. che con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 18 Legge n. 20/5/1970 n. 300 come modificato dalla Legge n. 28/6/2012 n. 92. Premesso che la sentenza impugnata aveva accertato la effettività del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, contesta che vi sia stata violazione del criterio di correttezza e buona fede ex art. 1175 cod. civ. con riferimento alla scelta del lavoratore da licenziare, evidenziando che il giudice del reclamo avrebbe dovuto verificare che il licenziamento del P. non fosse frutto di arbitrio ma del comportamento del lavoratore che, tra l’altro, non aveva rispettato le regole di correttezza e il cui licenziamento rispondeva alla necessità di consentire l’assunzione di altre unità lavorative in conformità dell’impegno assunto in sede di accordo sindacale;
3. che con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 18 Legge n. 300/1970 cit. nonché erronea motivazione, censurando la misura della indennità risarcitoria attribuita per non avere il giudice del reclamo considerato alcune circostanze, risultanti dalle emergenze probatorie, quali la effettiva anzianità del P. (che non poteva farsi risalire al 2002 avendo il suddetto, nel periodo 2002 /2009, lavorato con contratto a tempo determinato), le condizioni non floride dell’azienda, il comportamento del P. che aveva rifiutato lo svolgimento di attività lavorativa per ulteriori tre mesi;
4. che con il primo motivo di ricorso incidentale M. P. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18 Legge 20/05/1970 n. 300 come modificato dalla Legge 28/06/2012 n. 92 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, e 5 Legge 15/07/1966 n. 604 – insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia. Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto esclusa la “manifesta insussistenza del fatto” laddove la stessa, alla stregua della giurisprudenza di legittimità ( Cass. 13/10/2015 n. 20540) andava intesa non come inesistenza del fatto materiale ma come inesistenza del fatto giuridico. Sostiene che alla luce delle argomentazioni difensive di controparte e delle emergenze in atti non risultava provato il nesso di causalità tra il recesso datoriale ed il motivo addotto a giustificazione del medesimo. Assume che la documentazione versata in atti deponeva per la esistenza di una crisi aziendale di carattere temporaneo e traneunte che rendeva ingiustificato il recesso datoriale;
5. che con il secondo motivo di ricorso incidentale deduce:
insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia per manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; violazione e falsa applicazione dell’art. 18 Legge n. 300/1970 cit. come modificato dalla Legge n. 92/2012 cit.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 5 Legge n. 15/7/1966 n. 604; falso presupposto di fatto. Denunzia, in particolare, il vizio di omessa/insufficiente ed illogica motivazione con riferimento alla sussistenza delle ragioni del giustificato motivo oggettivo richiamando le emergenze probatorie acquisite e contestando la interpretazione delle stesse da parte del giudice del reclamo;
6. che il primo motivo di ricorso principale è inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. in quanto la deduzione relativa all’assenza di posizioni comparabili con quella del lavoratore licenziato, che si asserisce unico con contratto a tempo indeterminato, non è sorretta dalla esposizione delle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto formulate dalle parti nelle fasi di merito, necessarie a far ritenere acquisita la circostanza dell’assenza di posizioni fungibili comparabili. In particolare l’assunto della mancata contestazione di controparte delle circostanze allegate dalla A. s.r.l. fin dalla costituzione nella prima fase del giudizio, è rimasto indimostrato non avendo parte ricorrente proceduto, come prescritto (v.,tra le altre, Cass. 13/10/2016 n. 20637) alla trascrizione o al riassunto degli scritti difensivi di controparte destinati, in tesi, a far ritenere acquisite le circostanze oggetto di allegazione da parte della società;
6.1. che le ulteriori deduzioni, finalizzate a dimostrare, con riferimento ai documenti di causa (verbale di accordo 19.12.2012, accordo del 2014 ecc.) la circostanza che la A. s.r.l. assumeva solo a tempo determinato, sono parimenti inammissibili avendo la ricorrente principale omesso, in violazione del precetto di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, di indicare i dati necessari alla reperibilità dei detti documenti nell’ambito del giudizio di merito ed a provvedere alla relativa trascrizione o riassunto, sì da consentire la verifica della relativa fondatezza senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr., tra le altre, Cass. 12/12/2014 n. 26174);
7. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto, nel contrastare l’affermazione del giudice del reclamo di contrarietà a buona fede della condotta datoriale, muove dal presupposto, insussistente, che la sentenza impugnata abbia accertato che il P. era l’unico dipendente con la qualifica di massaggiatore, “auto assunto” a tempo indeterminato e che tutti gli altri lavoratori con qualifica di massaggiatore erano assunti a termine. Siffatto accertamento non è, infatti, rinvenibile in alcun punto della sentenza impugnata e tanto è sufficiente a determinare l’inammissibilità della censura per difetto di pertinenza con le ragioni alla base del decisum ; analogo difetto di pertinenza, esteso all’ambito devoluto al giudice di merito, quale evincibile dalla sentenza impugnata, è ravvisabile in relazione alla deduzione secondo la quale era da escludere la violazione del criterio di correttezza e buona fede nella scelta di licenziare il P. in quanto tale decisione nasceva dal fatto che il detto lavoratore era stato licenziato perché voleva rimanere in servizio in modo fraudolento nonostante la A. s.r.l. avesse meno attività da svolgere nel periodo di riferimento e pur sapendo della necessità di consentire ad altri colleghi di iniziare a lavorare in conformità della programmazione di assunzioni disposta dalla società; tali deduzioni, oltre a non essere sorrette, in violazione dell’art. 366 comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dall’adeguata esposizione del fatto processuale risultano inammissibili anche in quanto il riferimento alla condotta fraudolenta del P., con la evocazione di possibili ragioni disciplinari alla base del recesso datoriale, introduce un tema estraneo alla materia del contendere quale definito dalla sentenza impugnata, non inficiata sul punto da specifiche censure della società;
8. che il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile, sia in quanto le circostanze della cui omessa considerazione si duole parte ricorrente non sono state evocate nel rispetto della prescrizione di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. (per cui vedi sopra sub. §6) sia perché la determinazione tra il minimo ed il massimo della indennità risarcitoria costituisce attività valutativa riservata al giudice di merito il quale nel caso di specie ha dato espressamente atto dei criteri, conformi a quelli legali, ai quali tale valutazione è stata ancorata;
9. che il primo motivo di ricorso incidentale è infondato. Si premette che tale motivo, pur formalmente denunziando anche violazione di norme di diritto, risulta incentrato sull’accertamento operato dalla Corte di merito la quale ha ritenuto la sussistenza, comunque, della situazione di oggettiva difficoltà nella gestione del centro termale che giustificava il licenziamento la cui illegittimità è stata ancorata esclusivamente alla violazione dell’obbligo di “repechage”. Le contestazioni svolte a tale accertamento non sono articolate con modalità conformi all’attuale configurazione del vizio di motivazione di cui all’art 360 n. 5 cod. proc. civ. mancando la stessa indicazione del fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito; tali contestazioni risultano essenzialmente fondate sulla scarsa significatività probatoria del verbale di accordo sindacale e quindi intese a sollecitare un diverso apprezzamento del materiale probatorio, sindacato precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357) ;
10. che è, in ogni caso, da escludere il ricorrere dell’ipotesi di “insussistenza del fatto” , idonea a consentire la tutela reintegratoria, avendo questa Corte condivisibilmente chiarito che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il regime sanzionatorio introdotto dalla Legge 92/2012 cit . prevede di regola la corresponsione di un’indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità, riservando il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino ad un massimo di dodici mensilità, alle ipotesi residuali, che fungono da eccezione, nelle quali l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria, dovendosi escludere ricorra, in tal caso, la manifesta insussistenza delle ragioni economiche poste a fondamento del recesso (Cass. 8/07/2016 n. 14021);
11. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto, pur denunziando formalmente anche violazione di norme di diritto, si risolve nella richiesta di un diverso apprezzamento delle emergenze probatorie, peraltro non evocate nel rispetto del disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., in punto di accertamento delle ragioni inerenti all’impresa giustificative dell’intimato recesso e quindi nella sollecitazione al giudice di legittimità di un sindacato allo stesso precluso (v. sub 9);
12. che al mancato accoglimento di entrambi i ricorsi segue la integrale compensazione delle spese di lite;
13. che la circostanza che entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, siano stati proposti in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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