CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 settembre 2019, n. 23840
Tributi – PREU – Apparecchi da intrattenimento – Invio telematico di dati difformi da quelli reali – Accertamento maggior prelievo erariale – Responsabilità solidale della concessionaria di rete
Fatti di causa
In esito a verifica eseguita il 20.02.2008 nei locali della ditta individuale “B.T.L.S.” di P.M. R. con sede in Besozzo, da cui era emersa la presenza di tre apparecchi da intrattenimento ex art. 110, comma 6, Tulps non conformi alle prescrizioni di legge in quanto trasmettevano all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in via telematica dati di gioco difformi da quelli effettivamente realizzati, funzionari dell’A.A.M.S. contestavano all’esercente ed al proprietario degli apparecchi la violazione dell’art. 110 co. 9° lett. c) TULPS e procedeva al sequestro amministrativo degli stessi.
L’Agenzia delle Dogane, Ufficio Reg. Lombardia AAMS, in data 30.12.2013, emetteva avviso di accertamento per il recupero del tributo evaso nei confronti, tra gli altri, della concessionaria di rete, L.V.R. Spa, quale soggetto solidalmente responsabile, per tributi, sanzioni ed interessi.
La società in data 27.02.2014 impugnava l’avviso assumendo la legittimità del proprio operato e l’insussistenza della propria responsabilità solidale per il maggior prelievo erariale.
La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso; ma la decisione veniva poi riformata dal giudice d’appello con la sentenza oggetto del presente giudizio.
La s.p.a. L.V.R. ricorre per cassazione sulla base di 4 motivi, al quale resiste l’Agenzia delle Dogane con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la s.p.a. Lottomatica denuncia, in via preliminare, violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la CTR Lombardia omesso qualsiasi pronuncia sull’eccezione di giudicato esterno sollevata nelle controdeduzioni in grado d’appello, con riferimento alle sentenze n. 2768/13/14 e n. 2770/13/14 della CTR della Lombardia in relazione alle sentenze della CTP di Milano n. 166/9/12 e n. 264/9/12, ritualmente prodotte e contenenti l’attestazione della cancelleria di passaggio in giudicato.
Pur avendone la CTR Lombardia effettivamente omesso l’esame, la questione tuttavia può essere esaminata da questa Corte, la quale è tenuta a verificare anche d’ufficio la questione ove questa emerga, come nella fattispecie, da pronunce già prodotte nel corso del giudizio di merito e nuovamente prodotte in questa fase di legittimità; tanto più che il dedotto giudicato si sarebbe costituito già anteriormente alla sentenza oggetto di ricorso (in tali sensi cfr., e plurimis, Cass. Sez. II ord. 25.01.2018 n. 1534; Cass. Sez. III 26.10.2017 n. 25432; Cass. Sez. I 27.07.2016 n. 15627; Cass. Sez.I 21.05.2014 n. 11219).
La questione tuttavia è da ritenere infondata.
Le invocate decisioni, come emerge dall’esame delle stesse (necessario ed ammissibile in relazione alla natura dell’eccezione), hanno trattato soltanto la medesima questione giuridica, ossia l’interpretazione dell’art. 39 quater, d.l. n. 269 del 2003; nulla porta a ritenere che abbiano avuto ad oggetto il “medesimo rapporto giuridico”, costituito con i medesimi soggetti gestori e proprietari e con riferimento ai medesimi apparecchi (cfr. Cass. Sez. V 29.07.2011 n. 16675; Cass. Sez.V 3.12.2014 n. 25546); rapporto in alcun modo esplorato ed illustrato dalle decisioni in questione (sia di primo che di secondo grado), non oggetto di esplicita statuizione, e, in ogni caso, erroneamente individuato dalla stessa controricorrente. Infatti per predicare l’identità del rapporto giuridico al quale è riferibile un giudicato, non è sufficiente raffrontare, come ha fatto la ricorrente (cfr. pagg. 16-17 del ricorso), i due soggetti che sono stati parte del giudizio, ma occorre far riferimento a tutti i soggetti coinvolti nel più complesso rapporto sostanziale, che concorrono ad identificare la fattispecie concreta oggetto del giudizio; così come non si può affermare l’identità della situazione oggettiva a base del rapporto soltanto sulla base della circostanza che nel presente giudizio, come in quelli addotti come precedenti costituenti il dedotto giudicato, fosse certa “l’avvenuta identificazione degli autori dell’illecito sugli apparecchi di intrattenimento”; invero la contestata responsabilità solidale della Società Concessionaria è stata dedotta dall’Agenzia delle Dogane con riferimento a distinte situazioni fattuali, in cui sia il proprietario dei macchinari da gioco che l’esercente dei locali nei quali questi erano installati (che sono sempre diversi da giudizio a giudizio) rivestono ruoli autonomi e peculiari che, a seconda del loro atteggiarsi, avrebbero potuto diversamente incidere anche sulla eventuale sussistenza della responsabilità del concessionario, che poi è individuata e delimitata, sotto il profilo oggettivo, dal numero e dalle caratteristiche delle macchine oggetto di verifica e constatazione.
Occorre considerare, del resto, che la presente vicenda trae origine da uno specifico accertamento su tre apparecchi illecitamente modificati e che il rapporto giuridico in considerazione non ha neppure il carattere “di esecuzione prolungata”, né si riferisce a fatti ad “efficacia permanente o pluriannuale”, ma si traduce in un evento unitario e definito, ancorato a specifici ed autonomi fatti, la cui identità è presupposto indefettibile per l’operatività del giudicato (cfr. Cass. Sez.V 9.10.2015 n. 20257), irrilevante restando la loro sussunzione nella medesima disciplina normativa.
2. Con il secondo motivo di ricorso (i cui argomenti logico- giuridici sono sviluppati a pagg.21-24) la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 3 D. Lgs. n. 472/1997 e dell’art.39 quater D.L. n. 269/2003, come modificato dall’art. 15 co. 8° quaterdecies D.L. n. 78/2009 conv. dalla I. n. 102 del 2009: in particolare si duole che la CTR, nonostante essa Società avesse sempre ricordato l’inapplicabilità a se medesima della normativa sanzionatoria prevista dal menzionato art. 39 quater in ragione dell’avvenuta individuazione degli autori dell’illecito, abbia escluso l’applicazione alla fattispecie concreta del principio del favor rei con riferimento al disposto trattamento sanzionatone, che, a seguito delle modifiche apportate dal citato art. 15 co.8, sarebbe divenuto palesemente non punibile.
Con il terzo motivo di ricorso (i cui argomenti logico-giuridici sono sviluppati a pagg.27-31) la ricorrente, riportando le tesi esposte fin dal ricorso introduttivo di 1° grado, denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 39 quater D.L. n. 269/2003, come modificato dall’art. 15 co. 8° quaterdecies D.L. n. 78/2009 conv. dalla I. n. 102 del 2009, nonché degli artt. 12 Preleggi e 3, 27 e 53 Cost.: in particolare lamenta che la CTR abbia interpretato la norma come se fosse riferita al maggior prelievo unico e non al PREU semplice, per aver inteso operante la responsabilità solidale anche nell’ipotesi di accertamento di maggior PREU derivante da illecito con autori individuati, intendendo il riferimento al “quarto periodo” come se fosse alla fattispecie disciplinata; laddove, interpretando correttamente e letteralmente tale riferimento alla sola tipologia di apparecchi, l’ipotesi della solidarietà sarebbe riferibile ai soli casi di illecito il cui autore non sia individuato o individuabile.
Nel senso postulato dalla ricorrente militerebbero la necessità e preferibilità dei canoni ermeneutici letterali, il rispetto dell’art. 27 Cost. circa la personalità della responsabilità, estensibile agli illeciti amministrativi “per fatto altrui”, la conformità al principio di uguaglianza dell’art. 3 Cost., scaturendone la medesima disciplina, comunque derogatoria rispetto ai principi generali in tema di sanzioni amministrative, per situazioni tutt’affatto differenti, quali quella di illeciti con autori non individuati o individuabili rispetto a quella di autori individuabili, nella quale si chiederebbe alla concessionaria di versare il PREU in relazione a prestazioni mai ricevute; infine la soggezione all’obbligo tributario in assenza della corrispondente capacità contributiva.
3. Il secondo ed il terzo motivo, che appare opportuno esaminare congiuntamente sia per tipologia di censura che la stretta connessione delle questioni ermeneutiche sollevate, sono infondati.
3.1. Di fatto la ricorrente assume che nel caso di specie sarebbe applicabile la formulazione dell’art. 39 quater entrata formalmente in vigore dal 5 agosto 2009, nonostante i fatti contestati siano stati posti in essere prima del febbraio 2008, epoca della constatazione dell’illecito, poiché, data la natura sanzionatoria dell’obbligo del pagamento del maggior PREU, dovrebbe applicarsi il principio del favor rei nella sua accezione di applicabilità della disposizione successiva più favorevole al responsabile dell’illecito amministrativo.
E’ dichiarato l’equivoco sotteso all’argomentazione della ricorrente, ossia che il prelievo erariale unico (PREU) e il “maggior” prelievo erariale unico costituiscano entità distinte ed autonome, e che il secondo avrebbe natura di sanzione amministrativa; equivoco che una piana lettura delle norme può agevolmente dissipare.
Come dispone l’art. 39, comma 13, d.l. n. 269 del 2003, nel testo applicabile ratione temporis, “agli apparecchi e congegni di cui all’art. 110, comma 6, … collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato nella misura del 13,5 per cento delle somme giocate …”, sicché l’imposta, il PREU, investe la totalità dei giochi effettuati e delle relative somme.
Nel caso di utilizzo illecito delle apparecchiature, ossia con interventi tali da determinare la trasmissione telematica di dati di gioco difformi da quelli effettivamente realizzati, si verifica che il prelievo viene corrisposto solo per una parte delle giocate (quelle i cui dati sono stati trasmessi), mentre per le altre viene, semplicemente, evaso.
Ne deriva, quindi, che l’imposta è e resta unica ed unitaria, integrando il cd. maggior PREU solo l’importo evaso, ma pur sempre dovuto in ragione del maggior volume di gioco svolto.
3.2. Va poi evidenziato che la norma specificamente individua il soggetto passivo d’imposta nel “soggetto al quale l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha rilasciato il nulla osta”, ossia nel concessionario di rete.
Ne deriva che il concessionario è tenuto, in relazione al ruolo ricoperto, a versare il PREU maturato in base alla trasmissione telematica dei dati secondo le modalità disciplinate dal successivo comma 13 bis.
3.3. Quanto all’imposta evasa, il cd. maggior PREU, il recupero e l’individuazione dei responsabili sono disciplinati dall’art. 39 quater d.l. n. 269 del 2003.
Nella vicenda in giudizio, anteriore al 2009, è invero applicabile il testo dell’art. 39 quater, comma 2, d.l. n. 269 del 2003, nel testo introdotto dall’art. 1 della I. n. 296 del 2006, vigente dal 1° gennaio 2007, che prevede:
“2. Il prelievo erariale unico è dovuto anche sulle somme giocate tramite apparecchi e congegni che erogano vincite in denaro o le cui caratteristiche consentono il gioco d’azzardo, privi del nulla osta di cui all’articolo 38, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni, nonché tramite apparecchi e congegni muniti del nulla osta di cui al predetto articolo 38, comma 5, il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo. … <2° e 3° periodo … Per gli apparecchi e congegni muniti del nulla osta … il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo, il maggiore prelievo erariale unico accertato rispetto a quello calcolato sulla base dei dati di funzionamento trasmessi tramite la rete telematica prevista dal comma 4 dell’articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e successive modificazionì, gli interessi e le sanzioni amministrative sono dovuti dai soggetti che hanno commesso l’illecito o, nel caso in cui non sia possibile la loro identificazione, dal concessionario di rete a cui è stato rilasciato il nulla osta. Sono responsabili in solido per le somme dovute a titolo di prelievo erariale unico, interessi e sanzioni amministrative relativi agli apparecchi e congegni di cui al quarto periodo, il soggetto che ha provveduto alla loro installazione, il possessore dei locali in cui sono installati e il concessionario di rete titolare del relativo nulla osta, qualora non siano già debitori di tali somme a titolo principale.”
La modifica introdotta con l’art. 15 d.l. n. 78 del 2009, infatti, non è retroattiva, né, in ogni caso, anche per l’evidente mancanza di una clausola in tal senso, ha valore di interpretazione autentica con portata retroattiva. Il testo modificato (avuto riguardo al 4° e al 5° periodo della norma, irrilevante nella specie l’ipotesi di esercizio in assenza del nulla osta) prevede infatti:
“… Per gli apparecchi e congegni muniti del nulla osta di cui all’articolo 38, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni, il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo, il maggiore prelievo erariale unico accertato rispetto a quello calcolato sulla base dei dati di funzionamento trasmessi tramite la rete telematica prevista dal comma 4 dell’articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e successive modificazioni, gli interessi e le sanzioni amministrative sono dovuti dai soggetti che hanno commesso l’illecito. Nel caso in cui non sia possibile l’identificazione dei soggetti che hanno commesso l’illecito, sono responsabili in solido per le somme dovute a titolo di prelievo erariale unico, interessi e sanzioni amministrative relativi agli apparecchi e congegni di cui al quarto periodo, il soggetto che ha provveduto alla loro installazione, il possessore o detentore, a qualsiasi titolo, dei medesimi apparecchi e congegni, l’esercente a qualsiasi titolo i locali in cui sono installati e il concessionario di rete titolare del relativo nulla osta, qualora non siano già debitori di tali somme a titolo principale”.
3.4. L’originario testo del 2006, quindi, in caso di esercizio illecito prevedeva che fossero tenuti in via principale al pagamento dell’imposta evasa, oltre agli interessi e alle sanzioni, i seguenti soggetti:
a. l’autore dell’illecito;
b. il concessionario titolare del nulla osta all’esercizio; la sua responsabilità, principale, era peraltro condizionata alla mancata individuazione dell’autore dell’illecito.
La norma, inoltre, contemplava ipotesi di responsabilità solidale individuando i seguenti soggetti:
c. l’installatore;
d. il possessore dei locali;
e. il concessionario;
non prevedendo, per la configurabilità di tale responsabilità, alcuna condizione, ma solo che gli stessi non fossero “già debitori di tali somme a titolo principale”, sull’implicito presupposto che, in tale evenienza, doveva ritenersi prevalente quest’ultima.
Il testo modificato nel 2009, invece, individua, quale responsabile principale, un unico soggetto, ossia l’autore dell’illecito.
Quanto alle ipotesi di responsabilità solidale, la nuova norma individua:
c1. l’installatore;
d1. il possessore o detentore a qualsiasi titolo degli apparecchi;
e1. l’esercente a qualsiasi titolo dei locali;
f1. il concessionario; sempreché gli stessi non fossero “già debitori di tali somme a titolo principale”.
La norma, peraltro, subordina la responsabilità solidale al verificarsi di uno specifico requisito, che assurge ad elemento costitutivo, ossia che “non sia possibile l’identificazione” dell’autore dell’illecito.
È di tutta evidenza, quindi, che la novella è intervenuta in via strutturale sulla previsione modificando i soggetti, il novero e le condizioni di imputazione soggettiva della responsabilità sia in via principale che in ipotesi di responsabilità solidale.
3.5. In capo al concessionario di rete, dunque, la disciplina ratione temporis applicabile configura due ipotesi di responsabilità:
A. in via principale, alla condizione della mancata identificazione dell’autore dell’illecito;
B. in via solidale, incondizionatamente (e, dunque, anche in caso di identificazione dell’autore dell’illecito) purché non sia già debitore in via principale.
3.6. Con riguardo alla seconda ipotesi, di solidarietà tributaria (da cui trae origine la pretesa dell’Amministrazione nella vicenda in esame essendo pacifica l’identificazione dell’autore dell’illecito), va indubbiamente rilevato che la coobbligazione si àncora ad una condotta diversa rispetto a quella dell’autore dell’illecito.
La ratio che risulta sottesa riflette, invero, la particolare posizione assegnata al concessionario di rete, il quale, anche per i requisiti di cui deve essere in possesso e delle licenze di cui deve essere titolare (art. 38 I. n. 388 del 2000; art. 14 bis, comma 4, d.P.R. n. 640 del 1972), è il diretto referente per l’Amministrazione ed ha il controllo giuridico degli apparecchi per il gioco lecito per i quali ha ricevuto il nulla osta, sicché egli assume anche una posizione di controllo sulla corretta immissione e sul lecito utilizzo dei macchinari stessi, fonte di obblighi (in vigilando od anche in eligendo) sulla concreta individuazione dei gestori ed esercenti e sulla corretta funzionalità delle apparecchiature.
Le stesse considerazioni, del resto, sono coerenti rispetto a coloro che hanno un controllo più “operativo” sui macchinari e, dunque, hanno consentito (o non hanno adeguatamente vigilato) all’illecito.
Tale conclusione, inoltre, è congruente anche con quanto affermato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 27 del 14 febbraio 2018), che, sia pure con riferimento ad un diverso profilo della disciplina in esame (ed avuto riguardo alle ulteriori sopravvenute modifiche), ha precisato che “le differenze tra il contributo rispettivamente prestato dalla ricevitoria e dal bookmaker alla complessiva attività di raccolta delle scommesse non escludono affatto – ed anzi presuppongono – che entrambi i soggetti partecipino, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento di quell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse sottoposta ad imposizione”, sicché l’equiparazione a fini tributari “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco”, fermo restando che “nei rapporti interni, i coobbligati in solido rimangono liberi di regolare il riparto dell’onere tributario che il legislatore, con la previsione del vincolo della solidarietà passiva, pone” a loro carico.
In tale prospettiva, dunque, deve ritenersi univoca la riferibilità della responsabilità al cd. maggior PREU, ossia all’importo dell’imposta che, per l’attività illecita, è stata evasa, oltre che agli interessi e alle sanzioni.
L’art. 39 quater cit., d’altra parte, per come sopra evidenziato, disciplina, in termini onnicomprensivi, condotte di evasione dell’imposta e, per questi importi, in vista di una semplificazione dei rapporti col fisco e di un rafforzamento della garanzia patrimoniale, individua i responsabili principali e quelli solidali.
È peraltro illogico ritenere che la solidarietà del concessionario sia – come affermato dalla CTR – “riferibile al solo PREU, e non anche al maggior PREU, poiché diversamente verrebbe meno il senso letterale della disposizione di cui al quarto periodo”.
Il concessionario, infatti, è il soggetto passivo del PREU e, dunque, non ha neppure senso, interpretare la norma, per tale voce, come affermativa di una sua responsabilità solidale.
3.7. Infine l’accertata identità sostanziale di PREU e c.d. maggior PREU – e quindi l’impossibilità di ipotizzare logicamente che il secondo possa avere natura di sanzione di un illecito tributario – è confermata dalle argomentazione in virtù delle quali la CTR ha sinteticamente ma puntualmente evidenziato le condivisibili ragioni per le quali il c.d. “maggior PREU” non possa essere sotto alcun profilo assimilato ad una sanzione amministrativa, escludendo radicalmente, anche sotto tale profilo, l’obbligatorietà dell’applicazione retroattiva della legge che si assume più favorevole ed escludendo in radice la lesione dell’ipotizzato principio costituzionale della personalità della responsabilità per sanzioni amministrative. Ricordato, in via generale, che un atto illecito amministrativo può generare, secondo le previsioni di legge, diverse conseguenze, quali l’adempimento delle prestazioni dovute, l’obbligo del risarcimento dei danni e la soggezione ad eventuali sanzioni, va rilevato, sotto un primo profilo, che la norma, in entrambe le successive formulazioni, non ha precipua funzione di norma sanzionatoria amministrativa, limitandosi ad individuare l’area dei potenziali responsabili dell’adempimento dell’obbligazione tributaria e del pagamento delle eventuali sanzioni correlate, sia in via diretta che sussidiaria e/o indiretta solidale in relazione ad una serie di condotte di esercizio di apparecchi o congegni da gioco non meglio definite, costituenti illecito civile, amministrativo o penale; tanto ciò è vero che la previsione e quantificazione delle diverse sanzioni amministrative in relazione alle singole condotte illecite è poi contenuta nel successivo art. 39 quinquies (intitolato “Sanzioni in materia di prelievo erariale unico”), costituente la norma sanzionatoria in senso proprio, che individua fattispecie e tipologia delle condotte illecite e quantifica le sanzioni edittali, rimaste immodificate anche con la novella del 2009.
Quanto poi alle ipotesi di responsabilità solidale, una volta rilevato che questa non implica che i soggetti che ne siano onerati possano qualificarsi come autori dell’illecito amministrativo (anzi è la stessa formulazione dell’art.39quater, previgente e successiva, che esclude i responsabili solidali dall’area di un’accertata responsabilità, specialmente nell’ipotesi qui ricorrente, dell’avvenuta individuazione dell’autore), appare evidente come la solidarietà non abbia una funzione sanzionatoria, bensì semplicemente di rafforzamento della garanzia di raggiungimento dell’obiettivo di preservare l’integrità dei flussi tributari scaturenti dall’esercizio delle macchine da gioco e dell’introito anche delle sanzioni, onerandone quei soggetti che, in virtù della speciale relazione con le macchine da gioco, ne traggono vantaggio economico. Basti pensare che, quanto ai tributi ed ai relativi accessori, il soggetto principale legittimato passivamente è il concessionario di rete, come si evince dal sistema di accertamento e riscossione previsto dagli artt. 39, 39 bis e 39 ter D.L. n. 269/2003 e successive modifiche, sicché la responsabilità solidale per tali debiti non è che una conseguenza del principio generale della sua responsabilità a titolo diretto per il pagamento del PREU e dei relativi accessori (di qui l’evidente infondatezza del timore di lesione del principio di rispondenza dell’imposizione alla capacità contributiva); si comprende quindi che quella per le sanzioni amministrative da illecito gli sia addossata in precipua funzione di garanzia dell’adempimento e non già a titolo di concorso nell’illecito, che altrimenti darebbe luogo ad una sua responsabilità diretta.
Né, sotto il profilo che qui rileva, può sostenersi che la norma come modificata dall’art. 15 co.8° D.L. n. 78/2009 sia più favorevole della precedente: identico rimanendo l’illecito amministrativo e/o civilistico (omessa trasmissione telematica dei dati di gioco) sotto il profilo della condotta sanzionata, pur esclusa la possibilità di una responsabilità diretta sussidiaria del concessionario, identica resta l’ipotesi di responsabilità solidale di quest’ultimo per il pagamento di tributi, interessi e sanzioni, con le medesime condizioni; sicché non si è verificata l’ipotesi prevista nell’art. 3 co. 2° D. Lgs. n. 472/1997, e cioè che il fatto precedentemente sanzionato più non lo sia con la normativa sopravvenuta. Inoltre anche sotto il profilo soggettivo, proprio l’avvenuta individuazione dell’autore della violazione evidenzia l’irrilevanza, sotto il profilo delle conseguenze dell’illecito, del mutamento legislativo, poiché da quell’illecito scaturirebbe, per il concessionario, sia nella precedente che nella successiva disciplina, una mera responsabilità solidale e mai una responsabilità diretta per la sanzione.
5. In sintesi la decisione impugnata appare conforme al principio di diritto enunciato, in identica fattispecie, da Cass. Sez.V 25.05.2018 n. 13116, secondo il quale “in tema di prelievo erariale unico (cd. PREU) sulle somme giocate mediante apparecchi da intrattenimento ex art. 110, comma 6, Tulps, in caso di esercizio illecito delle apparecchiature, sì da determinare una trasmissione in via telematica di dati di gioco difformi da quelli effettivamente realizzati, il concessionario di rete, ai sensi dell’art. 39, quater, comma 2, d.l. n. 269 del 2003, vigente ratione temporis, è responsabile in via principale per l’imposta evasa (cd. maggior PREU) e i relativi accessori e sanzioni in caso di omessa identificazione dell’autore dell’illecito, mentre, qualora quest’ultimo sia identificato, ne risponde a titolo di solidarietà”, che qui si ribadisce.
5. Infine con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione, ai sensi dell’art. 360 n.4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare sulle eccezioni sollevate in 1° grado e riproposte in appello ex art. 346 c.p.c. (nullità dell’avviso per difetto di motivazione) e sull’eccezione di inammissibilità dell’appello avversario per assoluta genericità dell’esposizione dei fatti di causa.
Il motivo è fondato, poiché effettivamente la CTR ha totalmente omesso di esaminare entrambe le eccezioni che costituiscono oggetto della doglianza: quella, proposta in sede di controdeduzioni in secondo grado, di genericità dell’appello per omessa adeguata rappresentazione dei fatti di causa; l’altra, proposta come primo motivo di appello incidentale condizionato, di nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione con riferimento alle deduzioni e produzioni effettuate dalla società in sede di contraddittorio amministrativo conseguente ad accesso ispettivo nei locali aziendali (art. 7 co. 12 Legge n. 212 del 2000).
Tuttavia la disponibilità agli atti dei documenti necessari alla decisione di entrambe le eccezioni (ampiamente riprodotti dalla stessa appellante) e la non necessità di ulteriori attività istruttorie consente alla Corte di deciderle nel merito, ai sensi dell’art. 384 co.2° c.p.c., pervenendo al rigetto di entrambe.
Quanto alla prima, per un verso la ricorrente non indica precise lacune dell’atto di appello dell’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane della ricostruzione in fatto dell’avversario atto di appello, limitandosi ad un generico richiamo dell’eccezione sollevata in sede di controdeduzioni di secondo grado, a loro volta genericamente argomentata; per altro verso non tiene conto che l’invocato art. 53 D. Lgs. n. 546/1992 richiede che l’appello contenga “l’esposizione sommaria dei fatti”, che nella specie era sufficientemente rappresentata nella ricostruzione, ancorché sommaria, di tutta la vicenda da cui scaturiva l’avviso impugnato, nonché del successivo svolgimento del giudizio di primo grado nelle sue fasi e passaggi essenziali, in misura tale da non aver impedito sotto alcun profilo l’adeguato svolgimento del diritto di difesa della resistente.
Quanto alla seconda censura di omesso esame, contrariamente a quanto presupposto dalla ricorrente, l’art. 12 dello Statuto del contribuente non impone all’Amministrazione accertatrice alcun obbligo generalizzato di specifica motivazione circa le controdeduzioni eventualmente presentate dal contribuente a seguito di accessi, ispezioni o verifiche; mentre il richiamo del precedente di Cass. sez. V 22.02.2008 n. 4624 è del tutto inconferente, riferendosi la stessa ad ipotesi di accertamento effettuato mediante ricorso al redditometro; questione peraltro oggi superata alla luce delle pronunce delle SU di questa Corte n. 26635 del 18.12.2009.
Nel senso qui ribadito del resto questa Corte si è già pronunciata con Cass. sez.VI-V ord. 31.03.2017 n. 8378 (in un caso nel quale l’avviso impugnato non aveva dato neppure atto dell’avvenuta presentazione di memorie ex art. 12 co.7° Legge n. 212/2000), nonché con Cass. sez.V 24.02.2016 n. 3583, che ha chiarito e ribadito che l’obbligo di motivazione specifica in ordine a deduzioni o allegazioni del contribuente costituisce ipotesi di nullità dell’avviso di accertamento solo nei casi in cui tale sanzione è espressamente prevista; e che detta sanzione non può essere ipotizzata neppure sulla scorta dell’art. 42 D.P.R. n.600 del 1973 (“Invero, sulla questione dell’omessa considerazione, nell’atto impositivo, delle osservazioni formulate dal contribuente, questo Collegio non intende discostarsi dall’approdo per cui “non tutte le irregolarità possono dar luogo a nullità, ma soltanto quelle così sanzionate dalla legge, ovvero quelle che, anche in difetto di una comminatoria espressa, sono talmente lesive di specifici diritti o garanzie da impedire la produzione di qualsiasi effetto da parte dell’atto cui ineriscono” (Cass. n. 4324 del 2011; conf. n. 28764 del 2005)”.
Le spese, attesa la novità della questione, vanno integralmente compensate per ogni fase e grado del giudizio.
Sussistono inoltre i presupposti per l’imposizione dell’ulteriore somma a titolo di contributo unificato secondo la previsione dell’art. 13 co. 1 quater D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Respinge i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto e, decidendo nel merito, conferma la sentenza impugnata integrandola nei sensi di cui in motivazione.
Compensa integralmente le spese per ogni fase e grado.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ex co. 1 bis dello stesso art. 13.
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